Nel 2009 il Parlamento italiano ha discusso una legge che va sotto il nome del “pacchetto sicurezza”. Tra i provvedimenti proposti dalle nuove norme vi era un’opportuna proposta del senatore Gianpiero D’Alia (Udc) in tema di repressione di attività di apologia o istigazione a delinquere compiuta a mezzo internet.
Pareva proprio una buona notizia nel mondo della rete, una prima regola. Chiunque, come il sottoscritto, gestisce un sito o un blog e invitasse a disobbedire a una legge che ritiene ingiusta, sarebbe stato oscurato dal proprio provider. Il Ministero dell’Interno, infatti, a seguito di comunicazione dell’autorità giudiziaria, avrebbe potuto disporre con proprio decreto l’interruzione dell’attività del blogger, ordinando ai fornitori di connettività alla rete internet di utilizzare i corretti strumenti di filtraggio. La violazione di tale obbligo avrebbe comportato una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50 mila a euro 250 mila per i provider e il carcere per i blogger da uno a 5 anni per l’istigazione a delinquere e per l’apologia di reato, da sei mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all’odio fra le classi sociali. Ma qualcuno al solito ha gridato alla censura (!) ritenendo di porre in guardia rispetto a una presunta volontà di non si sa chi di mettere sotto tutela social network come Facebook oppure YouTube e tutta l’informazione libera che viaggia in rete. Nulla di tutto questo. Si trattava e si tratta solo di dare regole a un sistema la cui libertà assoluta è scambiata per una sorta di zona franca del rispetto delle leggi, di anarchia dove chiunque può diffamare, calunniare, scrivere falsità anonimamente o peggio ancora commettere reati anche terrificanti come quelli legati alla pedofilia on-line, reati che vanno assolutamente bloccati. Senza internet non avremmo avuto informazioni e immagini dall’Iran post elezioni anche se alcune di queste non erano veritiere e qui casca il palco, come si suol dire.
Ma in rete c’è anche una piaga terribile contro la quale la Polizia postale e delle comunicazioni opera continuamente: l’acquisto su internet e la detenzione su computer o supporti informatici di materiale pedopornografico. Spesso si trovano materiali pedopornografici contenuti all’interno di computer portatili, cd e floppy disk. Dischetti e processori che vengono, poi, analizzati dagli esperti informatici. Tra le ipotesi avanzate dai responsabili delle Divisioni investigative del Dipartimento centrale della Polizia postale vi è anche quella che dei filmati con contenuti pedopornografici siano prodotti anche in Italia. Se in alcune immagini ci sono degli sfondi che riconducono all’Italia o si sentono come sottofondo musiche di artisti italiani è lecito avere dei sospetti. A qualcuno sfugge, forse, che se si producono immagini poi destinate alla rete queste non sono quasi mai il frutto di fotomontaggi o creazioni al pc, ma d’immagini reali. Ciò dovrebbe far tremare ognuno di noi. La tragedia della violenza sui minorenni, bambini che chiedono solo di vivere la vita senza sopraffazioni e, appunto, violenze da parte di adulti criminali è reale e sussiste. Altro interrogativo: chi detiene materiale pedopornografico non lo fa abitualmente solo per un piacere visivo, che già di per sé è truce (stiamo parlando di bambini anche di tenerissima età), ma anche perché si dedica a quest’attività che, ripeto, è criminale. Meno gravi, talvolta, ma ugualmente dannose certe attività svolte nei cosiddetti social network. Ne ricordo uno. Che Facebook abbia ospitato un fans club a favore dell’antiacido Rupurut, con seguaci soprattutto in Friuli, non è una bella notizia. E non è bello che a difendere tale farmaco siano soprattutto i giovani che erroneamente ritengono che tale antiacido possa ingannare i controlli antialcool.
