Alla ricerca di un antivirus

Davanti al computer superiamo più facilmente reticenze e imbarazzi della vita reale, riversiamo in rete foto nostre e di altri, riflessioni di qualunque tipo, di carattere politico, su preferenze sessuali, sulle scelte più intime.

Il social network è uno strumento utile e un giocattolo divertente. Consente forme di comunicazione e partecipazione eccezionali. Dalla chiacchiera con amici – vicini e lontani – a scambi di video, materiali, iniziative di sensibilizzazione sui temi più diversi, campagne umanitarie, politiche e approcci di varia natura. Si tratta, tuttavia, di siti web che spesso infondono la percezione di uno spazio “privato” (a cominciare dal nome, ad esempio “Myspace”) e che invece possono esporre a seri rischi la sfera personale dei partecipanti. Davanti al computer, superiamo più facilmente reticenze e imbarazzi della vita reale. Riversiamo in rete foto nostre e di altri, riflessioni di qualunque tipo, di carattere politico, su preferenze sessuali, sulle scelte più intime. Senza pensare che, una volta immesse in rete, le informazioni hanno una diffusione pressoché illimitata, nello spazio e nel tempo. Riempiamo questi contenitori di informazioni con l’aspettativa che parenti e amici siano i soli destinatari e non contempliamo che altri possano adoperare quei dati per altri fini (ad es. potenziali datori di lavoro in vista dell’assunzione). O che siti definiti “riservati” finiscano per risultare accessibili a terzi. Altre persone possono poi pubblicare immagini e informazioni sul nostro conto scomode, addirittura offensive, e che mai vorremmo condividere con una platea di utenti. La facilità di immissione delle immagini (anche da parte nostra) non corrisponde ad una possibilità di eliminazione altrettanto semplice.

Le informazioni, infine, si prestano a furti di identità o vengono utilizzate da società (dati di traffico compresi) a fini commerciali. Accanto ad un crescente impiego del social network per scopi costruttivi, partecipativi, democratici, le cronache continuano a riportare fatti legati ad un suo utilizzo a dir poco improprio. Immagini tratte da Facebook, manipolate e immesse su siti pornografici. Suicidi di adolescenti per la vergogna di sapere che le proprie foto osé scattate dall’ex-fidanzato vengono postate, a suggellare la fine della love story, sul web. Casi di pubblicazione su Facebook, da parte del personale ospedaliero, di foto di pazienti con tanto di commenti ironici sul loro stato. O, ancora, il “prelievo”, a dir poco inaccurato, di immagini tratte da profili personali degli utenti e riproposte in articoli di cronaca. Come avvenuto quando un quotidiano, a corredo della notizia della morte di una donna vittima del recente terremoto in Abruzzo, ha pubblicato la foto tratta dal profilo su Facebook di un’omonima della vittima. Il problema della scarsa capacità di controllo sulle informazioni è accentuato dalla difficoltà di rimuovere le informazioni che ci riguardano immesse sul web. Anche dopo aver cancellato il proprio profilo, i dati continuano ad essere in possesso dei database e, una volta in rete, diventano reperibili per decenni, senza che li si possa “neutralizzare”. Molto spesso, anche grazie ai motori di ricerca, in grado di raccogliere ed assemblare le notizie più disparate, comprese quelle molto datate, non vere o che, semplicemente, non ci corrispondono più. Non esiste una formula in grado di risolvere la questione della privacy sul social network. Parliamo di un ambiente, quello telematico, estremamente fluido, nel quale ogni reazione deve avvenire nel rispetto della libertà di espressione. Tante e tali le sfumature e le peculiarità delle attività che si svolgono in questi contenitori telematici, che le stesse regole devono entrare a far parte di una strategia combinata. Che metta insieme misure giuridiche, tecniche, e (soprattutto) di sensibilizzazione degli utenti. Noi, utenti, possiamo fare molto per evitare che un uso troppo spigliato del social network comporti danni ad altri e a sé.

Qualche “consiglio per l’uso”:
1. Pensarci bene prima di pubblicare i propri dati personali (soprattutto indirizzo, numero di telefono) in un profilo-utente.
2. Tenere a mente l’eventualità che certe immagini o certe informazioni riemergano in occasione di colloqui di lavoro.
3. Usare, in certi casi, pseudonimi, meglio se diversi in ciascuna rete in cui si partecipa.
4. Astenersi dal pubblicare informazioni personali relative ad altri senza il loro consenso.
5. E poi ancora,: informarsi su chi gestisce il servizio e quali garanzie presta il fornitore del servizio rispetto al trattamento dei vostri dati personali. Utilizzare impostazioni orientate alla privacy, limitando al massimo la disponibilità di informazioni, soprattutto rispetto alla reperibilità dei nostri dati da parte dei motori di ricerca. Usare login e password diversi da quelli utilizzati su altri siti web, ad esempio per la posta elettronica o la gestione del conto corrente bancario. Esercitare un controllo sull’utilizzo dei propri dati personali da parte del fornitore del servizio; ad esempio, rifiutando il consenso all’utilizzo dei dati per attività mirate di marketing. È forse questo “l’antivirus” che più ci occorre e che consiste nel diventare utilizzatori più attenti ai diritti, propri e degli altri.

Mauro Paissan

Componente dell’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali

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