Un inserimento difficile per l’approccio con una cultura troppo diversa dalla propria, non per il rapporto con la gente. Poi lo studio, il lavoro e la nascita di una nuova famiglia. Infine la comprensione di poter esser utile, per la sua esperienza e le sue conoscenze, all’integrazione di chi arriva in Italia e non sa nulla delle nostre leggi e dei nostri costumi.
Ahmed Faghi Elmi, nato a Mogadiscio nel 1968, arrivato a Trieste appena ventenne ha fondato l’Associazione Culturale Italo-Somala “SAGAL”. Da allora non ha mai smesso di occuparsi di volontariato sociale per favorire l’integrazione degli immigrati nel tessuto socio-economico italiano, proporre iniziative rivolte al pieno riconoscimento dei diritti civili degli immigrati, favorire il reciproco scambio culturale tra tutte le comunità etniche e religiose e migliorare le condizioni di vita materiali e relazionali degli immigrati. Fino a diventare, pochi mesi fa, vicepresidente della Consulta regionale degli immigrati nel FVG.
Ahmed, quando sei venuto in Italia e perchè?
Sono venuto in Italia nel 1988; ci sono venuto per motivi di studio. Mio padre era in Italia da molti anni, aveva lavorato in molte città per poi approdare a Trieste, dove l’ho raggiunto. In Somalia avevo fatto contemporaneamente la maturità e la scuola per infermieri ed avevo iniziato a lavorare in ospedale. Poi mio padre mi ha proposto di venire in Italia a studiare così ho frequentato per un po’ un Circolo Culturale Italiano in Somalia per imparare la lingua e sono partito per questo paese. Avevo 20 anni.
Con quali difficoltà ti sei scontrato appena arrivato? Hai riscontrato diffidenza nei tuoi confronti?
L’inserimento è stato difficile, ma non perchè sia stato male accolto dagli italiani: ho avuto, piuttosto, difficoltà nell’approccio con una cultura, un modo di vivere completamente diverso e mi mancavano la famiglia e gli amici lasciati in Somalia. Ma gli italiani, i triestini, mi hanno accolto bene. Col tempo ho iniziato a sentirmi parte integrante del paese.
Come è andata avanti la tua esperienza?
Mi sono messo in contatto con gli ospedali. Infatti non volevo solo studiare, volevo anche mettere a frutto la mia esperienza di infermiere in ambito volontaristico. In estate, poi, andavo a lavorare per avere un po’ di soldi da spendere per i divertimenti: ho fatto il lavapiatti, l’aiuto cuoco, il cameriere, ho lavorato per cooperative di pulizia e persino come fioraio! Poi, nel ’91, è scoppiata la guerra civile in Somalia. Dieci persone della mia famiglia sono scappate da lì e sono venute in Italia. Mio padre ha dovuto affrontare questo momento di emergenza, e dovendo mantenere tutte queste persone non ha più potuto pagarmi gli studi universitari. Ho dovuto iniziare a lavorare anch’io, per mantenere loro e me stesso, e quindi ho perso la possibilità di frequentare con continuità le lezioni ed i miei studi hanno subito un brusco rallentamento. Nel ’97 mi sono sposato ed ho iniziato ad intensificare ulteriormente l’attività lavorativa (sono stato preso come infermiere in una casa di riposo), nel ’98 ho avuto il primo figlio ed a quel punto, a 15 esami dalla fine, ho dovuto mollare l’università. Una decisione dolorosa, ma senza alternative.
Adesso, di mestiere, fai il “mediatore culturale”. Quando è iniziata questa attività? Di che cosa ti occupi di preciso?
Ho incominciato ad aiutare i miei connazionali già nel ’90, prima della guerra. I nuovi arrivati si rivolgevano a me per essere accompagnati in comune per la residenza o in questura per i permessi di soggiorno e facevo anche da interprete. Indicavo loro, insomma, come muoversi in questo paese. Nel ’98 ho riunito tutti i somali residenti a Trieste ed ho fondato l’associazione italo somala SAGAL (che vuol dire “aurora”). L’idea mi è venuta quando è nato mio figlio: ho voluto creare uno strumento che aiutasse i somali residenti in Italia e specialmente i loro figli a non perdere le tradizioni e la cultura del loro paese e contemporaneamente a farle conoscere agli italiani. Pian piano ho iniziato ad avere un certo riconoscimento da parte delle istituzioni, nel 1994 ho fatto un corso di formazione in mediazione culturale organizzato dalle ACLI e questo mi ha dato la possibilità di avere un contratto di mediazione per il Comune di Trieste. In seguito ho anche proposto al Comune la Consulta provinciale sull’immigrazione, un organo consultivo della Commissione all’assistenza sociale che nel 2001 è stato inserito nello statuto dell’Ente. Per molti anni, poi, ho lavorato dietro lo sportello della Alef-Cgil dell’Ufficio immigrazione.
Quali sono i problemi degli immigrati in FVG con cui ti sei scontrato?
