La tutela dei diritti

Internet è uno strumento potentissimo per la diffusione della conoscenza, ma non si deve trascurare che può essere utilizzato anche per diffondere notizie false, per violare i diritti degli autori di contenuti, per diffondere immagini pedo-pornografiche, e così via.

L’avvento di Internet costituisce la più grande rivoluzione nelle modalità di comunicazione umana dal tempo dell’invenzione della stampa a caratteri mobili. Soltanto qualche lustro fa, il solo pensare che un documento potesse essere messo a disposizione di chiunque in tutto il mondo e, come si è ora soliti dire, in tempo reale (cioè immediatamente), sarebbe apparsa una follia. Tra l’altro, la rete Internet si sta rivelando efficacissima, non solo per diffondere contenuti, ma anche per conservarli. Alcune delle maggiori biblioteche del mondo stanno provvedendo a trasformare i contenuti di ciascuno dei volumi di cui sono in possesso in un file digitale. Questo permette, non solo la consultazione di milioni di libri a distanza e, spesso, senza oneri economici, ma anche di preservarne i contenuti per un tempo teoricamente illimitato, salvaguardando anche la conservazione dei volumi originali, non più necessariamente rimossi continuamente dagli scaffali per consentirne la fruizione. Ma, se Internet è uno strumento potentissimo per la diffusione della conoscenza, non si deve trascurare che può essere utilizzato anche per diffondere notizie false o, comunque, non controllate, per violare i diritti degli autori di contenuti, per diffondere immagini pedo-pornografiche, e così via. Poiché il progresso della scienza può essere ostacolato, rallentato, ma mai impedito, non mi sembra utile porsi il problema se possa ovviarsi ai rischi connessi all’uso di Internet escludendone l’accesso a tutti o a taluno, minori compresi. Il problema è allora difendere i fruitori dalla percezione di contenuti falsi, illegali o, almeno per i più giovani, diseducativi. Fino a qualche decennio fa, per documentarsi al fine, ad esempio, di redigere delle tesine, gli studenti dovevano ricercare in luoghi diversi, presso parenti e biblioteche, i testi che trattavano la materia da esaminare. Possedere una buona enciclopedia in casa era una fortuna e poteva incidere positivamente sul rendimento scolastico di un ragazzo.

Ora, i giovani si collegano ad un motore di ricerca, digitano il tema che a loro interessa e si vedono seppelliti da una quantità di documenti. Molti di questi contenuti, però, proprio perché immessi in rete da chiunque e senza controllo, sono molto modesti, inutili, o addirittura fuorvianti. Il problema di tutelare gli utilizzatori di Internet dalla percezione di contenuti di tal genere è di quelli grossi. Si può e si deve, ad esempio, domandare allo Stato di ostacolare la diffusione nella rete di immagini pedo-pornografiche, ma non si può pretendere che i pubblici poteri certifichino la validità scientifica di qualsiasi documento immesso su Internet. È agevole prevedere che questo servizio sarà offerto in un numero sempre maggiore di casi da apposite società, che però già ora richiedono spesso il versamento di somme di denaro per fornirlo. Questo rende meno affascinante il mondo della comunicazione digitale, che rischia di riproporre una selezione censuaria tra i fruitori di contenuti. Già nell’immediato, poi, occorre porsi il problema di tutelare gli autori di contenuti dalla diffusione non autorizzata delle loro opere. Il problema non riguarda solo i cantanti, ma pure chiunque pubblichi i risultati di una ricerca in qualsiasi materia, medicina, diritto o altro. Ho avuto modo di costatare che alcuni miei scritti sono stati ripubblicati su siti spagnoli o tedeschi senza che nessuno me ne avesse domandato l’autorizzazione. Non me ne dolgo, in fondo scrivo nella speranza di essere letto, ma se vivessi dei proventi delle opere pubblicate sarei parecchio preoccupato. Anche il legislatore italiano si sta sforzando di assicurare una tutela ai creatori di contenuti, ostacolandone la diffusione su Internet quando non autorizzata. Ma questi interventi probabilmente non bastano, perché è agevole per chiunque fotocopiare un libro o un articolo e metterlo in rete. Fino a quando i contenuti sono illecitamente proposti da un sito italiano, la tutela dell’autore è relativamente agevole.

