Oggi le comunità sono sicuramente gli unici mezzi che la società mette a disposizione a chi vuole una mano, sono altresì le uniche che possono far fronte ad ogni tipo di problematica poiché le loro impostazioni sono molto differenziate e offrono programmi che negli anni si sono sviluppati, migliorati e diversificati
Il mondo delle droghe si arricchisce ogni giorno di più di nuove sostanze, di nuove soluzioni da offrire a coloro che vagano in ricerca di “sballi” sempre più diversi e più forti.
L’unico parametro che resta in ogni caso costante è il tossicodipendente, inteso come persona che rinuncia alla propria libertà cercando negli abusi l’unico spiraglio di soddisfazione di vita. Premesso che ogni dipendenza è caratterizzata da uno scambio, da un dare e un avere, come in qualsiasi altro rapporto commerciale, è chiaro che chiunque acquista, lo fa perché gli piace e gli provoca piacere.
A questo punto resta difficile doversi imporre singolarmente delle restrizioni, di qualsiasi genere esse siano, se si vuole limitare o privare una forma di piacere, ed è proprio in questo campo che entrano in gioco i sert e le comunità.
I primi, molto spesso, cercano dei compromessi o in ogni caso una forma di sostituzione delle droghe con altre ritenute più o meno dannose, lasciando in ogni caso una certa libertà al tossicodipendente che spesso utilizza il servizio solo in extremis o per sommare le une alle altre; le seconde limitano per un periodo la libertà con un’azione di contenimento, vietando l’uso d’ogni sostanza.
Chi ha avuto esperienza di tossicodipendenza sa benissimo che per avere una speranza di vita, bisogna limitare la libertà di azione e decisione, non a caso i primi tentativi vengono sempre fatti o chiudendosi in casa o recandosi da parenti o posti lontani o assumendo sostanze antagoniste (antraxone).Spesso questi tentativi risultano inutili dopo un periodo iniziale di apparente successo poiché gli addetti al controllo divengono unicamente “guardie” e come tali soggetti da ingannare.
Detto questo è facile intuire la necessità di avere strutture che possono riuscire ad ottenere un significativo successo coinvolgendo gli utenti ad una forma di auto-aiuto e solidarietà, sostituendo il ruolo di “carcerieri” con gli stessi guidati da operatori. Riuscendo a fare un gioco di squadra e creando dei gruppi, si ottiene uno spirito solidale per raggiungere ottimi risultati.
Le comunità inoltre occupano i tempi pienamente, ognuna con modi diversi a seconda la propria impostazione cercando di rieducare e infondendo valori che per molti tossicodipendenti fanno parte di una realtà virtuale. L’alleato fondamentale per queste strutture è il tempo che offre a chi riesce a spenderlo bene un alternativa, uno stile di vita diverso, un modo per poter scegliere o la vita o la morte. Inoltre, alla base, resta la convinzione che ogni singolo ha o che comunque scopre dopo un primo periodo..
Il pianeta droga è variopinto e sicuramente difficile, ogni soggetto ha una sua storia e le proprie difficoltà, le comunità oggi come oggi sono sicuramente gli unici mezzi che la società mette a disposizione a chi vuole una mano, sono altresì le uniche che possono far fronte ad ogni tipo di problematica poiché le loro impostazioni sono molto differenziate e offrono programmi che negli anni si sono sviluppati, migliorati e diversificati.
Con una cosi vasta scelta, che va dalle comunità terapeutiche a quelle lavorative, si può far fronte o perlomeno proporre una soluzione ad ogni ragazzo o ragazza che ne richieda l’aiuto.
Credo che spesso venga sottovalutata l’importanza dell’esperienza, di chi ha provato sulla propria pelle certe sensazioni e certi dolori, credo che l’impiego di quest’ultimi possa portare dei miglioramenti, sia per i ragazzi che per le strutture.
In quest’ultimi anni mi sembra che si affidi un po’ troppo la gestione delle comunità a “professionisti” senza lasciare spazzi a coloro che non a caso, sono stati i pionieri di questo sistema di recupero proprio perché l’hanno vissuto in prima persona .
Sono convinto che le stanze del buco e ogni altra legittimazione sia una condanna a morte, così come lo è la cosiddetta politica della riduzione del danno che vede soggetti come lo ero io sedati da quantità astronomiche di metadone, inoltre penso che non si possa risolvere il problema droga sostituendo una sostanza con un’altra e che l’unica forza che abbiamo per aiutare chi è caduto nell’abuso siano le comunità.
Io sono stato un tossico per circa venti anni e adesso ricopro il ruolo di direttore dell’accoglienza al Gruppo Valdinievole dopo averci fatto il programma. Adesso mi rendo conto che l’uscire dalla droga lascia comunque un grande vuoto e che si sente il bisogno di riempire. Il creare un alternativa soddisfacente aiuta molto al fine di evitare ricadute, l’insoddisfazione è il pericolo maggiore da cui non è facile proteggersi…… l’aiutare gli altri è quello che mi sta aiutando a riempiere il mio vuoto.
Paolo Marengo
Direttore dell’accoglienza, Gruppo Valdinievole