Il modo in cui si affronta il futuro è sempre più legato ad una nuova prospettiva di relazioni che si manifesta attraverso i social network e i blog. E, in qualche modo, i giovani europei ne sono lo specchio. Come internet, sono tutto ed il contrario di tutto. Meno legati ai valori nazionali originari, sono forse più omologati dentro una pseudo cultura globalizzante, sono bamboccioni o impegnati, responsabili o irresponsabili, più in funzione della propria capacità di mettersi in gioco che del contesto socio economico di appartenenza. I giovani ci chiedono di essere all’altezza degli interrogativi che questo “mondo liquido”, (come lo definisce giustamente il sociologo Bauman) ci pone. Forse non sono così felici di essere omologati come bamboccioni, anche se appassionati di politica e iscritti ad un partito. Quello che emerge anche da quest’ultima indagine dell’Unione Europea ci rende consapevoli che le culture giovanili possono diventare motore di sviluppo perché promuovono ricerca e attuano nuove forme e nuovi modi e non nuove mode.
Ciò evidenzia quanto sia necessario costruire un percorso di conoscenza condivisa tra mondo degli adulti e universo giovanile per ristabilire un insieme di valori comuni. I giovani intervistati (6 su 10) sono convinti che “nell’Italia del futuro le persone non dedicheranno più tempo agli altri”. Non è forse questo il messaggio politico più preoccupante, sia per i partiti, sia per noi cittadini comuni? È chiaro che una politica che usa solo il linguaggio degli slogan e non promuove azioni, comportamenti e, soprattutto, risposte concrete ai bisogni espressi e non, e non diventa modello di responsabilità sociale, continua a diffondere disorientamento, ad accentuare l’individualismo e l’irresponsabilità come “disvalore” diffuso. In questo senso, l’innovazione e le nuove tecnologie possono rappresentare la vera nuova sfida della politica, nella ricerca del dialogo vero e della trasparenza perché il web, per definizione, tende a mostrare senza filtri anche i limiti della società nella quale si vive. E, se è vero che l’ingresso del web nella vita e nelle abitudini della maggioranza dei cittadini ha cambiato, e molto, il modo di relazionarsi, informarsi, acquistare, viaggiare, ad oggi, almeno in Italia, ha cambiato poco il modo in cui rapportarsi nei confronti delle istituzioni e, in particolare, della politica.
Gli studi periodicamente realizzati evidenziano uno sviluppo a macchia di leopardo nella Pubblica Amministrazione, che faticosamente si sta adeguando agli standard ed alle logiche operative di dialogo e trasparenza che il web impone. Sottolineano le carenze infrastrutturali che limitano l’accesso alle nuove tecnologie in molte parti d’Italia e la scarsa alfabetizzazione che crea una forte diseguaglianza tra i giovani e i meno giovani e tra i ceti più alti e quelli più bassi della popolazione. A fronte di questo quadro, fatto ancora di luci ed ombre, la politica, i partiti ed i loro rappresentanti si caratterizzano per una posizione addirittura più arretrata. Dal basso, arriva una richiesta di dialogo e di apertura, blog, social network (YouTube, my space, Facebook e altri) stanno crescendo in maniera esponenziale, ma quasi niente di ciò è entrato a far parte della cultura politica italiana. I blog sono pochi e poco frequentati ed i siti dei partiti mostrano tutti i limiti di una scarsa interattività. I politici italiani, in generale, non dialogano, non ascoltano. Il web non è percepito come una risorsa, un luogo dove sperimentare idee e progetti. Del resto, il web impone trasparenza, responsabilità per ciò che si afferma, nella consapevolezza di dovere fornire quanti più elementi possibile per una valutazione oggettiva. Questo non sembra far parte del linguaggio della politica italiana, tutta concentrata tra i pastoni dei tg e la kermesse urlata dei talk show che abbondano su tutte le reti, pubbliche e private. In definitiva, si può affermare che la politica italiana non ha ancora colto la chance che Internet può offrire. E questo mentre utenti/cittadini/elettori dialogano, discutono dei temi più diversi, si informano e confrontano l’operato delle nostre istituzioni con quello degli altri Paesi, europei e non.
Francesco Pira, sociologo e giornalista, docente di Comunicazione e Relazioni Pubbliche – Università degli Studi Udine