La pubblicità attuata al Rupurut è stata elevata e questo è un danno. Detto farmaco è un blando antiacido, venduto in Slovenia e vietato in Italia, che, causa la presenza di un eccipiente illegale, avrebbe come effetto secondario, si narra, quello di riuscire ad abbassare la presenza di alcool dalla famigerata alitata. Assurdità. Si tratta di una classica leggenda metropolitana, poiché gli etilometri in uso alle forze dell’ordine sono talmente ricercati da essere a prova di qualsiasi alcolemia. Perché mai allora si è permesso di avere la “bella pensata” di creare, addirittura un fans club su Facebook? Perché non esiste un controllo preventivo da parte dei gestori di questo social network finalizzato a impedire simili cretinate che possono essere dannose per la salute? Stando a quanto dicono i gastroenterologi, infatti, la continua somministrazione di antiacido in uno stomaco sano, potrebbe, col tempo, portare a patologie del sistema gastrico. Poco male, si dirà, rispetto a quant’altro si trova on-line: vendita di sostanze stupefacenti e dopanti, cessione di farmaci miracolistici per malati terminali, cialtronate che non dovrebbero avere diritto di esistere. Su tutto questo servono controlli e, perché no, censure preventive a vantaggio della salute di tutti, anche degli sprovveduti e di chi, magari in un momento di difficoltà, è più labile di altri rispetto e davanti a certe situazioni e si affida erroneamente a certi ciarlatani pronti a tutto pur di far cassa. Ma torniamo alle regole che dovrebbero normare la rete. Quando inseriscono il tuo indirizzo mail, privato o di lavoro che sia, in una rubrica per inviarti comunicazioni, magari ciclicamente, puoi richiederne la cancellazione.
Ciò è previsto dalla legislazione, precisamente dal decreto legislativo 196/2003. Basta inviare una mail con la semplice richiesta “Cancellami”. Qualcuno però non accetta un tanto e si arrabbia, magari definisce ipocrita la richiesta di cancellazione o non ne tiene conto e prosegue nell’inviarti i propri “feed” o messaggi. Può anche accadere che qualche comunicatore utilizzi il campo “A” della pagina di Outlook della propria mail per l’invio di un messaggio a un indirizzo di posta elettronica digitando, poi, un altro indirizzo sul campo “Cc”, quello dell’invio in copia conoscenza. Questi due destinatari non sanno e non sapranno mai, però, quante altre persone e chi riceverà quello stesso messaggio giacché inserite nel campo “Ccn”, copia conoscenza nascosta. E così può anche accadere che qualcuno ti rivolga delle domande attraverso un messaggio e magari mille altre persone (inserite in Ccn) sappiano che un determinato soggetto si è rivolto a te per porti quella domanda. Potremmo continuare all’infinito sull’uso improprio di mail e internet. La legge, come accennato, ti permette di chiedere d’essere cancellato da una rubrica, ma non sai se questo avviene realmente poiché magari, dopo qualche mese, ricevi nuovamente quel “feed”, in altre parole messaggi che non vuoi ricevere. Può accadere che tu abbia richiesto non solo a un soggetto, ma a tanti d’essere cancellato dalla loro rubrica e ciò solo per motivi d’organizzazione della tua posta elettronica, senza altri motivi reconditi o no. E capita che tu debba rivolgerti anche a un legale (privato per la tua posta elettronica personale o dell’azienda per quella di lavoro) per chiedere il rispetto di quanto contenuto nel citato decreto legislativo, quando le tue richieste non sono accolte direttamente.
Però succede anche che qualcuno s’arrabbi, e molto, per la tua richiesta di cancellazione e reagisca a questa in forma scomposta. Che fare? Chiedere ai navigatori on-line di non arrabbiarsi e di comprendere che non c’è nulla di personale, né tantomeno d’irriguardoso o altro nel chiedere d’essere cancellati dalla propria rubrica forse non basta, ma è bene rilevarlo. Lo stesso vale per Facebook. Sarebbe opportuno inviare richieste d’amicizia su questo e altri social network con allegato un messaggio di presentazione e anche qui non arrabbiarsi se il destinatario t’ignora o ti cancella quando, successivamente, attua una revisione del proprio profilo. Particolare attenzione occorre darla anche ai cosiddetti “gruppi” di Facebook. Molti sono simpatici, alcuni interessanti, altri sociali. Capita che un tuo “amico” ti proponga l’adesione a un gruppo (solitamente s’invia a tutti i propri amici), ma non è subito chiaro chi è il fondatore del gruppo o magari tu distrattamente non lo ricerchi prima di aderire. Anche in questo caso dai gruppi si può uscire e anche in questo caso non ci si deve arrabbiare se qualcuno attua tale azione. Insomma se ti cancellano on-line non te la prendere e lascia stare. Magari segui quel detto che dice che chi non ti vuole non ti merita (fa bene all’autostima) e vai per la tua strada senza contribuire a riempire la rete di denigrazioni, offese, insinuazioni, falsità, magari anonime, tendenti tutte a screditare una persona solo perché ti sei arrabbiato.
Daniele Damele
Dottore di ricerca in Politiche di Sviluppo e Gestione del Territorio
docente di Etica e Comunicazione all’Università di Udine
www.danieledamele.it