Tra i gruppi albanesi ad accompagnare le ragazze sul posto di lavoro ci sono sia donne che uomini. Ma sono in genere gli uomini a saper comunicare e farsi accettare. Sanno prenderle dal verso giusto, riescono ad affievolire le contraddizioni e finanche i conflitti senza l’uso della violenza. Svolgono una funzione di mediazione tra le differenti figure che intervengono nel sistema di sfruttamento.
Il traffico dei minori accompagna da sempre quello delle donne adulte.
Esso mantiene comunque peculiarità proprie soprattutto perché viene meno, ad esempio, la distinzione tra prostituzione volontaria e involontaria.
Il riferimento normativo per qualsiasi analisi sulla prostituzione minorile parte dalle disposizioni previste dalla normativa che regola questa materia (Legge n. 269/98: “Norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minori, quale nuove forme di schiavitù”). Questa legge, a ragione, non riconosce la volontarietà (espressa o inespressa) della scelta prostituzionale da parte dei minori di diciotto anni, collocandosi così in continuità con la Convenzione Onu sui diritti dei fanciulli (New York, 20 novembre 1989).
Un altro aspetto non secondario è il diverso peso percentuale che riveste l’incidenza dei minori sulla prostituzione adulta rispetto alle comunità di riferimento e la loro propensione ad uscire dal giro di assoggettamento.
In sintesi si riscontra che:
a. nei gruppi albanese, rumeno e moldavo si registra una incidenza di donne trafficate minorenni maggiore rispetto agli altri gruppi, specie se il raffronto è con le minorenni del gruppo nigeriano (tra l’altro, come noto, uno dei gruppi maggiormente coinvolti nella prostituzione). Al momento è il gruppo di minorenni romeno quello maggiormente invischiato nello sfruttamento sessuale, sia di genere femminile (in maggioranza) che maschile;
b. le minorenni trafficate appartenenti ai gruppi albanesi, rumeni e moldavi – tutte sfruttate da bande albanesi notoriamente molto aggressive – maturano prima delle altre la necessità di avviare il processo di sganciamento dal giro della prostituzione coatta (date le condizioni di particolare pesantezza in cui sono costrette ad esercitare la prostituzione);
c. le minorenni trafficate albanesi, rumene e moldave sono maggiormente riconoscibili fisicamente come tali e pertanto gli attori che ruotano a vario titolo nel sistema della prostituzione (clienti, operatori sociali e forze dell’ordine) attivano immediatamente le misure di protezione e di supporto alla fuoriuscita delle medesime dalla strada (anche grazie alle disposizioni legislative di protezione dell’infanzia);
d. le donne nigeriane – considerando l’alto numero di prese in carico ed il basso numero di denunciati per sfruttamento della prostituzione – sembrerebbero più propense ad usare le risorse istituzionali per uscire dal giro della prostituzione coatta, ma sostanzialmente senza denunciare i rispettivi sfruttatori, sia per le caratteristiche del reclutamento che delle organizzazioni criminali che controllano il traffico. Al contrario, le albanesi – ed in parte anche le rumene e le moldave – sembrerebbero più propense a denunciare gli sfruttatori (dato l’alto numero di denuncie registrate), ma meno disposte ad utilizzate le risorse istituzionali per uscire dal giro della prostituzione. L’età delle donne in questi ultimi gruppi sembrerebbe quindi svolgere una funzione importante per attivare processi di fuoriuscita dal meccanismo di sfruttamento rispetto alle componenti nigeriane.
La minore età delle donne che esercitano la prostituzione e il rischio evidente di intercettazione da parte delle forze dell’ordine che tale esercizio comporta per gli sfruttatori – a causa della severità delle normative di contrasto – sono i fattori che determinano l’alto tasso di mobilità geografico-territoriale delle donne e le sottostanti caratteristiche di sfruttamento. In sostanza, gli sfruttatori, per evitare di essere arrestati, producono delle forme di sfruttamento intensivo delle minorenni basate sulla mobilità, che generalmente è molto più alta di quella che caratterizza la prostituzione delle donne adulte.
