La droga che aiuta

Il 90 % dei pazienti potrebbero rispondere in modo ottimale ai farmaci oggi disponibili ma ancora oggi il medico, nell’affrontare un dolore severo, si trova spesso nell’indecisione di somministrare farmaci oppiacei. Ciò è dovuto non solo al timore degli effetti collaterali che una tale terapia potrebbe comportare, ma soprattutto alla possibilità di indurre uno stato di dipendenza iatrogena

 L’adeguato trattamento del dolore cronico resta ad oggi uno dei principali problemi di salute pubblica. Si stima che dal 40 all’80% dei pazienti con dolore oncologico non ricevano un’adeguata terapia del dolore. Questi dati acquistano un significato ancora più profondo se si considera che circa il 90% dei pazienti potrebbe rispondere in maniera ottimale ai farmaci oggi a nostra disposizione.
La terapia a base di oppiacei resta uno dei capisaldi nel “management” del dolore. L’OMS ha stabilito da tempo delle linee guida per quanto concerne la terapia antalgica: il dolore oncologico deve essere affrontato mediante l’impiego sequenziale di tre categorie di farmaci subentranti l’una all’altra (FANS, oppiacei minori, oppiacei maggiori), secondo una progressione a gradino. L’approccio sequenziale si attua nelle seguenti tre fasi:

  • Alla comparsa del dolore vanno somministrati i FANS che possono essere associati eventualmente e secondo i casi ai cosiddetti “farmaci adiuvanti”, come ansiolitici, antidepressivi, anticonvulsivanti, cortisonici. I farmaci adiuvanti sono un gruppo molto eterogeneo di sostanze che possono potenziare l’azione analgesica (vedi antidepressivi triciclici), agire su alcune cause di dolore (vedi cortisonici) e controllare altri sintomi associati al dolore.
  • Quando i FANS non sono più sufficienti a controllare il dolore si introducono gli oppiacei minori, che possono essere associati agli stessi FANS e/o agli adiuvanti.
  • Quando, in una successiva fase, gli oppiacei minori non sono più sufficienti, si utilizzano gli oppiacei maggiori associati o no ai FANS e/o agli adiuvanti.
  • Quando un farmaco della classe iniziale o intermedia, se impiegato correttamente, perde la sua efficacia, è necessario ricorrere ad un farmaco appartenente alla classe superiore.

Nonostante queste chiare indicazioni terapeutiche, ancora oggi il medico, nell’affrontare un dolore severo, si trova spesso nell’indecisione di somministrare farmaci oppiacei. Ciò è dovuto non solo al timore degli effetti collaterali che una tale terapia potrebbe comportare, ma soprattutto alla possibilità di indurre uno stato di dipendenza nel paziente. I dati presenti in letteratura sono alquanto contrastanti: se da un lato i terapisti del dolore riferiscono un rapporto rischio/beneficio a favore dell’utilizzo di tale terapia, dall’altro i tossicologi segnalano il pericolo d’abuso/misuso connesso ad un utilizzo degli oppiacei minori (es. codeina, ossicodone) come analgesici da banco. Qui di seguito vengono riassunti alcuni recenti dati di letteratura riguardo lo sviluppo di dipendenza iatrogena agli oppiacei.

Oppiacei e dipendenza iatrogena

Uno studio del 2000 ha analizzato negli Stati Uniti, nel periodo tra il 1990 e il 1996, le tendenze nell’utilizzo medico e nell’abuso di cinque oppiacei: il fentanil, l’idromorfone, la meperidina, la morfina e l’ossicodone. Dall’analisi sono stati esclusi altri tipi di oppiacei (ad es. la combinazione idrocodone-codeina e il metadone) che hanno indicazioni diverse da quella per la cura del dolore severo. Lo studio ha utilizzato come fonte di informazione per l’analisi dell’abuso di questi farmaci il Drug Abuse Warning Network (DAWN: banca-dati che registra sin dal 1972 gli episodi di abuso di sostanze che giungono all’osservazione delle strutture di pronto soccorso) e l’Automation of Reports and Consolidated Orders System (ARCOS: registra il numero di prescrizioni mediche dei narcotici) per l’analisi dell’uso medico degli oppiacei. Il numero di prescrizioni dei farmaci è stato espresso in grammi complessivi utilizzati e in grammi/100.000 persone, mentre gli indici d’abuso utilizzati sono stati il numero complessivo di soggetti abusatori e la percentuale della popolazione per la quale è presente nella banca dati una o più segnalazioni di episodi di abuso.
I dati (vedi tab.1) indicano che dal 1990 al 1996 c’è stato un incremento nelle prescrizioni di tutti gli oppiacei considerati, tranne che per la meperidina, e un decremento delle segnalazioni di abuso delle sostanze, tranne che per la morfina. Se si considera il numero totale di segnalazioni di episodi di abuso di sostanze, si osserva, durante lo stesso periodo, un incremento da 635.460 casi a 907.561 (incremento percentuale del 42,8%). Di questi quelli riferibili all’uso di analgesici oppiacei sono aumentati da 32.430 casi a 34.563 (+6,6%). Inoltre la quota percentuale di segnalazioni per abuso di oppiacei (rispetto alle altre categorie: analgesici non-oppiacei, alcol in combinazione con altre sostanze d’abuso) è diminuita dal 5,1% al 3,8%.
I dati confermano dunque che nonostante l’incremento dell’uso medico degli oppiacei, questo non sembra contribuire all’incremento dell’abuso.