Le persone si rivolgevano a noi quando venivano espulse o quando c’era il rigetto di qualche domanda da parte della questura. Poi c’erano molti immigrati che venivano a chiedere l’equipollenza del titolo di studio, ed oltre alla scuola c’erano problemi di sanità, di casa… il nostro ruolo era quello di dare tutte le informazioni necessarie e di accompagnare queste persone in questura, a discutere con i dirigenti per farsi capire con la lingua, e poi trovavamo loro corsi di italiano…
Da lì ti sei sempre occupato attivamente dei problemi dell’immigrazione. Come è continuato il tuo impegno nei confronti di questa tematica?
Ho organizzato con l’associazione diverse iniziative culturali avvalendomi anche di contributi regionali. Ho organizzato, ad esempio, convegni, dibattiti politici e corsi di formazione sui diritti e sulla cittadinanza. SAGAL era stata la prima realtà associativa degli immigrati a Trieste, altre non ce n’erano. Sul suo esempio sorsero altre aggregazioni come quella italo-araba, quella italo-albanese, quella italo-russa e italo-iraniana e anche quella italo-cinese e da lì mi è venuto in mente di mettere insieme queste realtà e formare il coordinamento delle Associazioni e delle comunità degli immigrati della provincia (CACIT).
Come lavora e che cosa si propone questo Coordinamento?
Il Coordinamento è una forma di collegamento stabile tra comunità, associazioni, gruppi, collettivi, singoli che esprimono in vario modo l’affermazione dei diritti, della libertà e della dignità dei cittadini immigrati nella Provincia di Trieste. Il Coordinamento è pluralista: raccoglie persone e realtà con caratteristiche ed idee politiche, convinzioni filosofiche e religiose diverse, ma considera questa molteplicità una forza e deve fondare i rapporti sulla libera discussione e il rispetto reciproco. Siamo immigrati venuti da paesi in guerra, o in grave crisi economica, o siamo arrivati in Italia per altri motivi. Per questo vogliamo porgere la mano a tutti quelli che soffrono e riconoscere di avere in comune i principi dell’uguaglianza di tutti gli esseri umani e della solidarietà tra chi è colpito da qualsiasi forma di sfruttamento e di oppressione. Sosteniamo l’opposizione a ogni tipo di razzismo e di discriminazione: vogliamo dimostrare che nono sono vere tante accuse che ci vengono rivolte, come quella che saremmo maschilisti e vorremmo lasciare a casa le donne. La presidenza stessa del Comitato è stata data ad una donna argentina! Con questo Comitato abbiamo voluto porci in relazione con l’ambiente in cui viviamo e dimostrare che siamo una risorsa per la società, che contribuiamo con il nostro lavoro e pagando le tasse…
Sei diventato, poi, vicepresidente della Consulta regionale degli immigrati del FVG. Di che cosa si tratta? Com’è stato il percorso che ti ha portato a questo incarico?
Come membro del Coordinamento, ho partecipato alla stesura della legge regionale sull’immigrazione, che prevede anche la costituzione della Consulta: questa svolge funzioni di proposta in materia di integrazione sociale delle cittadine e dei cittadini stranieri immigrati. La Consulta è una grande occasione per tutti gli stranieri residenti in Friuli Venezia Giulia perché ci permette di avere una voce in capitolo come attori e non come fruitori di servizi nel nostro percorso migratorio. L’avvio di questo importante organo è stato quindi un passaggio verso una più fattiva integrazione degli stranieri e un passo fondamentale per il riconoscimento del nostro diritto di piena cittadinanza. Pochi mesi fa sono stato eletto dagli altri membri, che rappresentano le associazioni degli immigrati, vice presidente. L’assessore Antonaz, che come Assessore regionale all’istruzione, cultura, sport e pace è il presidente della Consulta, ha detto che è suo intendimento assegnarmi un vero ruolo di presidente, non per mancanza di responsabilità ma per dare un segnale forte al ruolo che deve svolgere la vicepresidenza.
Come ha agito finora questo organo?
La consulta deve dare parere sulle scelte politiche della Regione sulle questioni relative all’immigrazione. Ci siamo riuniti già quattro volte da maggio. Ci siamo occupati di medicina del lavoro e prevenzione degli infortuni caldeggiando un incontro con il gruppo di lavoro costituito in seno all’Osservatorio per la salute dei migranti finalizzato ad avviare un percorso di lavoro comune; abbiamo approfondito il tema della formazione professionale chiedendo un incontro con la Direzione centrale del lavoro, formazione, università e ricerca per analizzare i nodi critici che emergono per la prevista riduzione del FSE, che attualmente supporta la maggior parte delle iniziative formative messe in atto; ci siamo mossi anche sul tema delle politiche abitative, in particolare per quanto riguarda le agenzie sociali per la casa e la definizione dei parametri minimi di edilizia residenziale pubblica, che vorremmo ridurr
Martina Seleni.
Giornalista pubblicista