Traffico di carne umana

In pochissimi anni “le risorse umane” presenti sulle arterie cittadine più trafficate hanno subito un aumento impercettibile, ma inesorabile. Ragazzine dai tredici ai sedici anni vestite da veline si prostituiscono nella piena incoscienza propria della loro età, sotto gli occhi vigili dei controllori che a volte sono ancor più giovani di loro.

La globalizzazione da un lato e le spinte politico/migratorie dall’altro  continuano a creare processi di spostamento dall’Est all’Ovest dell’Europa. Tale flusso, che investe l’Italia in modi e tempi assolutamente “etno-diversi”, ci mette spesso di fronte all’incapacità di sostenere ed accogliere le ondate migratorie, creando così nicchie di popolazione vulnerabili in cui lo sfruttamento prende forma sulla base delle richieste e disponibilità che il  Paese ospite offre. In principio erano gli albanesi. Negli anni 90 la Puglia, terra di sbarco impreparata ed isolata, ha mutuato forme di accoglienza proprie di quella cultura che, se da un lato hanno permesso di aprire le porte delle proprie case, dall’altro hanno dato modo alla criminalità locale di reclutare manovalanza straniera per l’importazione di donne e bambini. Così in breve tempo le grandi metropoli italiane si sono riempite di bambini che di giorno chiedevano l’elemosina e di donne che di notte vendevano per altri il proprio corpo.

Le uniche risposte che il sistema dell’accoglienza italiano è stato in grado di fornire sono state interventi di riduzione del danno ed una forma di protezione intrinsecamente ed unicamente collegata all’atto criminale alla pari di quella che viene data ai “pentiti di mafia” (art.18), con l’unica eccezione che invece di una nuova identità, una casa nuova ed un lavoro sicuro per sé e la propria famiglia, questi bambini e ragazze si sono ritrovati in centri di accoglienza non specializzati o in case di (eterna e reiterata) fuga. Dal 2000 in avanti si è assistito ad una nuova ondata: i rumeni che, a differenza degli albanesi, sono arrivati come una corrente talmente stabile da non percepirla fino a quando il numeri di migranti rumeni è stato talmente elevato da riempire le pagine di cronaca dei quotidiani locali e nazionali. Allora  ci siamo accorti che quei ragazzi a Piazza della Repubblica non erano ragazzi di borgata  di pasoliniana memoria ma minorenni e giovani rumeni che per bisogno o spericolata attitudine adolescenziale sperimentavano la vendita del proprio corpo. In brevissimo tempo tutte le attività criminose appannaggio dei clan albanesi sono state implementate dai rumeni, che si sono alla fine guadagnati anche la gestione comune, soprattutto per il reperimento della materia prima nei territori rumeni. In pochissimi anni “le risorse umane” presenti sulle arterie cittadine più trafficate hanno subito un aumento impercettibile, ma inesorabile. Ragazzine dai tredici  ai sedici anni vestite da veline si prostituiscono nella piena incoscienza propria della loro età, sotto gli occhi vigili dei controllori che a volte sono ancor più giovani di loro. Bambini rom di dieci, undici anni che giocano a fare i duri, anche quando vengono lasciati senza mangiare, o quando si scrutano le bruciature di sigarette sulle braccia, ancora quando vengono malmenati da turisti ignari ed arrabbiati.

Sono un centinaio tra Roma e Milano. Le famiglie in Romania spesso li danno in affitto o li vendono per poter far sopravvivere gli altri numerosi figli, concepiti per un retaggio culturale che all’epoca del comunismo di Caucescu ne faceva fonte di reddito, volendosi a tutti i costi illudere che sia il figlio emigrato che gli altri potranno avere una vita migliore. Come è già successo in alcuni clan malavitosi del Casertano, le grandi organizzazioni criminali dopo l’ascesa al potere hanno lasciato piena autonomia di iniziativa a nuovi imprenditori senza scrupoli che vedono nel “traffico di carne” – come è chiamato dagli stessi ragazzini che ne sono vittime – l’unica alternativa alla povertà frutto del mercato globale. I minorenni vengono selezionati e smistati in base alle proprie competenze ed abilità: i più bravi a rubare vengono addestrati sulle tecniche da utilizzare su strada, mentre gli altri vengono destinati al florido mercato dei giochi sessuali con gli adulti, anche se la commistione tra le due attività a volte appare assai più remunerativa. I bambini di solito non avvertono lo sfruttamento subito, se non quando, arrestati per i reati commessi o accolti in case di protezione, viene data loro la possibilità di ritornare ad essere, sic et simpliciter, dei bambini. Succede allora che per un attimo pensino ai giocattoli mai avuti, per una sorta di legame di attaccamento irrazionale vogliano tornare dalle proprie mamme, si riposino. Ma dura poco, fin quando il ruolo che è stato assegnato loro dalla famiglia di strada, non viene ricordato da qualche altro piccolo malcapitato. Dopotutto non ci sono grandi prospettive in Italia per un minore straniero che non può neanche essere identificato anagraficamente.  E allora la fuga verso i propri sfruttatori, che rappresentano non solo quelli che li picchiano o che li vendono al miglior offerente, ma anche – e forse soprattutto – coloro da imitare, il cui potere raggiunto diviene simbolo di un progetto migratorio di successo, in una spirale di devianza in cui dall’essere vittima ci si emancipa solo divenendo un carnefice. Ed e’ a partire dallo studio di questa spirale deviante, che si può provare a tracciare un’ipotesi di intervento sociale, che ovviamente non può consistere in un mero inserimento formativo e lavorativo, ma dovrà poggiarsi sulla comprensione dei meccanismi psicologici e di contesto sociale che portano le giovani vittime a voler emulare i propri sfruttatori. Questa strategia di sopravvivenza d’altro canto non è piu’ biasimevole di quella adottata dalle proprie famiglie: se mia madre mi ha venduto e questo non è male, allora perché io non posso vendere gli altri? Gli stessi meccanismi regolano una spirale di assai maggior rilevanza; man mano che ci si assuefa al traffico di esseri umani e tutto diviene concepibile, le organizzazioni criminali trovano margini sempre più ampi per nuovi e più orribili commerci: in principio era il traffico di donne, ora di bambini, domani di organi.

Antonella Inverno
Giancarlo Spagnoletto
Programma “Minori migranti”
Save the Children Italia

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