A monte del problema i grandi conflitti del Corno d’Africa (Etiopia ed Eritrea), del Medio Oriente, e dei Balcani. Oppure cause economiche. Quali siano le motivazioni, in Italia il ragazzi e le ragazze che mancano di riferimenti familiari nel nostro paese sono circa 10 mila.
Oggi, la presenza di minori non accompagnati costituisce una caratteristica inedita degli attuali flussi migratori: si tratta di ragazzi in età compresa tra gli 8 e i 18 anni (in media tra i 16 e i 17) in condizione di solitudine e assenza di patria potestà. Il fenomeno prende consistenza in Italia tra gli anni ’80 e ’90. Le cause sono i grandi conflitti del Corno d’Africa (Etiopia ed Eritrea), poi del Medio Oriente, e in seguito nei Balcani.
In altri paesi assumono un’importanza maggiore le cause economiche, quali il Marocco, l’Algeria, la Tunisia e la Nigeria; nonché alcuni paesi dell’ex blocco sovietico come la Bulgaria e, soprattutto, la Romania. Secondo le segnalazioni delle Questure e dei Servizi Sociali, negli ultimi 3 anni sono arrivati in media 5.000 ragazzi all’anno. Non possiamo ancora fornire una stima precisa della consistenza numerica di questa popolazione, data la loro forte mobilità territoriale, ma possiamo affermare che oggi in Italia sono presenti circa 10.000 minori non accompagnati. Questi minori, per la particolarità delle loro esperienze pregresse, risultano portatori di esigenze differenti rispetto agli altri coetanei. Essi, in primo luogo, hanno grandi difficoltà nella comunicazione, inoltre la mancanza di documenti rende difficile, se non impossibile, l’identificazione dell’età corretta, della loro provenienza, dei loro background familiari e la possibilità di avere contatti con le loro famiglie di origine. Dal punto di vista della politica sociale, la presenza di questi minori non accompagnati, rappresenta un nodo intricato fatto di sfide operative, bisogni sociali e questioni umanitarie.
Si tratta di adolescenti giovanissimi provenienti per lo più da contesti rurali, partiti per fuggire dalle proprie precarie condizioni di vita nel paese di provenienza, anche se in alcuni casi lo scopo della loro partenza è volto a raggiungere parenti già presenti in Italia, che possono ospitarli durante la prima fase di ricerca del lavoro. Spesso nelle famiglie da cui questi ragazzi provengono lavora un solo componente, o nessuno, in alcuni casi i genitori sono anziani e pensionati. Per cui, in molti casi questi minori hanno già sperimentato nei loro paesi di provenienza condizioni di vita segnate da marginalità sociale e povertà economica. Attraverso l’esperienza di altri componenti della famiglia allargata già emigrati, i ragazzi vengono a conoscenza delle storie di queste persone che contribuiscono ad esercitare una forte attrazione ed alimentare il loro immaginario sulle possibilità di riscatto offerte dalla migrazione. Un altro elemento, che può aiutare a leggere ed interpretare le motivazioni ed i comportamenti di questi ragazzi, risiede nel diverso valore culturale che si dà all’infanzia nei paesi da cui questi ragazzi provengono. In contesti rurali, come accadeva anche in Italia fino ai primi anni del dopoguerra e, in alcune zone fino agli anni del boom economico, la concezione dell’adolescenza come prolungamento dell’infanzia e fase di passaggio, non esisteva.
Cresciuti in contesti caratterizzati da condizioni precarie sia economiche che sociali, da giovanissimi hanno già sperimentato esperienze di lavoro, quindi di autonomia e di auto-gestione. Le condizioni di vita e lavoro fanno sì che loro percepiscono e subiscono in prima persona la precarietà, la povertà di prospettive future e l’insicurezza che gli procura la situazione del loro paese; questa mancanza di tranquillità e di progettualità, elementi ai quali noi accordiamo un valore forte nella fase di crescita dei bambini e degli adolescenti, gli dà la forza di partire, di rischiare anche in solitudine. Spesso a questo sentimento è collegata anche una percezione negativa non solo dei loro paesi ma anche dei loro conterranei. Scappano da un contesto in cui coesistono disoccupazione e condizioni lavoro paraschiavistiche, in generale da situazioni di forte destrutturazione sociale. La loro socializzazione avviene in strada e il loro gruppo di pari è spesso frammentario e instabile proprio a causa delle migrazioni dei coetanei. Oltre alle situazioni descritte prima, spesso questi ragazzi fuggono da situazioni difficili e poco gratificanti, per esempio rapporti conflittuali con il mondo degli adulti, con la scuola, con i datori di lavoro. Di norma l’abbandono della scuola è il primo passo verso un processo di svalutazione del loro contesto e ha poi come conseguenza lo sbocco migratorio. A parte la famiglia e la scuola non ci sono altri luoghi di socializzazione primaria. In alcuni casi si scappa da un nucleo familiare oppressivo e percepito come retrogrado.
