Tra miti e realtà

Cellule staminali di varia origine sono state recentemente iniettate nel miocardio in una vasta serie di studi clinici, senza che il destino e la funzione delle cellule trapiantate sia stato definito in maniera precisa. Prima che le cellule staminali possano portare ad un reale beneficio clinico, sarà verosimilmente necessario rispondere ad una serie di questioni fondamentali.

Le cellule staminali vengono spesso presentate, e percepite dall’opinione pubblica, come una sorta di elisir di lunga vita, una sorta di pozione magica che porterà, nel prossimo futuro, alla soluzione di un ampio spettro di patologie degenerative. La rapida trasposizione dell’utilizzo di tali cellule dai laboratori di ricerca alla pratica clinica, avvenuta in diversi settori della medicina, ma senza che siano stati del tutto chiariti le reali potenzialità ed il verisimile meccanismo di azione di tali cellule, ha ulteriormente rafforzato la suggestione collettiva circa le prospettive future della medicina rigenerativa. Di fatto, esistono solamente tre casi in cui l’utilizzo di cellule staminali ha consentito di ottenere un reale beneficio terapeutico sull’uomo: il trapianto di cellule staminali ematopoietiche per la ricostituzione del midollo osseo, l’impiego di cellule staminali dell’epitelio corneale per il trapianto di cornea e l’utilizzo di cellule staminali dell’epidermide per la riparazione delle lesioni cutanee. In tutti gli altri settori, l’utilità delle cellule staminali per la rigenerazione di organi e tessuti rimane uno scenario possibile ed auspicabile, ma ancora lontano dalla realtà clinica. Solo una solida ricerca di base, accompagnata da un’intensa fase di sperimentazione animale, potranno definire ulteriori settori di applicazione delle cellule staminali e le loro reali potenzialità. Di seguito, verrà brevemente discusso lo stato dell’arte dell’utilizzo delle cellule staminali in cardiologia, insieme ad una serie di riflessioni suggerite dai risultati delle sperimentazioni cliniche recentemente condotte.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, le malattie cardiovascolari sono oggi responsabili di circa il 30% dei decessi in tutto il mondo, una percentuale che corrisponde a più di 17 milioni di morti all’anno. Di queste, 7.6 milioni (43%) sono dovute alla malattia ischemica del miocardio (infarto del miocardio e scompenso cardiaco). Circa l’80% di queste morti si verifica nei Paesi con prodotto interno lordo basso o medio (http://www.who.int/cardiovascular_diseases/en/). La necessità clinica di disporre di terapie innovative, rivolte a sostenere la rigenerazione del muscolo cardiaco, è, quindi, ovvia, e la possibilità di utilizzare cellule staminali a questo scopo rappresenta un entusiasmante obiettivo terapeutico. Di conseguenza, cellule staminali di varia origine sono state recentemente iniettate nel miocardio in una vasta serie di studi clinici, senza che il destino e la funzione delle cellule trapiantate sia stato definito in maniera precisa. Tra i diversi tipi di cellule staminali, ricordiamo le cellule staminali embrionali (le uniche cellule totipotenti, derivate dalla massa cellulare interna di un embrione durante i primi stadi di sviluppo)1, le cellule di derivazione midollare (sia le cellule staminali ematopoietiche, ossia progenitrici delle cellule del sangue, sia le cellule mesenchimali, che offrono sostegno e nutrimento agli elementi ematopoietici)2-4, le cellule staminali cardiache (progenitori staminali residenti nel cuore adulto)5 e i mioblasti scheletrici (che rappresentano la popolazione staminale in grado di rigenerare il muscolo scheletrico in seguito a danno)6. Per tutte queste cellule è stato dimostrato un certo grado di plasticità, la competenza, almeno in particolari condizioni sperimentali in laboratorio, di transdifferenziarsi e dare origine ad elementi cellulari propri del tessuto cardiaco (cardiomiociti, cellule endoteliali e cellule muscolari lisce), suggerendo così la capacità potenziale di contribuire alla rigenerazione del miocardio.

La maggior parte dei pazienti presenti in questo genere di studi è affetta da infarto del miocardio, È il razionale tentativo di preservare la funzione contrattile del cuore e prevenire la progressione verso la fase di scompenso cardiaco, che rappresenta la naturale evoluzione della malattia. Qual è stato l’impatto complessivo del trapianto delle cellule staminali nei pazienti infartuati? Considerando sia la sperimentazione animale, sia quella clinica, l’aspetto forse più sorprendente consiste nell’“universalità” del beneficio funzionale ottenuto dalla terapia cellulare, quasi indipendente dal tipo di cellule utilizzate: ‘tutto’ sembra funzionare, tuttavia, in misura contenuta o modesta. In effetti, gli approcci utilizzati appaiono complessivamente sicuri (in termini di comparsa di possibile effetti collaterali a breve-medio termine, quali eventi aritmici e trombotici), a fronte di un modesto miglioramento della funzionalità cardiaca7,8. Sebbene alcuni di questi studi abbiano inizialmente suggerito che i pazienti affetti da forme particolarmente severe di disfunzione miocardica potrebbero beneficiare maggiormente della terapia cellulare con cellule staminali, recenti evidenze sembrano smentire anche questa ipotesi9. Nonostante il grave peso sociale delle malattie cardiovascolari abbia ragionevolmente giustificato la precoce transizione clinica della terapia cellulare in ambito cardiologico, le evidenze sinora ottenute sull’uomo hanno chiaramente evidenziato la necessità di fare un passo indietro, verso la ricerca sperimentale, al fine di identificare alcune variabili fondamentali, che potrebbero spiegare i risultati contraddittori, comunque non entusiasmanti, ottenuti dalle sperimentazioni cliniche. In particolare, rimane da definire il tipo e la sorgente ideale delle cellule staminali da trapiantare, le modalità di prelievo e di trattamento ex vivo di tali cellule, nonché la dose, la tempistica e la via di somministrazione al paziente.

