Modificazioni nel metabolismo di aree corticali e libiche, paralisi del sesto paio dei nervi cranici, complicazioni cardiologiche che portano alla morte, effetti psicologici che inducono ossessività, ansia, ostilità, ideazioni paranoiche, psicoticismo, disturbi del sonno e dell’appetito. Sono alcune, riconosciute conseguenze dell’assunzione di ectasy
Come era logico attendersi, l’anno appena trascorso ha visto una intensa attività di ricerca attorno alla farmacotossicologia dell’ecstasi (metilendiossimetanfetamina: MDMA). La relazione annuale sull’evoluzione del fenomeno della droga nell’Unione europea ci informa che dall’1 al 5% degli individui di età compresa tra i 16 e i 34 anni ha fatto uso di anfetamine e/o estasi. Nel Regno Unito il consumo è stato più elevato: del 16% per l’anfetamina e dell’8% per l’estasi. Il sequestro di pasticche di estasi in Europa ha raggiunto un picco di 9,9 milioni nel 1996, mentre nel 1998 (ultimo anno disponibile) è di 6,2 milioni.
Indagini chimico-analitiche condotte sulle pasticche sequestrate hanno evidenziato un prevalente contenuto di MDMA o sostanze simili (MDEA e MDA), ma anche di anfetamina o caffeina. Una recente comunicazione di fonte nordamericana estende al destrometorfano, efedrina, pseudoefedrina e salicilato la lista dei composti presenti nelle pasticche di estasi. Particolarmente preoccupante la presenza di alte dosi di destrometorfano (103-211 mg), perchè capaci di indurre effetti simili a quelli prodotti dalla fenciclidina (Baggott et al., 2000).
Metabolismo
Le metilendiossianfetamine subiscono un processo ossidativo che segue due vie. La principale è quella di demetilenazione che porta alla formazione di composti catecolici reattivi, che vengono poi coniugati attraverso la metilazione, la glucuronidazione o la solfatazione. La seconda via, meno importante, consiste nella dealchilazione della catena laterale con formazione della corrispondente amina, a sua volta ossidata al rispettivo derivato benzoico. Sebbene sia assodata la partecipazione del sistema microsomiale epatico a tale metabolismo, molto lavoro è stato dedicato ad individuare quale degli innumerevoli isozimi del citocromo P450 ne sia il principale responsabile. Uno studio condotto su microsomi epatici umani provenienti sia da un metabolizzatore CYP2D6 rapido che da uno lento ha fornito importanti chiarimenti al riguardo (Kreth et al., 2000). E’ stato innanzitutto assodato che il contributo della demetilenazione al metabolismo dell’MDMA è da 7 a 40 volte maggiore rispetto alla dealchilazione. A basse concentrazioni del substrato la demetilenazione è principalmente svolta dall’isozima CYP2D6, mentre ad alte concentrazioni prevale l’attività di isozimi a bassa affinità, quali il CYP1A2 (il principale), il CYP1A1 e il CYP3A4. Nessun isozima ad alta affinità partecipa invece al processo di dealchilazione, che è svolto principalmente dal CYP2B6.
L’interesse in questi studi deriva dal fatto che fattori genetici e farmacotossicologici modificano profondamente l’attività microsomiale epatica. In effetti, l’assunzione del ritonavir, un potente inibitore sia della CYP3A4 che della CYP2D6, è stata associata ad un caso fatale di intossicazione da MDMA (vedi precedente edizione di questo articolo).
Effetti acuti
Effetti psicologici
Quali sono le strutture cerebrali coinvolte negli effetti psicologici dell’MDMA? A questa domanda ha cercato di dare risposta un elegante studio che, utilizzando la PET (Positron Emission Tomography), ha esaminato le modificazioni regionali cerebrali del flusso ematico indotte da una singola dose orale di MDMA (1.7 mg/kg) somministrata a volontari che non avevano mai fatto uso della sostanza. Ne risultava un aumentato flusso ematico nella corteccia frontale ventromediale e occipitale, nel lobo temporale inferiore e nel cervelletto. Una riduzione era osservata invece nella corteccia motoria e somatosensoriale, nel lobo temporale, nell’amigdala sinistra, nel cingolo, nell’insula e nel talamo. Questi effetti si associavano all’atteso miglioramento dell’umore, all’aumentata estroversione, alla derealizzazione di modesto grado e alle lievi alterazioni percettive. In definitiva gli effetti psicologici dell’estasi apparivano associate ad un variegato mosaico di modificazioni nel metabolismo di aree corticali e limbiche (Gamma et al., 2000). Che così diffuse modifiche siano indotte dall’azione serotoninergica dell’MDMA è compatibile con la pervasività della neurotrasmissione 5-HT nel nevrasse.