Questi ragazzi reagiscono, abbandonando una situazione che percepiscono come statica e limitata.
In alcuni casi il viaggio è organizzato dai genitori stessi, ma nei casi in cui la scelta è individuale, la famiglia è tenuta del tutto all’oscuro e il viaggio viene organizzato attraverso modalità gratuite e il minore contratta il viaggio tratta-per-tratta utilizzando dei agenti trasportatori sconosciuti, non conoscendo spesso neanche la sua meta. Lo motivazione di viaggi lunghi e pericolosi come quelli che intraprendo è la possibilità di ottenere un riscatto economico e sociale, la ricerca di nuove opportunità lavorative, ma anche di emancipazione, nutrita anche dalla tipica curiosità adolescenziale. Cercano quindi, nuovi modelli di vita e di consumo. A volte l’arrivo in un paese è il frutto di adattamenti progressivi e di opportunità che via via si palesano durante il viaggio. Hanno chiaro cosa cercano ma non sanno come cercarlo. Il processo informativo, spesso, ha avuto inizio nel paese di partenza, in particolare per i ragazzi provenienti dal Maghreb, l’immigrazione è già un fenomeno storico e in questo senso c’è un immaginario sociale, una mappa di riferimenti e appoggi (dalle reti etniche, alle chiese, ai servizi sociali), il “lavoratore immigrato” è una componente familiare, per cui la sua storia e i suoi racconti, sono un riferimento.
I primi giorni sul territorio italiano rappresentano un momento cruciale dell’esperienza migratoria dei minori. Una differenza enorme è costituita dalla presenza o meno di punti di riferimento, che determina quello che potremmo chiamare il “livello di erranza” e il ricorso a “strategie di prova ed errore”. Hanno delle informazioni generali che permettono loro di orientarsi (per esempio sanno che il nord è più ricco e offre più possibilità del sud). In questa prima fase sono determinanti gli incontri che questi ragazzi fanno. In linea generale si possono riconoscere due percorsi: uno, attraverso forze di polizia o attraverso le reti di connazionali per mezzo dei quali il minore entra in un percorso di inserimento nei servizi, nel volontariato, nell’immigrazione regolare; l’altro che attraverso reti di connazionali conduce i minori ad un inserimento rapido, nelle trame e nel sapere dell’immigrazione irregolare. Spesso i legami sociali con i connazionali vengono privilegiati anche a costo di percorsi devianti. La condivisione di un’esperienza comune (la migrazione solitaria) e la con nazionalità assumono un valore molto forte a causa della solitudine e della mancanza di punti di riferimento.
Per alcuni già nel corso del periodo di esplorazione si aprono prospettive di contatto con i servizi, questo avviene generalmente attraverso la mediazione delle forze dell’ordine o mediante la segnalazione e l’offerta di opportunità di un connazionale che ha già un sapere in merito: l’incontro con queste figure (operatori e assistenti sociali) determina la direzione del viaggio e il luogo d’arrivo. Ma spesso i percorsi di inserimento in istituti o famiglie mal si conciliano con le aspettative e i bisogni di libertà di questi minori. La difficoltà di far comprendere il senso di tutela e di protezione che è pregnante nelle nostre misure legislative, alcune volte segna percorsi al contrario: dall’istituto, alla strada, dalla strada al carcere.
Non bisogna dimenticare che questi ragazzi prima di tutto migrano per lavorare ma spesso la loro minore età aumenta la ritrosia dei possibili datori di lavoro, che al massimo offrono lavori informali, elemento che li porta ad essere insoddisfatti del nostro modo di porci nei loro confronti, delle proposte che gli vengono fatte.
Federica Dolente
Associazione Parsec – Roma