Il significato della riparazione

L’evoluzione dei modelli di giustizia ha portato, negli ultimi anni, ad uno spostamento da una concezione di tipo “punitivo” a una di tipo “retributivo” fino al più recente orientamento di tipo “riparativo” e “relazionale”. L’attuazione di un modello di giustizia improntato all’idea di riparazione presuppone un contesto che accolga, legga, restituisca il significato e le implicazioni della riparazione.

In un recente libro di Marcello Monteleone, magistrato e attento studioso-interprete dei nostri codici e della variabilità antropologico-culturale dell’idea di “giustizia”, viene riportata una storia. Riguarda la tradizione giuridica del popolo Dogon (Mali): “È la storia di un ladro d’alveare che fu colto sul fatto dal proprietario. La tradizione vuole che per ogni cella di favo si paghi un cauro, sicché la sanzione è certamente dura giacché all’epoca i cauri erano assai rari. Il ladro richiese immediatamente il perdono, prostrandosi in terra avanti al proprietario che l’aveva colto in flagrante. Niente da fare, il perdono non fu concesso ed anche gli ulteriori successivi tentativi presso la famiglia furono tutti respinti. La cosa fece il giro del villaggio. La situazione era grave per il ladro che temeva oramai una grave sentenza di condanna: non potendo pagare i cauri avrebbe dovuto lavorare sempre per il derubato. Allora, una notte fu visto il padre del ladro recarsi a casa del genitore del derubato. Quest’ultimo, il giorno successivo, fece chiamare presso di sé due ragazzi. Furono incaricati di raggiungere subito la casa del figlio con la richiesta di concedere il perdono al ladro del favo. I due si meravigliarono molto perché era noto a tutto il villaggio che il derubato aveva ormai assunto una decisione irremovibile, ma fecero subito quanto chiesto. Il figlio, udita la richiesta del padre per bocca dei due emissari, rimase seduto a pensare per un pezzo, poi si alzò e disse: «Concedo il perdono». Increduli, i due ragazzi si portarono di nuovo dal padre del derubato per riferire che il perdono era stato concesso, così lasciando la gente sorpresa. In realtà il derubato aveva ben intuito quanto era incorso nel passato tra la propria famiglia e quella dell’attuale ladro: suo padre era stato colto nella stessa situazione ed aveva ottenuto il perdono. La pace fu quindi ristabilita nel villaggio con beneficio di tutti, del passato e del presente.“ (Monteleone 2008, 130-131).
Nel brano, possiamo trovare degli elementi riconducibili anche a contesti e periodi diversi da quelli dei Dogon. Primo: il reato ha luogo in un contesto che è – prima di tutto – “sociale”. Significa che “vittime” e “carnefici” sono impegnati in relazioni di condivisione di aspettative reciproche, di modelli di comportamento, di soluzioni e strategie per la soluzione dei problemi che all’interno del contesto stesso hanno luogo. Nelle più recenti formulazioni psicologico-sociali sui motivi che regolano le azioni fra attori sociali, i temi della “reciprocità” e dell’“interdipendenza” stanno acquisendo una crescente rilevanza e – all’interno dei modelli di giustizia – stanno consentendo di spostare il centro delle attenzioni degli esperti e le implicazioni verso la qualità delle relazioni fra le parti. Non ancora quelle dell’opinione pubblica. Fuori dal raggio d’azione degli “addetti ai lavori”, vige (e spesso emerge in maniera drammatica e problematica) l’idea che chi sbaglia deve “pagare”, deve essere “punito”. Ma per cosa? E per cosa deve pagare? Risposta: “per aver fatto… (completare a piacere)”. Emerge, dunque, la chiave di lettura che chi ha fatto qualcosa l’ha fatto nei confronti di altri, all’interno di una situazione nella quale almeno due persone (attori sociali) hanno agito. E che le azioni di costoro sono sempre reciprocamente riferite (si ruba qualcosa a qualcuno, si vende o si truffa qualcosa a qualcuno, si reagisce con la difesa o con l’aggressione nei confronti di qualcuno, e così via). All’interno di questo orientamento, hanno preso forma nuovi modi di pensare la risposta di giustizia, dove la responsabilità costituisce sia criterio ispiratore, sia obiettivo da raggiungere. La cornice è quella del paradigma “riparativo”: la responsabilità per ciò che si è fatto (o che non si è fatto) è intesa rispetto al reato commesso (responsabilità dell’azione), ma anche, e soprattutto, a partire dal reato e come predisposizione delle condizioni affinché il suo autore possa apprendere le responsabilità attraverso azioni riparative delle conseguenze prodotte. In altre parole, i modelli di giustizia di tipo riparativo e relazionale evocano un’idea di riparazione della relazione nella misura in cui ciò che è stato infranto è il “patto” fra autore del reato, chi lo subisce e la comunità intera.
Non sono considerazioni così scontate. Il senso della riparazione non consiste in un mero risarcimento del danno, né nella punizione del reo. Evoca, invece, una visione di equilibrio fra parti della collettività fondato sulla ricerca del consenso, della condivisione, della pace sociale. Tali significati, ancora distanti dalla nostra capacità culturale di pensarne fonti e declinazioni, hanno radici antiche e ampi confini di culture. I recenti ordinamenti internazionali confermano la rilevanza culturale, giuridica ed operativa della giustizia riparativa.1 Riportiamo, di seguito, solo un elenco delle Disposizioni comunitarie ed internazionali tratto dai lavori della Commissione di studio “Mediazione penale e giustizia riparativa”.2
– La Dichiarazione di Vienna, 10-17 aprile 2000, X Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e il trattamento dei detenuti.
– La Risoluzione sui principi base sull’uso dei programmi di giustizia riparativa in materia penale dell’Economic and Social Council dell’ONU, n. 2000/14 del 27 luglio 2000.
– La Decisione quadro del Consiglio dell’Unione Europea relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale (2001/220/GAI del 15 marzo 2001).
– La Raccomandazione relativa alla Mediazione in materia penale, Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa n. R(99)19 adottata il 15 settembre 1999.
Va precisato che la mediazione non è l’unica via all’interno della giustizia riparativa. Quali altre soluzioni, allora?
Come proposto altrove (si veda la nota 1), il lavoro sulla responsabilità dell’autore e sui posizionamenti (in termini fattuali e narrativi) è uno degli strumenti che operatori, esperti e tecnici hanno a disposizione. Non è questa la sede per attraversare le diverse concezioni del tema della responsabilità. Basti dire che anche secondo i più recenti orientamenti scientifici di stampo psicologico-sociale e psicologico-giuridico, la responsabilità è andata incontro ad una crescente complessità interna che, dal modello base dell’attribuzione di un’azione a un individuo, ha sviluppato proposte innovative che considerano l’essere responsabili come un sensibile indicatore e regolatore della qualità e della tenuta dei rapporti sociali, delle interazioni tra individui, norme, istituzioni, ma anche di come le persone agiscono il proprio potere personale, i significati e la portata delle azioni, nonché le possibilità di cambiamento. A tale modello è possibile attribuire una posizione strategica nella costruzione di programmi di intervento pensati in riferimento al crimine ed al suo autore, alla prevenzione ed al trattamento, in un’ottica che include la collettività. A partire dagli anni ‘80, diversi studi segnalano la riduttività insita in un’analisi ingenuamente determinista delle cause (interne all’individuo) e degli effetti. Viene prefigurata la necessità di valutare la responsabilità nei contesti naturali, nelle interazioni e nelle conversazioni, dal momento che l’azione che ha prodotto la “frattura”, il danno, prende forma proprio nell’interazione. Il costrutto di responsabilità, come teorizzato da De Leo in un lavoro del 1996,3 costituisce un concetto strutturalmente interattivo.

