Come nel resto d’Italia, nel Mezzogiorno la prostituzione migrante si configura come fenomeno complesso e articolato, che non può essere affrontato con servizi standard o rigidi per modalità di realizzazione. Altrimenti il rischio è di cronicizzare errori e, soprattutto, di non capire bene sia il fenomeno sia quello che si sta facendo.
Dopo le ultime evoluzioni e modificazioni che hanno caratterizzato, nel Mezzogiorno, l’universo della prostituzione migrante, sempre di più si può e si deve parlare non di un unico modello di prostituzione ma di diversi modelli di prostituzione, in cui cambiano le modalità di esercizio, i gruppi etnici coinvolti, le forme di coercizione e sfruttamento, i livelli di emancipazione delle donne e degli uomini coinvolti.
Lo spostamento al chiuso (appartamenti, night, locali notturni e di scambio, ecc.), il diffondersi della prostituzione maschile (che vede coinvolti ragazzi del Nord Africa e Rumeni), la presenza sempre più quantitativamente rilevante di una prostituzione saltuaria e “consapevole” da parte di donne dell’Est che individuano in tale attività l’unico possibile progetto migratorio per uscire da condizioni di povertà e miseria, sono solo alcuni dei numerosi cambiamenti che hanno radicalmente trasformato, rispetto a qualche anno fa, il fenomeno della prostituzione migrante.
Modificazioni profonde che obbligano i progetti e i servizi, sia pubblici che del privato sociale, a rivisitare i loro strumenti e le loro attività.
Se la riduzione del danno e il lavoro di strada continuano ad essere il luogo privilegiato, oltre che per gli aspetti di prevenzione e tutela sanitaria, anche per la costruzione di relazioni significative con le donne prostitute e prostituite (indispensabili sia per attivare percorsi di uscita, sia per quel che attiene l’indispensabile azione di ricerca azione che deve accompagnare i servizi), si devono inventare e sperimentare iniziative innovative, ad esempio per arrivare alle donne che lavorano al chiuso (mappatura giornali e internet, telefonate ai numeri pubblicizzati, visite porta a porta,ecc.), oppure per approcciarsi ai maschi, spesso minori, che si prostituiscono in luoghi altri rispetto a quelli tradizionalmente “abitati” dalla prostituzione femminile e con modalità estremamente differenti da quelli utilizzati dalle donne. Si pensi ad esempio, alla necessità di inserire nell’équipe mediatori culturali maschi e spesso di provenienza diversa da quella tradizionalmente utilizzata per le mediatrici donne.
Così come, in un contesto come quello meridionale, sempre più forte e sostenuto deve essere l’intreccio tra l’intervento socio-sanitario e quello di supporto all’inserimento lavorativo. Senza quest’ultimo filone di iniziativa diventa difficile proporre alle donne o agli uomini che si prostituiscono alternative credibili e competitive rispetto alla strada.
In generale, poi, ritengo sia urgente un rilancio di tutte le azioni collegate all’art.18, da un lato per quanto attiene la promozione dei livelli di coordinamento e di rete, sia a livello nazionale che sui differenti territori, d’altra parte rendendo più facile e accessibile l’ottenimento del permesso di soggiorno per motivi di protezione anche in assenza di denuncia.
Insomma, nel Mezzogiorno, come credo nel resto d’Italia, la prostituzione migrante si configura come fenomeno complesso e articolato, che non può essere approcciato con servizi standard o rigidi in riferimento alle loro modalità di realizzazione. Altrimenti il rischio non è solo quello di non avere un adeguato impatto, ma anche quello di cronicizzare errori e soprattutto di non capire bene sia il fenomeno, sia quello che stiamo facendo.
In altre parole, i servizi hanno tra i loro compiti, quello di costruire comunicazione e informazione corretta e pragmatica sul fenomeno della prostituzione, cercando di superare quegli atteggiamenti superficiali e ideologici che troppo spesso caratterizzano il dibattito socio-politico su questo tema.
Pregiudizi e tendenze a generalizzare che spesso agiscono in modo negativo e determinante sulle possibilità di costruire processi di emancipazione e cittadinanza per le donne e gli uomini che entrano in contatto con i servizi.
Andrea Mormirol
Progetto “La Gatta” – Napoli