Lo stesso gruppo di ricerca ha fornito ulteriori elementi di prova in favore del ruolo del sistema serotoninergico nel mediare gli effetti psicologici dell’estasi. In un primo studio hanno osservato che la somministrazione di 40 mg ev di citalopram, un bloccante del trasportatore della 5-HT, era in grado di prevenire tali effetti prodotti dall’MDMA (1.5 mg/kg os) in 16 volontari sani (Liechti et al., 2000a). Ciò estende all’uomo la nozione che gli effetti neuropsichici dell’MDMA sono dovuti ad uno scambio 5-HT/MDMA a livello del trasportatore con conseguente aumento sinaptico del neurotrasmettitore. In un successivo studio è stato esaminato il ruolo dei recettori 5-HT2A/C nel mediare l’aumentata trasmissione serotoninergica, visto che tali recettori sono impegnati nell’espressione degli effetti degli allucinogeni serotoninergici (Liechti et al., 2000 b). Alla dose di 50 mg os la ketanserina si è così dimostrata capace di bloccare gli effetti percettivi e l’eccitazione emotiva, mentre non modificava il buon umore, il benessere e l’estroversione. Di particolare interesse la normalizzazione della temperatura corporea aumentata dall’MDMA.
E’ bene tuttavia rammentare che l’MDMA possiede, anche se in misura ridotta, la capacità di indurre rilascio di dopamina. In accordo con questo meccanismo, di nuovo Liechti e Vollenweider (2000a) hanno osservato che quegli effetti psicologici positivi dell’MDMA che non erano bloccati dalla ketanserina, lo erano dall’aloperidolo (1.4 mg ev).
Effetti cardiovascolari
Tra gli effetti acuti quelli cardiovascolari continuano a suscitare un preoccupato interesse. Essi consistono in un aumento della frequenza cardiaca, della pressione arteriosa sia diastolica che sistolica, della gittata cardiaca (Lester et al., 2000). Il ruolo del sistema serotoninergico in tali effetti è stato recentemente suggerito da uno studio in cui il pretrattamento con citalopram (40 mg ev) era in grado di prevenire l’incremento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca indotto dalla somministrazione di MDMA (1.5 mg/kg os).
Tossicità acuta
Continua la segnalazione di casi in cui l’assunzione di MDMA rimane per esclusione la causa più plausibile dell’evento patologico. Tra questi, un caso di paralisi del sesto paio di nervi cranici con diplopia orizzontale in un diciassettenne che negli ultimi due mesi aveva assunto 1 o 2 compresse di estasi ad intervalli di 5 – 7 giorni. L’interruzione dell’assunzione ha dato luogo ad una regressione spontanea della patologia (Schroeder and Brieden, 2000). Un secondo caso ha riguardato il decesso per dissezione aortica e tamponamento cardiaco di un ventinovenne dopo l’ingestione di estasi ad un rave party. Gli autori formulavano una probabile associazione tra l’evento fatale e l’assunzione di MDMA sulla base dell’assenza apparente di fattori di rischio nel soggetto e sulla presenza invece nei suoi liquidi biologici della sostanza a 48 ore di distanza dall’assunzione (Duflou and Mark, 2000).
Effetti cronici
Assodato che anche nell’uomo l’MDMA produce quelle lesioni del sistema serotoninergico già riscontrate nelle specie infraumane, l’interesse si è spostato a valutare quali siano le conseguenze funzionali di tali lesioni e quale ne sia la durata. A tal proposito Gerra e collaboratori (2000) hanno osservato che a distanza di 12 mesi persiste una ridotta risposta prolattinica alla somministrazione di un agente serotoninergico (fenfluramina) nei consumatori di estasi, mentre quella cortisolica è ripristinata. Sulla base di questa osservazione gli autori suggeriscono una parziale reversibilità dell’azione neurotossica dell’MDMA.
Tuchtenhagen e collaboratori (2000) hanno invece misurato comparativamente i potenziali evocati uditivi in soggetti normali, consumatori cronici di estasi o di cannabis. I consumatori di estasi mostravano un aumento di tali potenziali nella corteccia uditiva primaria all’aumentare dell’intensità dello stimolo. Poichè questo effetto è stato tipicamente osservato nei soggetti con tratti della personalità ritenuti associati con una diminuita attività serotoninergica (high novelty or sensation seeking), gli autori ne deducono che nel soggetto consumatore cronico di estasi vi sia una simile riduzione del tono serotoninergico.
Ossessività, ansia, ostilità, ideazioni paranoiche, psicoticismo, disturbi del sonno e dell’appetito sono i disturbi psicologici osservati in un gruppo di forti consumatori di estasi comparativamente ai non consumatori e ai modesti consumatori (Parrott et al., 2000). In una approfondita rassegna dedicata ai possibili persistenti effetti psicologici dell’assunzione di estasi Morgan (2000) sostiene la crescente evidenza che l’uso cronico e intenso di estasi è associato con disturbi del sonno, depressione, ansia, impulsività ed ostilità, deficit della memoria e dell’attenzione. I deficit cognitivi persisterebbero per almeno sei mesi, mentre l’ansia e l’ostilità scomparirebbero dopo un anno di astinenza.
Paolo Nencini
Professore ordinario di farmacologia
Istituto di farmacologia e servizio antidroga
Facoltà di Medicina e Chirurgia Università “La Sapienza” Roma
SOS droga – www.droga.it