Quando sono immessi in rete da un sito che ha sede in un Paese dell’Unione Europea, è ancora possibile. Ma se il sito che diffonde illegalmente contenuti si trova, ad esempio, alle Isole Cayman, assicurare una tutela giuridica all’autore diviene molto difficile. Un altro problema che Internet propone è la diffusione dei contenuti ad elevatissima velocità. Quando un autore riesce a venire a sapere che una sua opera è stata immessa in libera consultazione su Internet, anche se si attiva subito ed ottiene che il contenuto sia reso inaccessibile, sa bene che quell’opera può ormai essere stata riprodotta in formato digitale in un numero indefinito di copie in ogni parte del mondo, ed in qualsiasi momento uno dei fruitori della rete può nuovamente diffonderlo. Con Decreto congiunto dei Ministri per l’Innovazione e le Tecnologie, per i Beni e le Attività culturali e delle Telecomunicazioni del 23.7.2004, si è dato vita ad una Commissione interministeriale sui contenuti digitali nell’era di Internet. Grande pregio dell’iniziativa è stato quello di stimolare il confronto tra professionalità diverse: rappresentanti dei creatori e diffusori di contenuti (incluse le televisioni, pubbliche e private, e le compagnie telefoniche), esponenti degli editori, tecnici specializzati e giuristi. Il compito assegnato può sintetizzarsi nel proporre analisi e soluzioni al “dilemma digitale”, la “necessità di ricercare il giusto equilibrio tra diffusione dei contenuti e tutela della proprietà intellettuale nell’era della digitalizzazione”. L’ampia analisi svolta ha consentito di confermare che la tutela del diritto d’autore in ambiente Internet, per essere efficace, non può prescindere dalla larga diffusione dei sistemi di protezione dei contenuti, noti con la sigla DMR (Digital Rights Management) che hanno la funzione di disciplinare l’accesso alle opere dell’ingegno, eventualmente richiedendo al fruitore il pagamento di una somma. La Commissione ha anche valutato la prevedibile efficacia dell’adozione anche da noi del sistema, che sta assicurando risultati accettabili negli Stati Uniti, del notice and take down. In buona sostanza, chi si afferma autore di contenuti illecitamente immessi in rete può richiedere ed ottenere che gli stessi vengano oscurati.

Questo sistema presenta, però, specie da noi, degli inconvenienti. Se l’oscuramento viene disposto a seguito di una mera denuncia, infatti, nulla assicura che il richiedente avesse titolo a conseguirlo e si rischiano disastri. Si pensi all’ipotesi che qualcuno pensi di impedire la diffusione delle informazioni, ad esempio, su un’epidemia. Se invece si attendono i tempi, di regola molto lunghi, in cui la nostra giustizia riesce ad accertare chi sia titolare di un diritto, il successivo oscuramento potrebbe servire a ben poco, perché la velocità con cui Internet consente lo scambio comporta che, ormai, i contenuti siano diffusi ovunque ed eliminarne tutte le riproduzioni pare impossibile. Certo, chi richiede illecitamente il ritiro da Internet di un contenuto rimarrebbe esposto al rischio di dovere riparare i danni causati. Ma anche qui non è da malpensanti ipotizzare che gli oscuramenti più dannosi potrebbero essere domandati da qualche persona semi-analfabeta e nullatenente, in realtà prestanome di chissà chi. Tutti i sistemi di DMR sinora escogitati sembrano cedere di fronte alle più recenti evoluzioni del peer to peer sharing (scambio paritetico di contenuti). La prima generazione di questa modalità di condivisione dei contenuti è stata quella di Napster, che consentiva di scaricare brani musicali, anche protetti dal diritto d’autore, gratuitamente e senza il consenso degli aventi diritto (autori, case discografiche, distributori). In questo caso, esisteva un server centrale (nodo fisso) che permetteva di mettere in collegamento tra loro gli utenti, peraltro tutti identificabili. La soluzione è stata relativamente agevole: si è ottenuto l’oscuramento del server centrale e la tutela degli autori di contenuti è stata ripristinata. La seconda generazione del peer to peer, invece, è stata realizzata mediante c.d. nodi mobili, adottati da intermediari come Gnutella, Kazaa e numerosi altri. In questo caso, non c’è un server centrale, ma, utilizzando utenti civetta, le forze dell’ordine possono ancora intercettare i nodi mobili ed anche identificare gli utenti che forniscono o scaricano illecitamente contenuti.

La terza generazione dello scambio paritetico di contenuti utilizzando la rete è quella di Mute, e qui il problema diviene davvero complesso. In questo caso, infatti, manca il server centrale e pure i nodi mobili, gli utenti sono messi in contatto tra loro in forma anonima e ciascuno ottiene il documento che ricerca attraverso l’assemblaggio di frammenti che, di regola, provengono da fonti diverse. Per rendere l’idea, è come se gli utenti fossero tanti insetti messi a volare in una grande gabbia. L’insetto che ricerca un contenuto ottiene la consegna di un frammento ogni volta che incrocia un insetto che lo possiede, ed alla fine dispone di tutto il documento. La verità è che le tecnologie digitali si evolvono più rapidamente della capacità del legislatore di tutelare i diritti dell’individuo, autore o fruitore, da queste nuove forme di aggressione. Ma non è il peer to peer che deve essere criminalizzato. Si tratta di una formidabile opportunità per diffondere la conoscenza senza oneri per i fruitori. Non è lo strumento ad essere illecito, ma il modo in cui lo si utilizza. Impedire lo scambio paritetico di contenuti, ammesso che sia possibile, potrebbe essere un rimedio peggiore del male che si intende contrastare. Sarebbe come proibire a tutti di possedere un martello, sol perché qualche criminale può usarne uno per fare del male. Internet è una grande occasione di crescita culturale e di sviluppo, anche economico. Se noi italiani arriviamo tra i primi ad impossessarci delle nuove tecnologie e svilupparle, potremo rivenderle all’estero. Se non tuteliamo gli autori di contenuti, però, la cultura italiana rischia di estinguersi, perché progressivamente non avremo più contenuti da stampare o da immettere in rete, con danno anche economico, perché nessun editore avrà più interesse a finanziarne la produzione.

Paolo Di Marzio

Magistrato del Tribunale di Napoli, docente universitario

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