Tabella1

90/96

Incremento delle
prescrizioni in %

Incremento dell’abuso
in %

Incremento dell’abuso
in casi registrati

Morfina

+59%

+3%

Da 838 a 865

Fentanil

+1168%

-59%

Da 59 a 24

Oxicodone

+23%

-29%

Da 4526 a 3190

Idromorfone

+19%

-15%

Da 718 a 609

Meperidina

-35%

-39%

Da 1.335 a 806

Uno studio successivo ha preso in considerazione, utilizzando le stesse fonti (DAWN e ARCOS), la tendenza nell’uso e abuso di fentanil, morfina e ossicodone, nel periodo che va dal 1997 al 2001. Lo studio ha colto un aumento delle visite presso le strutture di pronto soccorso indotte o correlate all’uso di queste sostanze (fentanil: incremento del 249,8%; morfina: incremento del 161,8%; ossicodone: incremento del 267,3%) (vedi Tab.2). Ma se si analizzano meglio i dati circa gli episodi segnalati dal DAWN si scopre che le menzioni per ciascuna delle tre classi di oppiacei restano al di sotto del 2% del totale delle segnalazioni complessive per sostanze d’abuso. Inoltre i dati riportati dal sistema ARCOS segnalano un incremento dell’uso medico di tali composti: fentanil +151,2%, morfina +48,8%, ossicodone +347,9%.

Tabella2

97/2001

Numero e percentuale
delle segnalazioni nel 1997

Numero e percentuale
delle segnalazioni nel 2001

Percentuale di
cambiamento dal 1997 al 2001

Fentanil

203 (0,02%)

710 (0,06%)

249,75%

Morfina

1.300 (0,14%)

3.403 (0,29%)

161,77%

Ossicodone

5.012 (0,53%)

18.409 (1,58%)

267,3%

Analgesici oppiacei

54.116 (5,74%)

99.317 (8,52%)

83,53%

Totale delle segnalazioni per sostanze d’abuso

942.382 (100%)

1.165.367 (100%)

23,66%

I dati analizzati in questo studio suggeriscono che gli analgesici oppiacei continuano ad occupare una posizione secondaria tra le sostanze d’abuso. Sebbene la somma dei casi di segnalazione d’abuso stia continuando a salire (dal 5,7% all’8,5% con un incremento del 48,4%), questi casi possono essere considerati comunque un fenomeno marginale se confrontati con l’aumento esponenziale del numero di prescrizioni di queste potenziali sostanze d’abuso.

L’altro lato della medaglia

Se da un lato le statistiche riportate sopra tranquillizzano circa la frequenza con cui si sviluppa una dipendenza iatrogena, bisogna ricordare che queste statistiche utilizzano come banca dati la DAWN che segnala i ricoveri presso le strutture di pronto soccorso: osservano quindi solo una parte del fenomeno. In alcuni paesi, oppiacei minori (codeina, ossicodone) sono largamente diffusi. In America la codeina è frequentemente prescritta, da sola o in combinazione con analgesici non-oppiacei quali l’acido acetilsalicilico e l’acetaminofene (il Tylenol, che rappresenta la specialità farmaceutica maggiormente prescritta nell’ultimo decennio, in alcuni paesi è presente in formulazioni in cui l’acetaminofene è associato alla codeina), per il trattamento del dolore da lieve a moderato e per il trattamento della tosse. In Canada la codeina è anche disponibile come farmaco OTC nella formulazione da 8 mg.
Proprio in Canada sono stati condotti alcuni studi che hanno evidenziato il rischio connesso ad una diffusione così ampia di tali farmaci. Tali studi  dimostrano infatti che la dipendenza, secondo i criteri del DSM IV, è relativamente comune tra coloro che utilizzano in maniera ricorrente o cronica la codeina e che un’alta percentuale di soggetti dipendenti da oppiacei prescrivibili identifica in problemi fisici e psicologici la causa del loro uso, mentre il dolore è indicato come il motivo primario per l’inizio dell’uso degli oppiacei stessi. Elevati punteggi per sintomi depressivi e sofferenza psicologica sono presenti nella maggioranza degli utilizzatori regolari e in particolare tra quelli che presentano una diagnosi di dipendenza. Molti di questi soggetti sembrano quindi utilizzare gli oppiacei per modulare i loro sintomi di comorbidità.
Uno studio più recente, effettuato in Canada, ha cercato di analizzare le caratteristiche dei pazienti che hanno sviluppato dipendenza iatrogena. L’occasione per condurre questo studio è stata offerta dall’estensione in Ontario del trattamento metadonico a mantenimento (MMT) a soggetti che avessero sviluppato dipendenza verso oppiacei diversi dall’eroina. I dati sono stati ottenuti con uno studio retrospettivo condotto tra coloro che erano stati sottoposti ad un piano metadonico a mantenimenti tra gennaio 1997 e dicembre 1999 (n=178) in un centro per la dipendenza e la salute mentale. I pazienti sono stati divisi in 4 gruppi:

