La Cell Factory

La cosa importante è, dal punto di vista di un Istituto come il Rizzoli, tenere come punto fermo la serietà della ricerca affiancata alla pratica clinica: non si può pensare, come qualcuno fa, di somministrare semplicemente un’infusione di cellule staminali e aspettare che facciano tutto loro.

Per parlare di cellule staminali nel contesto dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, vorrei partire dalle persone: i pazienti, che possono trovare in questo nuovo territorio una risposta di cura risolutiva e i ricercatori impegnati sul campo. Grazie alle cellule staminali, al Rizzoli, oggi, interveniamo su pazienti con lesioni di origine traumatica o degenerativa alla cartilagine del ginocchio, della caviglia, dell’anca, su pazienti che soffrono di pseudoartrosi e difetti di consolidamento, malattie congenite dell’osso, difetti ossei maxillo-facciali e altre patologie dell’apparato muscolo-scheletrico che non trovano beneficio in approcci terapeutici o chirurgici convenzionali. Possiamo utilizzare cellule staminali grazie alla presenza, nel nostro Istituto, di una Cell Factory, un Laboratorio in cui viene eseguito il trattamento delle cellule. A guidarla è la dott.ssa Alessandra Bassi (Direttore Tecnico), la quale, insieme ad uno staff di biologi e biotecnologi di altissima specializzazione, ha recentemente ottenuto l’autorizzazione prevista dalle leggi italiane ed europee per questo tipo di attività (in Italia le Cell Factories autorizzate sono complessivamente quattro e quella del Rizzoli, a tutt’oggi, è l’unica autorizzata per l’intero ciclo produttivo, comprensivo del laboratorio di produzione sterile e del laboratorio di controllo di qualità). Nella Cell Factory, all’interno di una camera sterile, prepariamo, in maniera asettica, cellule per terapia somatica avanzata (si chiamano così le terapie che si possono effettuare grazie alla manipolazione o trasformazione cellulare, a differenza di quelle basate sul trasferimento genico). Trattiamo cellule staminali di adulto. Dalla cartilagine ricaviamo condrociti, cellule che riparano la cartilagine.

Dal midollo osseo, invece, le staminali mesenchimali, che possono riparare diversi tessuti e, soprattutto, nel caso del Rizzoli, quello osseo. Fino ad oggi, la Cell Factory del Rizzoli ha curato soprattutto trapianti di cartilagine ingegnerizzata, condrociti “caricati” su un materiale biologico, una terapia già riconosciuta a livello internazionale e ritenuta particolarmente valida per la riparazione delle lesioni della cartilagine. Il paziente è donatore delle sue stesse cellule (donatore “autologo”). In un caso-tipo, il paziente si sottopone alla visita di controllo del chirurgo ortopedico, che ravvisa la necessità di un trapianto. Di solito, le lesioni più comuni sono quelle del ginocchio. Spesso, però, si tratta anche di altre grandi articolazioni. La lesione determina severi problemi funzionali, menomazioni gravi causate da traumi, ma anche da malattie. Dopo gli esami di idoneità, c’è l’intervento in artroscopia: da un punto di cartilagine sana, dove non poggia l’articolazione, si preleva un piccolo frammento che viene portato alla Cell Factory e introdotto nella camera sterile. Inizia, quindi, il processo di trattamento per ricavare delle cellule fuori dalla cartilagine (fuori dal tessuto). Queste devono essere fatte crescere in una coltura cellulare. Dopo circa quattro settimane di trattamento, otteniamo una “popolazione” di cellule, i condrociti, che diventano molto numerosi. Li “stacchiamo” e li mettiamo su un supporto di acido ialuronico oppure di collagene. Si tratta di un materiale biocompatibile, che fa da supporto (scaffold). Un quadratino di tessuto che ricostruisce la tridimensionalità della struttura del tessuto danneggiato (un gruppetto di cellule, senza supporto, non servirebbe a niente).

Le numerose cellule posizionate su questo supporto iniziano a costruire nuova cartilagine. Le cellule rimangono sul supporto per tre giorni. A questo punto, viene eseguita una nuova artroscopia o, se necessario, un intervento più complesso per inserire questo piccolo tessuto pieno di cellule (da 2 a 4 centimetri quadrati) nel punto della lesione. Le cellule, già ben attaccate sul supporto, non si disperdono nel liquido all’interno delle articolazioni: in questo modo, sono già a contatto del tessuto malato e iniziano a produrre nuova cartilagine sana. Questa possiede un marcatore particolare (il collagene di tipo 2), idoneo a far comprendere che si è prodotta cartilagine sana (nel linguaggio medico “cartilagine ialina”). Nel giro di pochi giorni, e praticando adeguata fisioterapia, il paziente può rimettersi in piedi e caricare di nuovo sull’articolazione. Di solito, il dolore scompare subito. Nel tempo, il tessuto attecchisce, trasformandosi in vera e propria cartilagine. Come detto, per il momento lavoriamo su donatore autologo: è lo stesso paziente che fornisce la materia prima, il tessuto, la cartilagine o il midollo osseo da cui ricaviamo le cellule. Questo avviene perché esistono problemi di compatibilità. Alcune cellule, come le mesenchimali, sono staminali multipotenti, in grado di dare origine a più tipologie di tessuti connettivi dell’organismo. Non vengono riconosciute come estranee, di un’altra persona. Questo ci permetterà di creare presto una “Banca di Cellule” a disposizione dei pazienti, partendo dalle cellule prelevate da un donatore di organi e tessuti o da quelle del cordone ombelicale. Al Rizzoli, abbiamo l’esperienza, dal 1961, della Banca del Tessuto Muscolo-scheletrico, citata spesso come Banca dell’Osso, la prima nata in Italia. Realizzare una Banca delle Cellule, dotate di scarsa probabilità di generare un rigetto, vorremmo fosse il nostro futuro.

Già da tempo stiamo effettuando sperimentazioni in questa direzione. Esiste un iter complesso, come quello seguito per ottenere l’autorizzazione della Cell Factory da parte dell’AIFA, l’Agenzia Italiana del Farmaco. Nel giro di qualche mese, potremmo, comunque, beneficiare di novità importanti in ambito sperimentale. Quando si parla di cellule staminali, le porte sono ancora aperte a molte ipotesi. La cosa importante, dal punto di vista di un Istituto come il Rizzoli, è mantenere come punto fermo la serietà della ricerca associata alla pratica clinica: non si può pensare, come fa qualcuno, di somministrare semplicemente un’infusione di cellule staminali per patologie diffuse e aspettare che facciano tutto loro. Può, invece, capitare una pseudoartrosi, un difetto di consolidamento di una frattura (un punto molle, ad esempio, a metà di una tibia), in cui è molto indicata la terapia con cellule staminali. Ci può essere, altro esempio, la cisti ossea, una parte dell’osso particolarmente debole a causa di una cavità, di un tessuto anomalo, di una bolla: si può togliere tutta questa parte e sostituirla con cellule mesenchimali, insieme ad osso di donatore, per ricreare una serie di condizioni il più possibile simile a quella fisiologica che porta alla guarigione. Procediamo mantenendo sempre insieme l’esperienza dei chirurghi, il rigore dei ricercatori, la preparazione degli operatori di produzione e dei controlli di qualità, che garantiscono la sicurezza dei trattamenti. E non dimentichiamo la lungimiranza di un sistema sanitario pubblico che, nel nostro caso, ha reso possibile l’utilizzo di cellule staminali in terapie di maggior efficacia per i pazienti.

Pier Maria Fornasari
Direttore della Banca del Tessuto Muscolo-scheletrico
dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna

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