Fuga dalla realtà

Una caratteristica importante tra gli internet dipendenti è la negazione del problema come spesso accade con qualunque altro tipo di dipendenza. È molto difficile infatti chiedere aiuto per qualcosa che la maggior parte delle persone apprezza per il suo valore innovativo.

Negli ultimi anni, internet ha ampliato le possibilità di comunicazione e di accesso alle fonti di informazione. Questo fatto ha però prodotto degli stati di disagio psicologico che molto spesso si esprimono con sintomatologie simili a quelle che si osservano nelle dipendenze. Esiste una vera e propria psicopatologia, Internet Addiction Disorder (I.A.D.) – dipendenza da Internet -, termine coniato da Ivan Goldberg nel 1995, che può essere paragonata al gioco d’azzardo patologico, come diagnosticato dal DSM-IV. Infatti, la parola addiction si riferisce ad una dipendenza patologica, una ricerca reiterata di una forma di piacere che crea disagio per dipendenza. Più recentemente (Jader Jacobelli, La realtà del virtuale, Laterza, 1998), per individuare e distinguere i segni di dipendenza da rete dal consumo non patologico di Internet, si fa riferimento ad alcuni comportamenti. Essi rappresentano degli indicatori qualitativi o quantitativi di differenza tra normalità e patologia e hanno permesso di distinguere 3 tappe nel percorso verso la forma più stabile della Dipendenza Patologica dalla rete.
1. Prima tappa o fase iniziale. È caratterizzata dall’attenzione ossessiva a temi e strumenti inerenti l’uso della rete. Genera comportamenti quali controllo ripetuto della posta elettronica durante la stessa giornata, ricerca di programmi e strumenti di comunicazione particolari, prolungati periodi in chat.
2. Seconda tappa o tossicofilia. È caratterizzata dall’aumento del tempo trascorso on-line, con un crescente senso di malessere, agitazione, mancanza di qualcosa quando si è scollegati (condizione paragonabile all’astinenza). Inizialmente, ciò era associato anche ad un notevole aumento delle spese, cosa che spesso rappresentava un lieve fattore di inibizione della tossicofilia. Oggi ciò è pressoché irrilevante, date le numerose possibilità di rimanere a lungo collegati a basso costo. Restano, tuttavia, importanti indicatori di tossicofilia il malessere soggettivo off-line e l’abuso on-line.
3. Terza tappa o tossicomania. È la fase in cui la dipendenza da rete agisce ad ampio raggio, danneggiando diverse aree di vita, quali quella lavorativa, delle relazioni reali e quella scolastico-lavorativa. Si rilevano problemi di scarso profitto, assenteismo scolastico-lavorativo e isolamento sociale, anche totale.
In letteratura, sono state individuate 4 categorie di elementi che contribuiscono all’insorgere di psicopatologie legate all’uso di Internet:
1. le psicopatologie preesistenti. In più del 50% dei casi la IAD può essere indotta da alcuni tipi di disturbi psichici preesistenti;
2. le condotte a rischio (“eccessivo consumo”, riduzione delle esperienze di vita e di relazione “reali”, ecc.);
3. eventi di vita sfavorevoli (problemi lavorativi, familiari, ecc: “internet come valvola di sfogo”);
4. le potenzialità psicopatologiche proprie della rete (anonimato e sentimenti di onnipotenza che possono degenerare in pedofilia, sesso virtuale, creazione di false identità, gioco d’azzardo, ecc.).
Ogni dipendenza implica dei meccanismi quali la tolleranza (per cui si è costretti ad aumentare le dosi di una sostanza per ottenere lo stesso effetto), l’astinenza (con comparsa di sintomi specifici in seguito alla riduzione o sospensione di una particolare sostanza) e il “craving” o smania, che porta ad un fortissimo e irresistibile desiderio di assumere una sostanza. Desiderio che, se non soddisfatto, causa intensa sofferenza psichica e, a volte, fisica, con fissazione del pensiero. Questi elementi sono tipici di dipendenze quali tabagismo, alcolismo e gioco d’azzardo. Sono anche riconoscibili in quanti l’uso eccessivo di Internet soddisfa, sul piano virtuale, quel che non si riesce ad ottenere nella realtà. Alla fine, si percepisce il mondo reale come un semplice ostacolo o impedimento all’esercizio della propria onnipotenza, sperimentata con immenso piacere nel mondo virtuale. Le chat sono un ulteriore mezzo di “potere” per scappare dalla vita reale e dai problemi. La persona è libera di usare la fantasia per presentarsi agli altri e nell’immaginarli: si incontrano facilmente persone che dichiarano un’identità diversa da quella reale. In tal modo, chi chatta ha la possibilità di realizzare in modo virtuale il proprio “io ideale” e, di riflesso, sentirsi finalmente realizzato, anche se solo virtualmente. Con queste sensazioni piacevoli a portata di mano, come si fa a spegnere il computer e tornare alla realtà? È evidente che, attraverso internet, si possono provare intensi e piacevoli sentimenti di fuga, superando on-line i problemi della vita reale, con un effetto simile ai “viaggi” causati da alcune sostanze stupefacenti. I soggetti che utilizzano le rete tendono ad alterarsi facilmente con chi disturba il loro “viaggio”.

Esperienza, questa, che può essere paragonata alla risposta del fumatore che dice a se stesso “solo un’ultima sigaretta e andrò a dormire”. Lo stesso procedimento viene messo in atto dagli internet dipendenti che rispondono irritati a chi chiede loro di disconnettersi “ancora un minuto e spengo”, oppure dicono a sé stessi razionalizzando “un altro minuto non farà molta differenza”. Ma poi rimarranno connessi ancora ore ed ore. Altra caratteristica importante tra gli internet dipendenti è la negazione del problema, come spesso accade con qualunque altro tipo di dipendenza. È molto difficile, infatti, chiedere aiuto per qualcosa che la maggior parte delle persone apprezza per il suo valore innovativo. Molti utenti rischiano di allontanarsi dai rapporti interpersonali “faccia a faccia”, indispensabili per una vita sana e socialmente equilibrata, preferendo relazioni virtuali; queste, inevitabilmente, portano ad una spersonalizzazione. Purtroppo, sempre più spesso si vedono i canali chat come unico e solo mezzo per incontrare poi nella realtà altre persone, dove ci si descrive diversi, come si vorrebbe essere. Ma è nella realtà che viviamo, non nella chat. Tuttavia, bisogna riconoscere il valore comunicativo della chat dato da un suo uso intelligente e consapevole, tenendo però ben presenti i suoi limiti.
In conclusione, stare collegati per ore ed ore è forse un modo per ingannare noi stessi, un modo per lasciare che la rete rubi il tempo alla nostra vita.

Tiziano Agostini

Professore ordinario, direttore dipartimento di Psicologia – Università di Trieste

Elisa Mattaloni

Dottoressa in Scienze e Tecniche Psicologiche – Università di Trieste

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