Il cybercrime

È necessario contrastare il fenomeno che porta all’offesa dell’altrui reputazione ma anche prevenire e punire gli aberranti reati di cui sono vittime i minori, come gli adescamenti e la pedo-pornografia, le truffe e i furti, anche d’identità.

Insultare sul web sembra essere una moda molto diffusa. Negli Stati Uniti, la Corte Suprema di New York ha ordinato a Google di comunicare il nome del blogger che aveva offeso la modella canadese Liskula Cohen, diffamandola pubblicamente con una serie di messaggi su un blog. La sentenza è importante, non tanto perché Google ha dovuto comunicare il nome dell’utente, ma perché tutto ciò accade negli Stati Uniti. La tutela della privacy, in quel Paese, è particolarmente intensa e la sola circostanza che si obblighi a superare quel limite offre il campo ad un cambiamento di costume che avrà riflessi non solo in quella Nazione. “La protezione del diritto di comunicare anonimamente deve essere bilanciata dall’esigenza di assicurare che le persone che scelgono di abusare di questo mezzo possano rispondere di una trasgressione”. In questi termini si è espresso il giudice americano, confermando che non possa sussistere nessun terreno di impunità, neppure in quel Paese. La notizia è l’occasione per soffermarsi sul concetto di reato per mezzo di internet. Alcuni, sprovveduti, internauti, pensano che la rete sia un’isola felice, dove poter offendere, diffamare, calunniare, minacciare. È bene chiarire che così non è. L’art. 595 del codice penale tutela la reputazione e l’onore con una pena fino ad un anno e, nel caso di offese via internet, con una pena da sei mesi a tre anni. Chiara è la tutela anche per le minacce, con pena fino ad un anno, se sono gravi. E a nulla vale che il server sia all’estero. La Cassazione afferma che “qualora i messaggi internet, pubblicati in territorio estero, siamo recepiti in territorio italiano, sarà competente il giudice italiano”. Tutti gli Stati hanno adottato normative specifiche, accordi e collaborazioni internazionali per la lotta al cybercrime. Si intendono tutelare quelle situazioni che portano, non solo all’offesa dell’altrui reputazione, ma anche a prevenire e punire gli aberranti reati di cui sono vittime i minori, come gli adescamenti e la pedo-pornografia, così come le truffe e i furti, anche d’identità.

Sono dunque nate nuove tipologie di reati, a cui sono stati assegnati nomi di estrazione anglosassone: phishing, boxing, skinning, trashing. La rete è l’occasione più opportuna per i pedofili e per tutti i criminali che lucrano su quelle ignobili devianze sessuali. Un’immagine rappresentativa del rischio a cui vanno incontro i minori lasciati soli su internet è stata pronunciata da un’agente della Polizia durante un convegno sull’argomento: “è come lasciare il proprio bambino nella sua stanza ma con la porta di casa aperta”. Immagine inquietante, forse un po’ terroristica, è vero, ma che bene rappresenta la rete quale luogo privo di cautele, dove il pedofilo agisce e adesca, indisturbato, le proprie vittime. L’Italia ha adottato una normativa molto severa per chi utilizza i minori per la pornografia, produce materiale pornografico, ovvero induce minori di anni diciotto a partecipare ad esibizioni pornografiche. L’art. 600ter del codice penale punisce con pene da sei a dodici anni anche chi commercia materiale pedo-pornografico. La sanzione penale è estesa anche nei confronti di coloro che distribuiscono o divulgano notizie o informazioni finalizzate allo sfruttamento sessuale dei minori, con pene da uno a sei anni di reclusione. Non è esente da sanzione penale anche chiunque offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, detto materiale, con la reclusione fino a tre anni. È opportuno sottolineare che l’art. 600quater punisce anche la mera detenzione, consapevole, di materiale pornografico con minori e persino la detenzione di immagini anche “virtuali”, realizzate utilizzando immagini, o parti di esse, di minori di anni 18. La Corte di Cassazione osserva come il legislatore abbia inteso punire anche la semplice detenzione di materiale pedo-pornografico, quindi anche quella che costituisce l’ultimo anello di una catena di variegate condotte antigiuridiche, di lesività decrescente nei confronti dei minori, iniziate con la produzione del materiale stesso e proseguite con la sua commercializzazione, cessione, diffusione. Ci si augura che il Parlamento approvi prima possibile il disegno di legge per l’introduzione, anche nel nostro ordinamento, del reato di “grooming”. Con questo termine si indicano tutte quelle modalità di adescamento utilizzate dal pedofilo, condotte che attengono a perverse e subdole modalità di “cura” (grooms) del minore da adescare, come ricevere informazioni sulla vita privata, inviare foto o avere notizie su eventuali controlli della famiglia. Un processo meticoloso, quello del pedofilo.

Catturare la fiducia, indebolire la volontà, superare le istintive resistenze. L’ultima fase attiene all’indagine sulla vita sessuale del minore e sulla manipolazione nel convincerlo della normalità del sesso tra adulti e bambini. Il grooming può durare settimane, anche mesi, all’insaputa di tutti. Il fine, ovviamente, è arrivare all’incontro, al contatto fisico, alla violenza. Nel nostro Paese, un ruolo fondamentale a tutela anche di queste situazioni di rischio è svolto dalla Polizia delle Comunicazioni. Il perfezionamento delle tecniche investigative consente a questo specializzato organo della Polizia di svolgere indagini e di raggiungere gli autori di reati che, non molto tempo fa, rimanevano ignoti. Un’opera di monitoraggio della rete che ci pone all’avanguardia nei sistemi di sicurezza, con una particolare attenzione alla prevenzione. L’introduzione del reato di grooming sarebbe un efficace strumento per la Polizia per intervenire tempestivamente e prevenire una possibile violenza. Il minore, dunque, vittima, ma anche autore di reati, nelle nuove figure cosiddette di cyberbullismo. Adolescenti che usano la rete per compiere atti offensivi, minacciosi, intimidatori o per denigrare i loro coetanei. Il nuovo reato di stalking può essere applicato anche a queste nuove forme persecutorie. Molte volte, e parlo per esperienza professionale, ci si imbatte in ragazzi, ma anche in adulti, che sottovalutano determinati comportamenti a rischio. Altri, invece, neppure possiedono la percezione dell’offensività di alcune parole dette o del tenore minaccioso, penalmente rilevante, di determinate frasi. Sembra che si sia perso quel senso della realtà, della realtà delle parole, quasi svuotate anche nella loro accezione offensiva. Senza addentrarmi troppo in materie che non mi competono, ritengo però che la scuola possa rappresentare il canale migliore per l’attuazione di programmi di prevenzione dai rischi di adescamento e di pedo-pornografia e che sia un atto di saggezza la reintroduzione, nelle scuole, dell’educazione civica. L’acquisizione dei principi generali della convivenza civile, l’analisi delle norme costituzionali e della loro genesi, consentirebbero di poter leggere la società contemporanea con gli occhi del Costituente e spiegare che onore e dignità delle persone sono valori sui quali si è formata la coscienza civile del nostro Paese. Inoltre, grazie ad essi, senza retorica, sono nati quei principi costituzionali che consentono ad ognuno la libertà di espressione, anche su internet.

Roberto Casella

Avvocato appartenente al Foro di Bologna

esperto di diritto penale minorile

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