Figli dello stesso dio

Se con un qualsiasi motore di ricerca inserisci la parola ”famiglia”, almeno metà della prima pagina è invasa dai link Famiglia Cristiana, Pontificio Consiglio per la famiglia. Ne consegue che la parola “famiglia” è stata catturata dalla religione cattolica, anche nel contesto di uno stato che dovrebbe essere laico.

 

L’Agedo, Associazione genitori e amici degli omosessuali, promuove ogni anno la visibilità di tantissime famiglie nel cui interno c’è una persona GLBT. Partita dall’accoglienza e dall’ascolto, oggi, oltre a questo suo compito tradizionale, si occupa anche dello sviluppo e del riconoscimento dei diritti delle famiglie per i propri figli. Nel 2006-2008 ha partecipato al progetto Daphne in ambito europeo intitolato “Family matters. Supporting families to prevent violence against gay and lesbian youth” coordinato dal Dipartimento di Ricerca Sociale dell’Università del Piemonte orientale, in collaborazione con le associazioni di familiari di omosessuali in Italia (Agedo), Spagna (Ampgl) e Gran Bretagna (Flag), producendo il film documentario due volte genitori che parla delle reazioni alla scoperta dell’omosessualità del proprio figlio e che rivede comunque tutti i rapporti tra genitori e figli. Il film-documentario sta avendo molto successo ed ha partecipato a parecchi festival nazionali ed internazionali. Nei racconti dei genitori di gay e lesbiche coinvolti nell’Agedo, la scoperta di avere un figlio omosessuale è rappresentata come inizio di un processo di ridefinizione della loro identità, che conduce anche a un mutamento della loro visione del mondo. I genitori sembrano dare senso a quanto accaduto anche ricostruendo una continuità nella storia familiare e, infine, oltre alla necessità di fare i conti con i propri stereotipi e pregiudizi sull’omosessualità e di integrarla nell’esperienza familiare, ai genitori di un figlio omosessuale si presenta un’altra sfida: il problema del coming-out, di quanto rendersi visibili e di come affrontare stereotipi e pregiudizi nel proprio contesto sociale, tra parenti, vicini di casa, amici, colleghi. E come per gay e lesbiche, anche per i genitori il coming-out non è un evento individuale, ma un processo interattivo, che avviene in un contesto in cui i modi in cui si viene riconosciuti contribuiscono a ridefinire la propria identità (Chiara Bertone, Dentro la famiglia la sfida dell’omosessualità). Superato questo stadio, cosa desidereremmo noi genitori per i nostri figli? Senz’altro una parità di diritti in uno stato laico e democratico. Per arrivare a questo bisogna introdurre un cambiamento concettuale e anche linguistico nel nostro modo di vedere la società. Per prima cosa dovremo riprendere in considerazione la parola famiglia e trasformarla in famiglie; e già questa è una cosa difficile, osteggiata com’è dalle strutture politiche della Chiesa. Se con un qualsiasi motore di ricerca inserisci la parola ”famiglia”, almeno metà della prima pagina è invasa dai link Famiglia Cristiana, Pontificio Consiglio per la famiglia e altre voci tutte sulla stessa lunghezza d’onda. Ne consegue che la parola “famiglia” è stata catturata dalla religione cattolica, che l’adopera come uno stop anche nel contesto di uno stato che dovrebbe essere laico.

Partendo da questo assunto, non c’è nessuna speranza che per i nostri figli gay, lesbiche e trans si possa pensare all’esistenza di una famiglia codificata nel suo linguaggio e nelle sue leggi. Purtroppo, per questi nostri figli e per la loro vita affettiva viene negato il diritto ad essere, un diritto che passa anche attraverso la nominabilità. La lingua organizza il senso delle cose e la loro nominabilità. Ma dobbiamo prendere atto, e questo non avviene solo per la comunità GLBT, che in ambito sociale si vanno strutturando nuove famiglie dove sempre più spesso si crescono dei figli di cui non si è genitori biologici. Ci sono bambini che hanno fratelli che non avrebbero mai conosciuto e impensabili nonni; ma questo ormai passa nella quotidianità, mentre si notano disagio e fastidio quando la coppia che cresce i figli è una copia omogenitoriale. Anche in Agedo spesso si discute di queste nuove opportunità, poiché oltre che con gli stereotipi della famiglia per antonomasia, bisogna confrontarsi con tutta una serie di problemi etici non ancora sedimentati nella nostra cultura, come la fecondazione eterologa o quella assistita. Poiché tutti noi pensiamo comunque ad un futuro “normale” per tutti, e quindi anche per i nostri figli, speriamo che il legislatore sappia trovare presto una strada percorribile e regolamentata di queste nuove forme culturali. Per questo noi d’Agedo siamo in rete con le famiglie ARCOBALENO (genitori omosessuali), che con la loro esperienza ci hanno saputo dimostrare che per educare bene i figli non c’è bisogno di figure preconfezionate, ma di amore. Siamo anche in collegamento con la rete LENFORD, una rete di avvocati che si prendono cura di strutturare nuovi diritti per assicurare giustizia a nuove forme familiari. Che dire ancora? Noi genitori AGEDO non possiamo che augurarci la felicità dei nostri figli e questa di sicuro passa attraverso la visibilità e la parità dei diritti. Il giorno che questo avverrà noi chiuderemo i battenti per tornare ad essere quello che siamo, mamme, nonne, zie, in una società paritaria e democratica.

Rita De Santis
Presidente nazionale AGEDO (Associazione di genitori e amici di omosessuali)

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