“Prodotto utilizzando lavoro minorile”

In Italia, sono lavoratori 144 mila ragazzi tra i 7 e i 14 anni e per trentunomila di loro è realistico parlare di sfruttamento. Ma nel mondo il numero dei minori lavoratori è in continua diminuzione e l’ILO vuole cancellare questa vergogna dell’umanità, nei prossimi 10 anni

In Cina è segreto di stato. Dal 2000 un decreto classifica “jimi“, cioè “top-secret”, la diffusione di informazioni sul lavoro minorile. Non solo, in Cina rompere il “jimi” sul lavoro minorile è un reato grave, per il quale non puoi chiedere aiuto nemmeno all’avvocato, ma che in compenso ti porta dritto in galera a scontare lunghe pene detentive.
L’ Organizzazione internazionale del Lavoro stima che almeno l’11,6% dei minorenni cinesi si dibattano nelle pastoie del lavoro nero. Uno sfruttamento spesso mascherato da apprendistato scolastico, con ragazzini costretti a lavorare ogni giorno dalle nove della mattina alla mezzanotte, per 50-80 euro al mese, obbligati anche a trascorrere le loro notti in stanzette fatiscenti e senza servizi, spesso ammassati come animali. Un’infanzia negata e straziata.

Per chi pensa, poi, che il problema dello sfruttamento del lavoro minorile sia qualcosa ad unico appannaggio di quelle aree del mondo depresse ed arretrate, conviene ricordare la ricerca Istat del 2002, dalla quale emerge che in Italia lavorano circa 144.000 ragazzi tra i 7 e i 14 anni, e che per trentunomila di essi più che di lavoro si parla di vero e proprio sfruttamento. Nella ricerca menzionata, realizzata con la collaborazione del Ministero del Lavoro, l’Istat fa comunque presente che non tutto il lavoro under 14 va considerato illegale. Si deve infatti distinguere tra i lavori veri e propri e i lavoretti fatti dai ragazzi, spesso in casa, ma che non inibiscono necessariamente ne’ l’istruzione ne’ il tempo libero. Resta però almeno un 11.8% di questi ragazzini che spesso presta la propria attività sia nelle fabbriche che nei cantieri.
Eppure, a fronte di queste situazioni di cui si intravede ancora solo la punta dell’iceberg, il 12 maggio 2006 è stato reso noto il secondo rapporto della stessa Organizzazione internazionale del Lavoro (ILO – International Labour Organization) dal cui si è evidenziata una diminuzione significativa del lavoro minorile nel mondo, specie del lavoro minorile nelle sue forme peggiori.

“A livello mondiale, il numero dei minori lavoratori nella fascia di età 5-17 anni è sceso da 246 milioni nel 2000 a 218 milioni nel 2004, una riduzione dell’11%. La percentuale dei minori lavoratori in tale fascia di età è scesa dal 16% nel 2000 al 14% nel 2004. La percentuale dei minori di età compresa tra i 5 e i 14 anni coinvolti nel lavoro pericoloso è scesa del 26%, da 171 milioni nel 2000 a 126 milioni nel 2004. Per la fascia di età 5-14 anni, la diminuzione nei lavori pericolosi raggiunge anche il 33%.”
Questi risultati inducono all’ottimismo, tanto è vero che Juan Somavia, Direttore Generale dell’ILO, ha dichiarato: “Porre fine al lavoro minorile oggi è possibile. Sappiamo oggi che la volontà politica, le risorse e le scelte politiche giuste ci consentono di porre fine ad una calamità che segna la vita di tante famiglie nel mondo”.

Passi importanti che permettono qualche sospiro di sollievo. Il cammino però è ancora lungo, e i successi conseguiti non devono far abbassare la guardia su questa piaga che affligge tutto il mondo. I progressi ottenuti, infatti, non sono stati automatici, ma hanno visto la mobilitazione di governi, associazioni, imprenditori e lavoratori, come il rapporto The end of child labour: Within reach dell’ILO ha ben illustrato.