È una qualità che si costruisce nei rapporti fra soggetto, azione, istituzioni e società, e, nello stesso tempo, è uno schema che organizza le relazioni tra individui, azioni, norme e collettività e che include aspetti psicologici, aspetti interpersonali e normativi ed aspetti istituzionali e sociali. La responsabilità rappresenta un requisito basilare della soggettività, ma è anche, soprattutto, una “funzione che circola” nelle interazioni fra le persone. Secondo questo orientamento, la responsabilità è legata alle richieste sociali ed ai sistemi di reciprocità. Si tratta di una concezione interattiva che produce uno spostamento dell’analisi scientifica dall’attribuzione di responsabilità, così come concettualizzata dalle teorie classiche della psicologia sociale, alla sua promozione, anche attraverso una sua assegnazione (presupponendola) che sviluppa, circolarmente, la possibilità che la responsabilità stessa venga assunta. Attribuire responsabilità ad un individuo configura il senso di un’opportunità di potenziamento personale, nel riconoscerlo capace di rispondere delle proprie azioni, e di una promozione di responsabilità – secondo un’ottica circolare – che si costruisce, si mantiene attiva e si modifica all’interno delle interazioni. Le capacità individuali di rispondere alle norme, agli altri, alle istituzioni, sono strettamente collegate alle richieste, alle aspettative e alle risposte degli altri.
In questa direzione, il movimento verso l’attuazione del modello riparativo-relazionale si sviluppa come tentativo di leggere il reato come conflitto che rompe le aspettative sociali simbolicamente condivise e produce, per le vittime, conseguenze a più livelli. Poiché la giustizia riparativa rappresenta una “restituzione” rivolta direttamente alla vittima del reato e indirettamente alla società nel complesso, non possiamo non pensare all’attivazione di una catena di responsabilità, alla progettazione di interventi capaci di coinvolgere la collettività nel problema gestionale della devianza in funzione dell’obiettivo finale di promuovere e far circolare responsabilità su più livelli. È, in ultima analisi, la previsione di una giustizia relazionale.

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1. Rimandiamo ad altre fonti per un approfondimento su ciascun documento. Fra queste, Patrizi e De Gregorio (2009), Fondamenti di psicologia giuridica. Un approccio psicologico-sociale, Il Mulino, Bologna.
2. La Commissione di studio presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (dal febbraio 2002) e la successiva istituzione di un Osservatorio permanente per il coordinamento e il monitoraggio delle esperienze in ambito riparativo sono coordinate dalla dott.ssa Maria Pia Giuffrida, attualmente Provveditore Regionale per l’Amministrazione Penitenziaria della Toscana.
3. De Leo G. (1996), Psicologia della responsabilità, Laterza, Bari-Roma. Gaetano De Leo è stato fra i principali interpreti della Psicologia giuridica nel nostro Paese; professore ordinario all’Università di Roma “La Sapienza” e all’Università di Bergamo, fu l’unico esperto di materie non giuridiche a far parte della Commissione Nazionale per la Riforma del Codice di Procedura Penale per i Minorenni.

Eugenio De Gregorio
Dottore di ricerca in Psicologia sociale, assegnista di ricerca presso l’Università di Genova,
già Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Palermo

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