  • Pazienti con dipendenza da oppiacei senza storia di uso di eroina (24%).
  • Pazienti con iniziale uso ricorrente di oppiacei prescritti e susseguente abuso di eroina (24%).
  • Pazienti con iniziale uso di eroina e concorrente o susseguente uso di oppiacei prescritti (35%).
  • Pazienti dipendenti da eroina senza storia di ricorrente uso di oppiacei prescritti (17%).

Alcune importanti differenze sono riscontrabili tra i gruppi di abusatori di oppiacei. Quelli dipendenti da oppiacei prescrivibili rispetto ai soggetti con dipendenza da eroina, avevano iniziato ad utilizzare oppiacei in un’età più avanzata, erano in uno stadio di dipendenza più strutturata, meno dediti all’uso di sostanze illecite (cannabis, cocaina) e all’uso di sostanze per via iniettiva. Erano più inclini ad attribuire l’uso iniziale di oppiacei ad una terapia del dolore sotto controllo medico e ad ottenere quindi gli oppiacei tramite prescrizione medica. Inoltre erano più spesso sotto trattamento psicofarmacologico (sedativi/ansiolitici o antidepressivi). I tre gruppi con storia di abuso di oppiacei prescrivibili erano inoltre simili sotto alcuni aspetti: non c’erano significative differenze circa la stabilità sociale misurata come relazione coniugale, impiego, problemi legali, né c’erano differenze circa l’utilizzo di altre sostanze d’abuso e precedenti tentativi di disassuefazione.
Ma ciò che colpisce di più sono le allarmanti percentuali fornite da questo studio: circa il 50% dei pazienti che si sono rivolti al centro per un trattamento di disintossicazione erano soggetti che avevano sviluppato una dipendenza da codeina. Il dato è paradossalmente in contrasto con le statistiche riportate nel paragrafo precedente, ma alcune spiegazioni sono fornite dagli stessi autori dello studio. Una prima chiave di lettura è proprio nella larga diffusione della codeina che in Canada origina dalla sua facile accessibilità in quanto contenuta in prodotti da banco: il farmaco verrebbe così utilizzato per indicazioni diverse da quelle per le quali è stato prescritto. La seconda chiave di lettura è nell’elevato grado di comorbidità psichiatrica riscontrato nei tre gruppi che utilizzavano codeina. Tale comorbidità era riscontrabile alla luce di diversi parametri: presenza di sintomi depressivi, trattamenti psichiatrici pregressi o concomitanti, numero di tentativi di suicidio, motivo che aveva indotto i pazienti ad utilizzare tale farmaco (se il dolore cronico rimaneva il primo motivo per tale scelta, il tentativo di alleviare la depressione e l’ansia risultavano essere al secondo posto).
Questo è in accordo con precedenti studi che hanno osservato un’alta prevalenza di disturbi mentali nei pazienti che avevano iniziato un trattamento di divezzamento dagli oppiacei: Rounsaville et al. hanno riscontrato che, usando lo Schedule for Affective Disorders and Schizophrenia-Lifetime Version, l’86,9% dei pazienti presentava i criteri diagnostici per un disturbo mentale. King et al. usando il DSM IIIr, hanno osservato che i pazienti presentavano nel 17% dei casi una diagnosi sull’asse I (sindromi cliniche)e nel 35% sull’asse II (disturbi dello sviluppo e della personalità). Ma nessuno di questi studi precedenti distingueva tra uso iatrogeno e non iatrogeno. In generale si ritiene che la sostanza è la causa primaria dell’abuso ma in questi casi potrebbe essere il disturbo psichiatrico a rappresentarne l’eziologia. L’intenso dibattito in psichiatria sulla doppia diagnosi ha focalizzato l’attenzione ancora una volta sull’ipotesi della self-medication come uno dei determinanti della dipendenza dalle sostanze d’abuso. Uno studio condotto su 339 soggetti, regolari utilizzatori di codeina (almeno 3 volte a settimana negli ultimi 6 mesi, escludendo i soggetti in trattamento per dolore oncologico), ha rilevato che il 37% dei soggetti presentava i criteri del DSM IV per la definizione di dipendenza. I criteri riscontrati erano predominantemente: tolleranza, astinenza, incapacità di ridurre i quantitativi quando necessario, tendenza ad assumere il farmaco per periodi più prolungati e in quantità maggiori di quelle opportune. Tali soggetti identificavano specifici problemi causalmente correlati con l’uso del farmaco, come la depressione (23%), l’ansia (21%), disturbi gastrointestinali (13%).