La maggior parte degli approcci sinora realizzati si è avvalsa di midollo osseo non frazionato, oppure di cellule mononucleate di derivazione midollare, iniettate attraverso un catetere intravascolare, direttamente nell’arteria coronaria ostruita, a pochi giorni di distanza dall’evento infartuale. Qualè, quindi, l’attuale stato dell’arte nell’utilizzo delle cellule staminali in ambito cardiologico? Volendo riassumere i risultati degli ultimi 20 anni di sperimentazione, potremmo dire che, a fronte di un potenziale enorme, dimostrato negli studi sperimentali pre-clinici, non siamo ancora riusciti ad ottenere un simile successo sull’uomo. Tale fallimento potrebbe essere ragionevolmente dovuto alla scarsa sopravvivenza delle cellule trapiantate a livello cardiaco. In tal senso, la possibilità di modificare geneticamente le cellule trapiantate o di fornire dei supporti di biomateriali appositi, generati dall’ingegneria tissutale, potrebbero offrire delle interessanti opportunità per migliorare l’attecchimento delle cellule staminali nel tessuto cardiaco10. Prima che le cellule staminali possano portare ad un reale beneficio clinico, sarà verisimilmente necessario rispondere ad una serie di questioni fondamentali. In primo luogo, servirà definire il meccanismo di azione di queste cellule. L’iniziale assunzione che tali cellule sono in grado di transdifferenziarsi nei tipi cellulari propri dell’organo bersaglio, dando origine a nuovi cardiomiociti e nuovi vasi sanguigni, è stata, chiaramente, smentita da numerose evidenze sperimentali e cliniche11. Piuttosto, l’effettivo ruolo di queste cellule potrebbe essere quello di fornire un cocktail di fattori di crescita e citochine con funzione trofica che, in maniera paracrina, sostengono la vitalità ed il funzionamento dei cardiomiociti sopravvissuti all’insulto ischemico12. In seguito, studi tossicologici a lungo termine saranno fondamentali per affermare la sicurezza di tali approcci, in particolare riguardo alla possibilità di tumorigenesi collegata all’utilizzo di particolari tipi di cellule staminali, quali quelle di derivazione embrionale. Infine, emerge la necessità di standardizzare le modalità di prelievo, trattamento e somministrazione delle cellule, al fine di poter paragonare i risultati ottenuti dai diversi sperimentatori e definire, così, il reale potenziale terapeutico di ogni tipo cellulare. Sebbene le cellule staminali, ad oggi, non siano state riconosciute nell’ambito della terapia standard di alcun tipo di patologia cardiologia, risulta sempre più pressante la richiesta di ‘cure’ innovative da parte dei pazienti affetti da diverse cardiopatie, per cui la medicina convenzionale non offre soluzioni valide.

Molti di questi pazienti vengono attualmente arruolati in studi sperimentali, scarsamente standardizzati e spesso gravati da un notevole peso economico. Le considerazioni sopra elencate indicano chiaramente che la terapia basata sulle cellule staminali in ambito cardiologico si trova ancora in una fase sperimentale precoce, e che pertanto i pazienti andrebbero scoraggiati dall’intraprendere dei protocolli terapeutici di cui non abbiamo ancora chiarito sicurezza ed efficacia. Ciò non significa negare l’utilità e l’opportunità della sperimentazione clinica finora condotta, quanto, piuttosto, valorizzare le informazioni da essa generate, al fine di comprendere i limiti delle strategie attuali e indirizzare così la ricerca verso il loro superamento. Ciò che invece deve essere decisamente scoraggiato, sia in cardiologia, sia in altri campi di applicazione della terapia cellulare, è il ricorso a fatiscenti Centri clinici, che spesso operano al di fuori delle regole della medicina sperimentale propria del mondo scientifico occidentale. L’offerta di terapie rigenerative miracolose, da parte di alcuni di questi Centri, specialmente attraverso internet, è preoccupante e pericolosa, e trova fertile terreno nella necessità dei pazienti, giustificabile dal punto di vista emotivo, di trovare soluzioni alle condizioni patologiche che la medicina convenzionale non riesce ancora a risolvere. Tuttavia, deve essere affermato con molta fermezza che il successo di ogni approccio di medicina rigenerativa non può prescindere dalla realizzazione rigorosa di programmi di ricerca nell’animale, seguiti dall’applicazione non prematura e controllata all’uomo, evitando quindi pericolose fughe in avanti non giustificate da solide evidenze sperimentali.

Mauro Giacca
Professore ordinario di Biologia Molecolare Univ. Trieste,
Direttore ICGEB and Molecular Medicine Laboratory

Serena Zacchigna
Ricercatore Molecular Medicine Laboratory,
International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB), Trieste

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