Anche se gli italiani hanno assistito ammirati all’elezione di Barack Obama, il primo “Presidente 2.0”, e alle proteste della popolazione iraniana dopo la rielezione di Mahmud Ahmadinejad, diffuse soprattutto attraverso video e testimonianze in rete, nel nostro Paese i nuovi media non hanno ancora conquistato un ruolo centrale nella comunicazione politica.
Anche se numerosi deputati, senatori, sindaci e amministratori utilizzano Facebook o Twitter, e i siti dei partiti offrono molte informazioni e qualche possibilità di partecipazione, l’unico caso in cui l’utilizzo di internet ha avuto un impatto politico significativo sono stati i “V-Day” organizzati dal comico Beppe Grillo. Eppure, la rete potrebbe contribuire significativamente ad un rinnovamento del rapporto fra cittadini e politica, non solo favorendo un dialogo più intenso tra governanti e governati, ma anche consentendo ai partiti, ormai indeboliti nei loro apparati sul territorio, di costruire forme di partecipazione nuove, efficaci, più congeniali ai cittadini contemporanei. Tre fattori hanno finora rallentato la diffusione di internet nella comunicazione politica italiana: il pubblico, il contesto istituzionale e le scelte dei partiti. In Italia, la percentuale di cittadini connessi alla rete e l’interesse per gli spazi di partecipazione e informazione politica on-line sono ancora molto bassi. Secondo Eurostat, nel 2008 gli italiani che si collegavano regolarmente al web erano appena il 37% della popolazione adulta, contro una media europea del 56%. Se internet rimane un mezzo periferico, anche il suo ruolo politico ne risulta sminuito: secondo il Censis, nella campagna del 2009 appena il 2,3% ha consultato i siti dei partiti. Persino per il “fenomeno Grillo” la rete non è stata fondamentale: all’indomani del primo “V-Day”, un sondaggio pubblicato su La Repubblica ha rivelato che quattro su cinque dei sostenitori del comico non frequentavano il suo blog. La prima ragione per cui la politica italiana è fredda nei confronti di internet è dunque che, viste le dimensioni ancora limitate del suo pubblico, può permettersi di evitarla. In secondo luogo, nel nostro Paese il contesto istituzionale non offre ai partiti incentivi robusti per investire in questo settore. Internet può infatti essere utile per ottenere finanziamenti elettorali, ma in Italia questi sono erogati regolarmente e generosamente dallo Stato.
Inoltre, la “par condicio” e la nostra cultura giornalistica consentono anche ai partiti minori di avere una visibilità sostanzialmente garantita sui media, ridimensionando così la spinta ad investire sulla rete come canale alternativo per raggiungere il pubblico. Infine, in Italia le campagne elettorali sono quasi sempre organizzate e finanziate dai partiti e non dai candidati: mentre i secondi, talvolta, sono propensi a percorrere strade inesplorate, i primi, come qualsiasi organizzazione matura, tendono a evitare rischi e a replicare metodi tradizionali. Un elemento del contesto istituzionale che potrebbe favorire una maggiore sperimentazione sui nuovi media è la diffusione delle elezioni primarie: esse, infatti, costringono i candidati a confrontarsi con un contesto fluido, incerto e competitivo, che moltiplica gli incentivi all’innovazione. La terza spiegazione fa riferimento alle scelte degli attori politici. Anche se le strutture sul territorio dei partiti di massa sono da tempo in declino, la mentalità dei dirigenti politici, soprattutto tra gli eredi della DC e del PCI, rimane ancorata ad un modello organizzativo che considera l’attività dei militanti come uno sforzo che deve essere tangibile, legato a rapporti faccia a faccia, attuato solo in luoghi fisici, controllato dal partito e concretizzato in un impegno a tempo indeterminato. Tutte queste caratteristiche mal si conciliano con la logica ibrida, flessibile, frammentata e decentrata che contraddistingue i nuovi media. Tuttavia, per modernizzare le organizzazioni dei partiti non occorre rinnegare le forme classiche di partecipazione politica, ma arricchirle con le nuove opportunità offerte dalla rete. Insomma, quello fra politica e internet nel nostro Paese è stato finora un matrimonio di convenienza piuttosto monotono. La possibilità che la situazione cambi, d’altra parte, è sempre concreta, soprattutto se saranno rimossi o ridimensionati alcuni dei fattori che ostacolano il cambiamento.
Cristian Vaccari
docente di Comunicazione Politica
Università di Bologna