La crescita economica non basta da sola a eliminare il lavoro minorile, anche se è sicuramente un fattore determinante. Occorrono a supporto politiche mirate, che mettano in risalto la volontà di portare l’istruzione gratuita e obbligatoria anche tra i ceti meno abbienti (concretizzando così  l’art. 28 della Convenzione  Internazionale sui Diritti  dell’Infanzia), il tutto  unito a miglioramenti tecnologici nei vari cicli produttivi e all’assunzione di nuovi strumenti giuridici per la tutela del lavoratore anche nelle aree depresse del mondo. Occorre inoltre incentivare la volontà dei singoli stati a combattere il lavoro minorile sul proprio territorio, smascherando quelle realtà che, come abbiamo visto, vorrebbero “cancellare” il problema semplicemente punendo chi osa parlarne. Infatti, è proprio nel riconoscere il problema che si attua il primo passo per restituire a questi minori i loro diritti negati.

Come dimostrato, al miglioramento della situazione possono e devono contribuire programmi come l’IPEC (International Programme on the Elimination of Child Labour). Principale e più importante programma in materia di lavoro minorile, L’IPEC dalla sua nascita, nel 1992, ha stanziato 350 milioni di dollari, con una spesa annua intorno ai 50-60 milioni di dollari. Dal 2002 a oggi, circa 5 milioni di minori hanno ricevuto gli aiuti dell’IPEC, ed il programma è risultato validissimo per il monitoraggio del lavoro minorile e dunque per la possibilità di avere finalmente un quadro preciso e particolareggiato di questo problema, passo essenziale se si vuole arrivare, come l’ILO si augura, alla cancellazione totale del lavoro minorile, soprattutto quello pericoloso, nei prossimi 10 anni.
Resta comunque molto da fare. Ad esempio, il lavoro minorile agricolo e  quello domestico sono stati abbastanza trascurati dai programmi internazionali e governativi, soprattutto per la naturale facilità con cui sfuggono alle statistiche, ai monitoraggi e anche ai censimenti più capillari. Spesso i minori svolgono il lavoro agricolo o domestico all’interno della loro stessa famiglia, ma non nelle modalità, nei tempi, e con le garanzie indicate dall’Unicef e dalle associazioni non governative. Ricordiamo infatti che questi organismi accettano un minimo di lavoro minorile nel campo dell’agricoltura, del lavoro domestico e dell’artigianato, solo quando il minore opera nell’ambito della famiglia, per un numero di ore minimo, e purché l’attività svolta non sia pericolosa e non interferisca assolutamente con le attività scolastiche, ludiche o di riposo.
E’ chiaro dedurre che questa distinzione può risultare labile lì dove i mezzi di controllo sono superficiali o, addirittura, inesistenti.
Nel rapporto dell’ILO si evidenzia come per combattere il lavoro minorile sia ormai necessario inserire questa piaga sociale tra gli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG). E gli strumenti a disposizione possono essere i più disparati, dalle commissioni di inchiesta nazionali ed internazionali fino al vero e proprio boicottaggio delle merci prodotte con l’ausilio del lavoro minorile. L’importante è che vi sia la volontà effettiva di affrontare il problema, rivendicando il predominio dei diritti civili sugli interessi commerciali. E per fare questo, forse, potrebbe essere d’aiuto coinvolgere direttamente l’opinione pubblica, la coscienza di ogni singola persona che si definisca civile. Viene così voglia di fare una provocazione: perché non immaginare una etichettatura dei prodotti tale da certificare chiaramente che nel ciclo di produzione non è stata impiegata manodopera minorile, un po’ come si fa già sui prodotti di bellezza, quando sulla confezione si scrive che non sono stati testati su animali, lasciando così al consumatore la possibilità di premiare chi si muove in base alle regole e di colpire chi invece alle regole e alla civiltà preferisce il profitto?

Un piccolo spunto di riflessione, un pungolo. Perché per sconfiggere una piaga e una vergogna come quella del lavoro minorile, da cui nemmeno un paese civile e industrializzato si può dire immune, c’è bisogno dell’aiuto e dell’interessamento di tutti.

 

Giorgia Meloni
Vicepresidente Camera dei Deputati

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