Gli strumenti della lotta alla tratta

Protocollo di Palermo, Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, Convenzione OIL n. 182, articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione, Convenzione del Consiglio d’Europa per la lotta contro la tratta di esseri umani sono altrettanti strumenti di cui ci si avvale a livello giuridico e tecnico per contrastare il mercato dei minori.

I  minori che cadono nelle mani di trafficanti senza scrupoli sono sicuramente tra le più vulnerabili vittime di questa moderna forma di schiavitù. La loro protezione dallo sfruttamento, dalle minacce e dalle violenze dovrebbe, quindi, essere incondizionata. Eppure il “Protocollo alla Convenzione contro il Crimine Transnazionale Organizzato volto a lottare contro la Tratta di Persone, in particolare Donne e Bambini”, che può essere considerato come il trattato più rilevante a livello internazionale in materia di lotta alla tratta di “merce umana”, non ha previsto la protezione dei minori tra i suoi principi fondanti.  D’altro canto esso ha il grande merito di avere – per la prima volta – definito a livello internazionale questo fenomeno. L’articolo 3.c) del Protocollo definisce, infatti, la tratta di minori come il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’ospitare o accogliere fanciulli allo scopo del loro sfruttamento. Rispetto alla tratta di persone maggiorenni, definita all’articolo 3.a), per i minori è irrilevante l’aver o meno fatto uso di un mezzo improprio per estorcerne il consenso. Lo sfruttamento comprende poi, come minimo, lo sfruttamento della prostituzione altrui e altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato o le prestazioni forzate, la schiavitù o le pratiche ad essa analoghe, la servitù e l’espianto di organi.

Il Protocollo di Palermo contiene misure volte a prevenire la tratta di persone, a proteggerne le vittime ed a perseguire i trafficanti. Tuttavia, la protezione delle vittime è prevista soltanto da tre disposizioni, ossia gli articoli 6, 7 e 8 del Protocollo e l’unico riferimento ai diritti dei minori è contenuto nell’articolo 6.4, che prevede che gli Stati Parte devono riservare un’attenzione specifica ai fanciulli, in particolare per quanto riguarda l’alloggio, l’educazione e l’assistenza di cui essi hanno bisogno. Comunque, nelle Guide Legislative elaborate per favorire una corretta implementazione delle disposizioni della Convenzione contro il Crimine Transnazionale Organizzato e dei suoi Protocolli questa disposizione, che è l’unica a stabilire dei principi chiari per la protezione dei fanciulli, viene considerata di attuazione opzionale per gli Stati Parte.

Risulta, perciò, evidente che per garantire la tutela dei diritti umani delle vittime più vulnerabili della tratta è necessario far ricorso ad altri strumenti internazionali, tra cui in particolare la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (CRC) ed i suoi due Protocolli. La Convenzione sui Diritti dell’Infanzia, che è in assoluto il trattato internazionale che ha raggiunto il maggior numero di strumenti di ratifica, contiene alcune disposizioni riguardanti, in particolare, il trasferimento illecito di minori all’estero, il loro sfruttamento e la tratta.  L’importanza di questa convenzione internazionale è stata anche sottolineata dalla Relatrice Speciale sugli Aspetti relativi ai Diritti Umani delle Vittime di Tratta di Esseri Umani, in particolare Donne e Bambini che, nel suo primo rapporto, l’ha indicata come il principale strumento di riferimento per la tutela dei diritti dei fanciulli vittime di tratta.  L’articolo 35 sancisce, infatti, l’obbligo per gli Stati Parte di: “Prendere ogni misura appropriata su piano nazionale, bilaterale e multilaterale per prevenire il rapimento, la vendita o il traffico di fanciulli a qualsiasi fine o sotto qualunque forma”. Tuttavia, anche altre disposizioni della CRC hanno una loro rilevanza nella lotta alla tratta di minori ed al loro sfruttamento, tra cui: l’articolo 11 che promuove accordi bilaterali e multilaterali tra Stati al fine di combattere contro il trasferimento illecito all’estero ed il mancato rientro dei minori, gli articoli 32, 34 e 36 che sottolineano la necessità di proteggere i fanciulli da qualsiasi forma di sfruttamento economico, lavorativo, sessuale o di altro tipo ed, infine, l’articolo 39 che riconosce il diritto dei minori al recupero fisico e psicologico ed alla reintegrazione sociale nel caso in cui siano stati sottoposti, tra l’altro, a qualsiasi forma di sfruttamento e di abuso.  Perciò, anche se il Protocollo di Palermo dedica poca attenzione ai diritti dei minori vittime di tratta, la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia stabilisce sicuramente l’obbligo per gli Stati Parte di prevenire lo sfruttamento e la tratta dei fanciulli, oltre a quello di proteggerli ed aiutarli nel caso in cui siano stati assoggettati a qualsiasi forma di sfruttamento. Inoltre, i tre principi fondamentali su cui si basa la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia – non discriminazione, supremo interesse del bambino e partecipazione – devono essere alla base della tutela garantita a tutti i minori e, quindi, anche a quelli vittime della tratta, che proprio per questo si trovano in una condizione di grave vulnerabilità.