 

Conclusioni

Le caratteristiche degli individui che hanno sviluppato dipendenza o abuso iatrogeno da oppiacei e le circostanze della loro vita che hanno condotto a tale condizione non sono state ancora studiate e completamente chiarite. Il principale motivo per questa assenza è nella mancanza di una nomenclatura comune che permetta di determinare la prevalenza del fenomeno “dipendenza” nella popolazione di pazienti con dolore cronico. Il termine “addiction” è spesso usato come sinonimo di dipendenza con la quale molte persone interpretano la dipendenza fisica più che la dipendenza secondo i criteri del DSM IV. Inoltre i criteri del DSM IV si confanno meglio ad un tipo di dipendenza non iatrogeno. Utilizzando tali criteri si rischia di sovrastimare in alcuni casi il fenomeno: la dipendenza fisica è una comune conseguenza dell’uso cronico di oppiacei ed è ovvio che in una certa misura si sviluppi. Pertanto si sente il bisogno di chiare linee guida utili ad interpretare i criteri del DSM IV in una popolazione cosi particolare.
Gli specialisti del dolore citano una bassa incidenza di abuso o dipendenza tra i pazienti facendo pendere la bilancia a favore di un miglioramento funzionale e di una migliore qualità della vita. Nonostante tali dati, la decisione di iniziare una terapia antalgica con farmaci oppiacei deve essere considerata con prudenza e attenzione, valutando la relazione tra rischi e benefici. La controversia circa l’utilizzo a lungo termine degli oppiacei nel trattamento del dolore (soprattutto quello di natura non oncologica) resta quindi aperto. La tradizionale repulsione nei confronti dell’uso degli oppiacei nel lungo termine sta però lasciando il posto ad una nuova volontà di esaminare criticamente i dati presenti in letteratura. Tali dati esprimono una sostanziale sicurezza circa l’uso degli oppiacei almeno da un punto di vista strettamente statistico, ma avvertono anche del rischio che un uso indiscriminato di tali farmaci può comportare. Paradossalmente potremmo considerare la morfina un farmaco più sicuro della codeina. La prescrizione di oppiacei maggiori è infatti sottoposta a controlli accurati che rendendo difficile la loro reperibilità per soggetti che intendano utilizzarli senza controllo medico ed anche i soggetti sottoposti a tale terapia sono soggetti selezionati e seguiti nel tempo tramite accurati follow-up. Al contrario l’esperienza fatta da altri paesi, quali il Canada e gli Stati Uniti, che hanno introdotto un uso “indiscriminato” di oppiacei minori quali la codeina sta ponendo seri problemi. La possibilità di acquistare questo tipo di farmaci senza prescrizione medica ha contribuito alla diffusione dell’utilizzo di tali sostanze e ad un loro uso per indicazioni diverse da quelle per le quali sono prescritti. In un mercato così esteso è facile che anche gli individui, che presentino fattori di vulnerabilità nei confronti dello sviluppo di una dipendenza, abbiano facile accesso a tali tipi di terapie.
Sembra dunque che, se da un lato occorre evitare la “demonizzazione” degli oppiacei, dall’altro è giusto che tali farmaci siano sottoposti a controlli adeguati nella prescrizione. La selezione dei pazienti e il controllo prolungato sono cardini essenziali al fine di evitare il diffondersi di “epidemie” di abuso da farmaci.

 

Marco Borghesan
Scuola di specializzazione in Tossicologia medica
Dipartimento di Fisiologia Umana e Farmacologia
Servizio Speciale Antidroga
Università di Roma “La Sapienza” e Policlinico “Umberto I”

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