Al riguardo si evidenziano tre livelli di mobilità territoriale:
a. un primo livello di mobilità è quello che possiamo definire mono-polare, ossia quello che avviene all’interno del singolo territorio cittadino e, al massimo, provinciale. La minorenne viene costretta a prostituirsi in diverse parti della città o dell’area circostante, seguendo ritmi temporali che oscillano da qualche giorno fino a una/due settimane al massimo per poi spostarsi in altre zone. Infatti, la minorenne esposta all’esercizio della prostituzione lavorerà in maniera intensiva e raccoglierà guadagni conseguentemente significativi. Questi, in alcuni contesti, si misurano – oltre che sulla prestanza fisica – anche sulla minore età delle ragazze concepita come un valore aggiuntivo particolarmente appetibile dal mercato sessuale. Difficilmente uno sfruttatore – o una banda di sfruttatori – mantiene una donna minorenne sulla stessa strada per molto tempo, ossia per più di quindici giorni/un mese per volta;
b. un secondo livello di mobilità è quello che possiamo definire bi-polare, ossia quando avviene tra due aree territoriali specifiche che possono essere ubicate anche a distanza significativa l’una dall’altra ed abbracciare anche più regioni. Sono i collegamenti che possono attivarsi tra due o più grandi città situate sullo stesso asse direzionale (ad esempio, Napoli-Caserta-Roma), oppure su assi direzionali diversi (ad esempio, Firenze-Perugia), eccetera. La minorenne viene costretta a prostituirsi sia in differenti parti della stessa città o dell’area circostante e successivamente, dopo una certa esposizione temporale, viene costretta a prostituirsi nell’altra città, per poi tornare alla precedente con variazioni di percorsi occasionali in altre città ancora;
c. un terzo livello di mobilità è quello che possiamo definire multi-polare, ossia quando avviene tra molteplici aree territoriali specifiche che possono essere ubicate anche a distanza significativa l’una dall’altra ed abbracciare anche più regioni contemporaneamente. Si tratta delle molteplici combinazioni che possono verificarsi allorquando le minorenni vengono spostate con maggior frequenza, sia dallo stesso sfruttatore che da sfruttatori diversi. Nel primo caso la relazione di avviamento alla prostituzione è vissuta come una coppia di conviventi, mentre nel secondo caso siamo davanti a forme di sfruttamento più strutturate ed anonime. Cioè vengono gestite da organizzazioni che hanno addentellamenti ramificati in differenti regioni e città capoluogo oppure in aree agricole-rurali urbanizzate.
Le principali caratteristiche dello sfruttamento si basano sul coinvolgimento emotivo-esistenziale della donna e sull’imprenditorialità manageriale. Lo spostamento delle minorenni da un posto all’altro viene affidato a degli accompagnatori – che sono generalmente persone adibite solo a questo – che le portano di città in città affidandole ogni volta a persone che gestiscono il loro sfruttamento temporaneo. C’è dunque una squadra che opera con differenti specializzazioni:
– l’accompagnatore (munito di patente e di certificazioni di soggiorno se straniero e di regolare cittadinanza se italiano) che gestisce i grandi spostamenti da un polo all’altro, continuamente, senza interruzioni di sorta. Conosce le persone a cui affidare le donne, le sistema in case e a persone fidate delle organizzazioni (o comunque funzionali ad esse), verifica se tutto è a posto e in ordine. In caso contrario rileva le disfunzioni, cerca delle mediazioni dirette ad affievolirle oppure le segnala ai membri dell’organizzazione con competenze sanzionatorie e punitive;
– lo sfruttatore situato in aree dove il mercato del sesso è dinamico ed economicamente significativo che le prende in consegna e le fa lavorare intensamente. Acquisisce i guadagni, li divide con gli altri membri dell’organizzazione, paga i servizi degli accompagnatori/trici (che non sempre sono persone organicamente affiliate), fa piccoli investimenti (compartecipa all’acquisito di piccole e medie partite di droga, spende i soldi in beni di consumo e fa regali alle favorite, eccetera), affitta gli appartamenti (stando spesso in seconda linea);
– l’autista che le porta sul luogo di esercizio della prostituzione e le riprende alla fine, occupandosi anche di risolvere problemi logistici e contingenti. Tra le nigeriane in genere sono donne quelle che svolgono queste attività di servizio; invece, tra i gruppi albanesi – che iniziano a praticare queste forme di specializzazione – , possono essere sia donne che uomini non particolarmente violenti. Anzi. Sono in genere uomini che sanno comunicare e farsi accettare dalle donne, sanno prenderle dal verso giusto, riescono ad affievolire le contraddizioni e finanche i conflitti senza l’uso della violenza. Svolgono una funzione di mediazione tra le differenti figure che intervengono nel sistema di sfruttamento.
Questa squadra, dunque, svolge un’attività complessa in quanto complessa è la forma di mobilità multipolare che caratterizza questo livello organizzativo. È in sostanza quello che più degli altri si caratterizza come prostituzione itinerante-camminante, nel senso che gli spostamenti sono talmente tanti e frequenti che danno l’idea di stare sempre in movimento. Questa pratica prostituzionale costa molto e pertanto dalle minorenni sfruttate ed inserite in questo meccanismo i magnaccia-imprenditori si attendono molti guadagni. Rischiano anche di meno, in quanto i passaggi da sfruttatori a sfruttatori sono più frequenti ed avvengono in località distanti e sempre ritenute abbastanza sicure.
Questo è il livello che si collega anche a forme di prostituzione mascherata, ossia a quella prostituzione coperta da altre attività lavorative lecite e formalmente legali. Inoltre, si rileva un’altra particolarità: chi si muove è la minorenne e il suo accompagnatore e quasi mai lo sfruttatore vero e proprio, cioè colui o coloro che materialmente gestiscono la pratica prostituzionale. Questi – o almeno una componente elitaria con caratteristiche imprenditoriali – aspettano la “merce”, dopo averla valutata, la comprano (o l’affittano oppure la scambiano con altre donne) e la sfruttano per un certo periodo di tempo e poi la rivendono o la ridanno indietro. Come nient’altro che una merce.
Vittoria Tola
Consulente dipartimento per le Pari Opportunità
già presidente della Commissione interministeriale art.18