Divenire genitori per adozione inizia in modo plateale e potente nel momento dell’incontro con i figli. Quello che precede questo momento, dall’attesa, all’abbinamento alla conferma dell’adozione ha quasi la consistenza e la qualità dei sogni. O degli incubi
Molto spesso, parlando di adozione si oscilla tra due estreme posizioni: da una parte si interpreta l’adozione come una sorta di esperienza mistica pervasa di poesia, dall’altra se ne vivono la delusione e il disagio, la disillusione. Vorrei provare a trovare un equilibrio tra questi due estremi iniziando a parlare dell’incontro con i propri figli. Cercherò di astrarre dalla mia esperienza contingente e di penetrare dentro le emozioni e i pensieri che ho vissuto sperando di offrire qualcosa che abbia significato anche per altri.
Divenire genitori per adozione inizia in modo plateale e potente nel momento dell’incontro con i figli. Tutto quello che viene prima, per me, ha quasi la consistenza dei sogni. E’ un’attesa costellata di percorsi con psicologi, assistenti sociali, un attivarsi ripetuto nel tempo, un navigare tra documenti, carte, letture, date, necessità. Un percorso di consapevolezza certo, ma anche molto irreale e sfuggente. Si sa che non sempre si arriva a conclusione, si sa che tutto può svanire da un momento all’altro. L’attesa dell’adozione non è come l’attesa della gravidanza. Anche il momento dell’abbinamento ha la qualità del sogno o dell’incubo (la realtà ha sempre un volto imprevisto e talvolta spaventoso). Nel materializzarsi di un’immagine bambina, una foto, un nome, una data di nascita, un intero carteggio, si avverte ancor più potentemente la distanza fisica ed emotiva dal figlio o dalla figlia anche loro in attesa. Un bambino c’è ed è abbinato a noi ma tutto può ancora succedere (e talvolta succede) e il sapere un nome o un volto rende solo dettagliato questo “sogno di figlio” che ci inseguiva da tempo. Di nuovo, non si tratta ancora di un figlio vero ma di un fantasma, un riflesso lontano, uno sguardo di figlio, una potenzialità concreta stavolta, ma non ancora una realtà.
Per questo, secondo me, si inizia sul serio il cambiamento solo incontrandosi per davvero.
L’incontro. Mai come adottando ho sentito di essere percorsa da correnti profonde che mi attraversavano. Ecco la mia esperienza personale che emerge, la mia esperienza è solo mia e non va sovrapposta ad altre, tuttavia solo da questa posso iniziare a raccontare.
In quegli istanti ho sentito, tra le altre sensazioni (desiderio, impazienza, timore,…) anche come se la vita si prendesse gioco di me e mi beffasse, diventando madre non attraverso il mio corpo ma fuori da esso. Ho sentito una contraddizione. Partorire vuol dire portare fuori qualcosa che ci è dentro, partorire è fatto di sangue e di carne, di dolore, di odori e calore, di esserci potentemente, di sentirsi presente, di fibre che si contraggono. Pur non avendo esperienza, credo sia così. Adottare non è partorire. Il tuo corpo è lì, ma il corpo di tuo figlio è già fuori di te. Tu sei lì ad incontrare un perfetto estraneo che diventerà tuo figlio, parte della tua carne, centro del tuo universo, senso del tuo essere donna-madre, dovrai dargli la “vita”, la tua vita. Sei lì e lui o lei sono fuori di te, non sanno che farsene del tuo divenire madre, non ti conoscono, ti vogliono forse ma non sanno come fare a prenderti (ed anche tu non sai come fare a prenderli), certamente hanno paura di te (ed anche tu hai paura). Sono già nati, non hanno bisogno della tua vita, almeno per ora, almeno apparentemente.
Incontrarsi per adozione vuol dire iniziare un viaggio sfiorandosi la punta delle dita. Penso all’immagine tanto abusata della creazione di Michelangelo: due mani si trovano e scintillano l’una per l’altra, la mano del creatore e del creato. E qui, adottando, non sai chi sia a creare: “Tu figlio mi crei madre, io madre ti creo figlio.”
Così difficile pensarlo col corpo, l’incontro adottivo, che talvolta diventa intollerabile ascoltare il frastuono delle emozioni che esplodono in una cascata fragorosa. Toccare un bambino, pensarlo nella sua interezza, renderlo unico. Non accade né in un minuto né in un mese.
Adottando lasci che sia la vita a possederti, ma la vita vera, quella che non rispetta gli innocenti, quella delle miserie, e dell’incuria e delle guerre, quella delle necessità umane più buie e delle loro impossibilità. Non sono solo le tue emozioni a percorrerti ma quelle di tanti altri, altri bambini attorno a te, e gli adulti che hanno dato forma alle loro storie.
Talvolta il dolore ti pervade, e provi i tuoi limiti e la tua inutilità. Senti tutta la fatica e sei solo all’inizio del tuo viaggio e ti diventa essenziale porre delle distanze tra te e quel che c’è fuori. Ti senti spezzettata o forse perduta nel moltiplicarsi di immagini riflesse da troppi ed improvvisi specchi. Tu che agisci e sbrighi le cose pratiche e concrete, tu che aspetti di diventar madre per davvero, tu che soffri, tu che cerchi di non spalancare gli occhi sul dolore del mondo. Sono frammenti di te stessa che vorticano sospesi nella luce e scivolano inevitabilmente a creare una nuova persona, che sei sempre tu, ma nuova. La te madre. Ma non una madre come sempre la si intende, bensì una madre adottiva, una madre capace di portarsi dentro un figlio e tutta la galassia di esperienze che costituisce la sua storia precedente.
Portare dentro, che strano parto al contrario! “Dentro di me la tua pelle diversa dalla mia, e i tuoi capelli e i tuoi occhi sconosciuti. Dentro di me gli anni passati senza me, ed i ricordi e le ossessioni e le paure. Dentro di me la tua solitudine, i tuoi incubi e i tuoi sogni. Dentro di me anche lei che ti ha dato la vita, e la sua solitudine, il suo dolore, il suo lasciarti”. Madre per adozione, donna abitata dalla vita di altri. Donna che contiene e “pensa” i figli di altri. Donna che dà la sua vita per colmare il vuoto di un bambino. Dare la vita adottando non è certo far nascere una seconda volta in senso biologico, ma in senso psichico sì. Si porta un figlio alla luce dell’esserci, lo si sottrae al buio del non esserci (del non essere preziosamente irripetibile per qualcuno). E per farlo lo si osserva e vede, lo si ascolta e si sentono le sue parole, e si porta dentro di sé tutto il suo mondo. Un universo che splende denso di stelle, proprio al centro del nostro cuore.
Anna Guerrieri
Vicepresidente Genitori si diventa onlus