Anche il Protocollo alla CRC sulla Vendita di Minori, la Prostituzione e la Pornografia Infantile contiene disposizioni rilevanti per combattere contro la tratta e proteggere i fanciulli.  L’articolo 2.a) del Protocollo definisce la vendita di bambini come: “Qualsiasi atto o transazione che comporta il trasferimento di un bambino, da qualsiasi persona o gruppo di persone ad altra persona o ad altro gruppo dietro compenso o qualsiasi altro vantaggio”. L’articolo 3.1 del Protocollo sancisce che gli Stati Parte devono criminalizzare la vendita a livello nazionale o transnazionale di minori da parte di un individuo o di un gruppo organizzato, che abbiano come scopo lo sfruttamento sessuale del minore, la prostituzione e la pornografia infantile, l’espianto dei suoi organi, l’adozione illegale od il ridurlo in una condizione di lavoro forzato. Gli articoli 8, 9 e 10 prevedono poi l’adozione da parte degli Stati Parte di misure di protezione per i fanciulli, di politiche di prevenzione e di forme di cooperazione tra Stati, organizzazioni internazionali e non governative.

L’altro Protocollo alla CRC, riguardante in maniera specifica il coinvolgimento dei fanciulli nei conflitti armati non contiene norme che facciano esplicito riferimento alla tratta di minori; tuttavia, considerando che in alcuni conflitti armati i fanciulli vengono reclutati o rapiti per essere costretti a combattere, il Protocollo può essere utile per combattere contro la tratta di minori che abbia come scopo il loro coinvolgimento – diretto od indiretto – nelle ostilità. L’articolo 6.3 del Protocollo prevede che i minori che siano stati coinvolti in conflitti armati godano di un’assistenza materiale e psicologica volta al loro reinserimento nella società, mentre l’articolo 7.1 obbliga gli Stati parte a collaborare tra loro per assistere i minori che abbiamo subito tale grave forma di sfruttamento.

Un altro strumento particolarmente rilevante in materia di protezione dei minori è la Convenzione OIL n. 182 volta ad abolire le forme peggiori di lavoro minorile. Essa ricomprende nella definizione delle peggiori forme di lavoro minorile: la vendita di minori, la prostituzione e la pornografia infantile, la tratta di fanciulli ed il loro reclutamento nei conflitti armati.  Gli articoli 5, 6 e 7 della Convenzione OIL n. 182 obbligano gli Stati Parte ad eliminare le forme peggiori di lavoro minorile, ad adottare disposizioni volte a prevenire l’uso di fanciulli nelle peggiori forme di lavoro minorile, a garantire l’assistenza, la riabilitazione, l’integrazione sociale e la scolarizzazione gratuita dei minori ed a riservare particolare attenzione ai minori a rischio ed alle bambine.

