Il traffico della miseria

L’aumento delle differenze tra comunità ricche e comunità povere amplifica la violenza e l’emarginazione delle donne. Spesso donne appartenenti a minoranze etniche e religiose che subiscono un doppio trattamento discriminatorio a causa del sesso, dell’origine e della religione.


Immigrazione femminile e prostituzione sono alla base della tratta femminile.
Il fenomeno della prostituzione si è infatti evoluto: è passato dal tempo in cui a essere coinvolte erano prevalentemente donne italiane e tossicodipendenti, agli anni ’80 in cui la prostituzione è diventata appannaggio di giovani straniere, provenienti dall’Africa o dall’Europa dell’Est. Un’attività che mira alla mercificazione dell’essere umano e all’abolizione di ogni forma di rispetto e dignità. Spesso esercitata in modo coercitivo e ingiustamente impunita.

Ogni anno migliaia di donne sono le vittime del traffico internazionale di persone, la maggior parte con l’inganno di un posto di lavoro, finiscono nelle reti delle organizzazioni criminali, che le costringono a prostituirsi.

Lasciano i Paesi d’origine per sfuggire alla povertà e alla miseria, ma diventano “merce di scambio” nelle mani dei trafficanti, che le comprano e le rivendono per decine di volte!

I dati della IOM (Organizzazione Internazionale della Migrazione) sono chiari e crudi.

Maltrattate, denutrite, violentate e ridotte in stato di schiavitù, pagano cara la loro inconsapevolezza e ingenuità oppure semplicemente la loro decisione di fare soldi ad ogni costo.

Ma le statistiche parlano di una stragrande maggioranza di donne che finiscono a prostituirsi all’estero perché vittime del traffico internazionale, ingannate con il miraggio di un posto di lavoro come cameriera, badante, colf o baby sitter. Non sono poche nemmeno quelle che intuiscono il tipo di lavoro che le aspetta: sono note le storie di ragazze che si sono prostituite, finite nelle reti criminali che guadagnano milioni di dollari dalla tratta di persone.

Alcune di loro, pur entrando nel tunnel che le porta sulla strada, riescono a venirne fuori e questo vero e proprio miracolo si può ripetere per altre migliaia di donne. Magari non tutte con la fortuna di essere liberate. Ci sono tra loro anche quelle che lasciano i bambini in patria e non riflettono molto prima di accettare proposte di “lavoro” ingannevoli da parte di amici o parenti, complici di trafficanti. Una volta arrivate a destinazione vengono loro confiscati i documenti e sono minacciate di dura vendetta contro le loro famiglie nel caso tentassero di scappare. Ci sono anche quelle che finiscono col collaborare con i propri sfruttatori e gestiscono esse stesse “il lavoro” e i guadagni di altre prostitute.

L’Organizzazione Internazionale della Migrazione ha assistito migliaia di donne vittime della tratta di persone, molte minorenni. In ogni caso risulta la povertà la principale causa che le spinge a lasciare il loro Paese. Infatti la loro provenienza è soprattutto dalle zone più misere del pianeta.

Il Parlamento europeo nel 2005 ha discusso di questo argomento – io ho partecipato a questi lavori – in base alla relazione su donne e povertà nell’Unione europea.

E’ stato sollecitato agli Stati membri il potenziamento del contributo finanziario per i servizi a favore dell’infanzia, la protezione delle donne che appartengono ai gruppi minoritari e l’adozione di misure idonee per porre fine all’iniquità dei salari tra uomini e donne.

Nel sottolineare che la povertà e l’esclusione sociale non si possono cogliere nella loro pienezza, soltanto in termini economici, sulla base di cifre, si è correttamente sostenuto che debbano essere valutate anche in termini di diritti umani. Infatti, la povertà si manifesta in diverse forme: la mancanza di reddito e di risorse produttive, la fame e la malnutrizione, la cattiva salute e la mancanza di un alloggio. Essa è anche caratterizzata dalla mancanza di partecipazione al processo decisionale e alla vita civile sociale e culturale.

Sono le donne appartenenti a minoranze etniche e religiose che subiscono un doppio trattamento discriminatorio a causa del sesso, dell’origine e della religione. A volte per questo non riescono a trovare un lavoro, altre volte sono costrette a lavorare illegalmente senza assicurazione sociale e in condizioni di lavoro atroci. Pertanto è chiesto all’Esecutivo e agli Stati membri di registrare i casi di donne che appartengono a gruppi minoritari e che lavorano senza assicurazione sociale e senza diritti pensionistici, aiutandole così ad inserirsi agevolmente nel mercato del lavoro.

Nonostante una generale volontà di lottare contro la povertà e l’esclusione sociale,  il Parlamento europeo ha ammesso che l’Unione non abbia trattato adeguatamente la questione della femminilizzazione della povertà.
Come si può vedere, quindi, lo studio, le analisi del fenomeno occupano le organizzazioni e le istituzioni per cercare di trovare uno sbocco ad un fenomeno che non diminuisce a causa dell’aumento della povertà nel mondo.
La forbice tra comunità ricche, sempre più ricche, e comunità povere, sempre più povere, porta ad una sorta di auto-alimentazione delle sacche di violenza e di emarginazione delle donne.

Dovrebbe, a questo punto, subentrare l’etica, la cultura, l’educazione per sopperire alle carenze economiche degli strati poveri.

Una educazione capace di portare, almeno a quel livello, la parità nella povertà e di condurre la donna fuori dal tunnel.

Alessandra Mussolini
Deputato europeo

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