Spesso si utilizza il concetto di prevenzione in maniera confusa (o non scientifica). E’ anche per tale ragione che gli stessi interventi, poi, difettano
Nell’ultima Conferenza Nazionale sui problemi connessi con la diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, svoltasi a Palermo nello scorso mese di dicembre, si è dedicata un’apposita commissione, durante i tre giorni di lavoro, alla prevenzione come elemento indispensabile per la lotta alla droga. In realtà la commissione prevedeva l’allargamento della discussione anche ai temi della comunicazione e della formazione, ineludibili per ciò che attiene la prevenzione. Non si riesce cioè a fare una buona prevenzione, se a monte non c’è un’adeguata formazione e se non si riesce a comunicarla nel migliore dei modi. Ecco perché questi tre temi non possono essere separati se si vuole raggiungere l’obiettivo prefissato, non far entrare i più giovani in contatto con le sostanze e non farci ricadere quelli che ne sono usciti.
Spesso si utilizza il concetto di prevenzione in maniera confusa (o non scientifica); è anche per tale ragione che gli stessi interventi, poi, difettano. Ciò che avviene più frequentemente è che la prevenzione primaria e quella secondaria vengano confuse tra loro. Un po’ più marcata appare, invece, la distinzione per quanto attiene alle specifiche della prevenzione terziaria.
Prevenzione primaria: In Italia non esiste un intervento primario definito, dal punto di vista preventivo, soprattutto per quanto attiene all’aspetto psico-sociale. Tale prevenzione, infatti, dovrebbe essere svolta a partire dai primi anni di età. La letteratura evidenzia (S. Freud, M. Klain, D. Winnicott, A. Sigal, etc) che perché non si vengano a creare traumi che portino a delle fissazioni inconsce, dunque a dei problemi, fondamentale è il primo rapporto madre-bambino (0 – 36 mesi), successivamente il periodo di pre-latenza (3 – 5\6 anni) e, in ultimo, la fase di latenza (5\6 – 12\13). È evidente, perciò, che prima inizia l’intervento preventivo, maggiore è la possibilità che lo sviluppo sia sano (così come, evidentemente, il sistema di cui questo fa parte). Per tali ragioni sarebbe persino restrittivo, se non addirittura errato, parlare di prevenzione primaria mirata ad una specifica problematica (“comparsa” in età adolescenziale). La persona è una ed unica; la problematica proposta è quella più egosintonica, così come, evidentemente, nel caso delle sostanze (legali e\o illegali), egosintonica è la “cura” ricercata (sostanza specifica).
Senza voler proporre un’analisi psico-sociologica, l’attenzione dovrebbe però ritornare alla famiglia (prima istituzione formativa). Per poter sviluppare questa strategia, a questo punto, fondamentale è il ruolo svolto dalle altre fondamentali istituzioni formative quali asili nido, scuole materne, scuole elementari e scuole medie inferiori, essendo queste di più facile raggiungibilità per gli operatori deputati a tale tipo di lavoro (Psicologi, Psicoterapeuti, Educatori Professionali, etc). È qui che, mediante dette figure professionali, possono essere proposti degli sportelli di ascolto e consulenze in grado di poter osservare le interazioni del bambino con i pari, con gli insegnanti ed i genitori. In detto modo si potrebbe stimolare, nel tempo, un differente approccio allo strumento professionale di prevenzione, attraverso una tempestiva offerta e richiesta di aiuto. Gli interventi informativi rispetto alla conoscenza delle sostanze, così come i loro effetti e le loro conseguenze, dovrebbero iniziare, ad ogni modo, a partire dalle scuole medie inferiori.
Distinguerei bene, dunque, intervento preventivo, degno di tale nome, dall’intervento di tipo informativo. È vero, infatti, che spesso i giovani sono in possesso di informazioni false, dal punto di vista scientifico, circa le sostanze e quanto ad esse riferito, però è oramai acquisito il concetto che la droga fa male. Sapere aiuta a prendere delle decisioni consapevolmente ma non evita, evidentemente, la possibilità di utilizzo delle varie sostanze. Come mai persone intelligenti ed affermate fanno uso di eroina, cocaina, cannabis etc. Come mai i maggiori utilizzatori di droghe sintetiche sono studenti? Forse perché non sanno che fa loro male?
Prevenzione secondaria: In questo caso non si può pensare di proporre facili rimedi perché possa cessare l’utilizzo di sostanze. …anche perché, purtroppo, non esistono. Le informazioni terroristiche sono quelle che nel brevissimo periodo possono produrre, in un numero di casi ridotti, una riduzione e\o sospensione dell’uso\abuso di sostanze ma, anche le alternative alla droga (quali persino lo sport) che spesso vengono offerte, non possono essere strumento di cura. Questi elementi, in grado di allietare e valorizzare il tempo libero, sono più importanti nel momento in cui non sia ancora avvenuto il primo contatto (idem per quanto riguarda gli altri passatempi). Le droghe assolvono ad un tentativo infruttuoso di “cura” delle ferite che hanno determinato le ragioni del primo contatto e del successivo utilizzo. In questa fase dell’intervento, comunque, gli stessi centri di ascolto e consulenza da istituirsi in tutte le scuole medie superiori, parallelamente alla prevenzione primaria, potrebbero svolgere un lavoro di consapevolezza ed accettazione della problematica manifesta (uso\abuso droghe), al fine di poter offrire un intervento congruo con la situazione definitasi.
Entra in gioco a questo punto l’importanza della comunicazione. Questa deve essere assolutamente mirata al target al quale è riferita. Bisognerebbe proporre, attraverso una modalità comunicativa giovanile e non ideologizzata (scientificamente corretta), un insieme di strumenti (video, radio, filmati, fiction, fumetti, etc) che stimolino l’attenzione e la fantasia, perché i messaggi (non escludendo anche quelli di tipo metaforico) proposti possano sedimentare, al fine di poter essere accettati (resi propri) dall’interessato. Questo prevede la responsabilizzazione del diretto interessato; un’autonomia ed un dovere d’azione nei confronti di sé. Si dovrebbe seguire un orientamento (o teoria, che dir si voglia) che possa consentire di prevedere, a seconda delle fasi del ciclo vitale, le problematiche certe che si riscontrano (in concomitanza di queste), proprio al fine di poter forgiare dei messaggi definiti ad hoc per ciascuno di questi (es: creazione della coppia; matrimonio; nascita del primo figlio (ed eventuali altri): prima infanzia, infanzia, adolescenza (identificazione, svincolo), status di adulto; etc.
Per raggiungere questi risultati occorre prevedere operatori e comunicatori adeguatamente formati. In Italia non esiste una laurea o una specializzazione specifica per chi lavora nel settore delle tossicodipendenze ed in particolare per chi opera nei Sert; mancano dei corsi per formatori di prevenzione; le figure del counsellor, del leader, del tutor e del mentor vanno valorizzate anche attraverso la previsione di opportuni corsi di formazione.
C’è ancora tanto da fare, anche se la strada imboccata sembra essere quella giusta. Non a caso l’Italia è vista in Europa e nel mondo come una nazione modello per la lotta alla droga e sulla prevenzione in particolare. Di tutto c’è bisogno tranne che di ri-ideologizzare il confronto tra posizioni diverse. Soprattutto è bene che chi ricopre ruoli istituzionali prefiguri strade e soluzioni di cui si abbia un reale sostegno scientifico, perché la droga si può vincere solo con il concorso di varie ricette ed indirizzi che siano però condivisi da tutti gli attori in campo.
Dott. Marco Scurria
Presidente Nazionale Modavi onlus