Per quanto riguarda, infine, l’ambito nazionale, la legge 11 agosto 2003, n. 288,  recante misure contro la tratta di persone ha modificato gli articoli 600, 601 e 602 del Codice Penale, introducendo, rispettivamente, i reati di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, tratta di persone e acquisto ed alienazione di schiavi. Tali reati debbono essere puniti con pene detentive da otto a venti anni, che possono essere aumentate da un terzo alla metà se il reato viene commesso contro un minore, oppure a scopo di sfruttamento della prostituzione o per l’espianto di organi. Comunque, la disposizione sicuramente più rilevante in materia di protezione delle vittime di tratta e di sostegno alla fuoriuscita dalle situazioni di sfruttamento è l’articolo 18 del Testo Unico (T.U.) sull’Immigrazione.  Al contrario di quanto previsto dalla Direttiva 2004/81/CE, adottata dalla Comunità europea nel 2004,  l’articolo 18 del T.U. sull’Immigrazione non ha carattere premiale; esso prevede, infatti, che, qualora vengano accertate situazioni di violenza o di grave sfruttamento di uno straniero/a da cui derivi un serio pericolo per la sua incolumità possa essergli/le rilasciato uno speciale permesso di soggiorno, detto di protezione sociale, della durata di sei mesi, eventualmente rinnovabile. Esso consente alle vittime di tratta di avere accesso ai servizi di assistenza sociale, all’istruzione ed al lavoro subordinato, oltre alla possibilità di essere iscritti nelle liste di collocamento. L’articolo 18 è, quindi, considerato a livello internazionale una normativa avanzata ed un esempio per altri Paesi. Tuttavia, l’allargamento dell’Unione europea ad otto Paesi dell’Europa Orientale compiuto nel maggio del 2004 ha messo in evidenza una lacuna importante dell’articolo 18; essendo, infatti, inserito nella legislazione riguardante l’immigrazione, tale norma si applica soltanto agli extra-comunitari. Considerando che l’Unione europea si appresta ad allargare ancora i suoi confini per ricomprendervi anche la Bulgaria e la Romania a partire dal 1 gennaio 2007, sarebbe, quindi, opportuno correggere questa lacuna al più presto.

Infine, è necessario sottolineare che la legge 30 luglio 2002, n. 189, “Modifica alla normativa in materia di immigrazione ed asilo”, meglio nota come legge Bossi-Fini,  ha apportato una serie di modifiche in materia di immigrazione e di asilo. Se è pur vero che la legge Bossi-Fini ha mantenuto intatto il dettato dell’articolo 18 del T.U. sull’Immigrazione, è anche innegabile che avendo interpretato il fenomeno dell’immigrazione eminentemente come un problema di ordine pubblico e di contrasto all’immigrazione clandestina, la legge Bossi-Fini ha introdotto una serie di misure restrittive. Per quanto riguarda, in particolare, i minori stranieri non accompagnati, l’articolo 25 della legge Bossi-Fini ha inserito tre commi dopo l’articolo 32, paragrafo 1, del T.U. sull’Immigrazione, prevedendo il diritto di conversione del permesso di soggiorno al raggiungimento della maggiore età soltanto qualora il bambino sia stato inserito in un progetto di integrazione sociale e civile per almeno due anni e possa dimostrare di trovarsi sul territorio italiano da non meno di tre. Tale disposizione si rivolge, quindi, a quei minori che non siano stati oggetto di un provvedimento di affidamento o di tutela, impedendo a coloro che siano arrivati in Italia dopo il compimento del quindicesimo anno di età, o che non siano in grado di provare di trovarvisi da almeno tre anni, di ottenere la conversione del permesso di soggiorno al raggiungimento della maggiore età. La legge Bossi-Fini è stata criticata a livello internazionale dal Comitato per l’Eliminazione di ogni Forma di Discriminazione nei Confronti della Donna che ha recentemente esaminato il rapporto italiano sull’attuazione delle misure contenute nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna (CEDAW);  ne sarebbe, perciò, auspicabile una revisione.

Per concludere si ritiene, quindi, necessario che, così come sottolineato dalla recente Convenzione del Consiglio d’Europa per la lotta contro la tratta di esseri umani,  qualsiasi intervento in materia di tratta di esseri umani sia basato su tre principi fondanti: la tutela dei diritti umani, l’ottica di genere ed il supremo interesse dei bambini.

Silvia Scarpa
Ph.D. in Human Rights;
Scuola Superiore Sant’Anna – Pisa

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