Se spesso le MNCs (Multinational Corporation’s) aprono prospettive, sembrano accrescere gli standard di vita e non possono essere accusate di diretta responsabilità per lo stato di povertà, è pur vero che non di rado risultano coinvolte, nel contesto della loro attività economica, in fenomeni indiscutibili di abuso di soggetti deboli (bassi salari, lavoro rischioso, lavoro minorile) e di sfruttamento delle risorse naturali
La politica economica delle imprese multinazionali (Multinational Corporation’s – MNCs) diretta verso i Paesi del Terzo Mondo si caratterizza per un impatto “controverso”, e cioè in parte talora apprezzato e positivo (una speranza capace di alimentare il c.d sviluppo sostenibile) ed in parte certamente negativo. Se spesso, in detti Paesi, le MNCs aprono prospettive, sembrano accrescere gli standard di vita e non possono essere accusate di diretta responsabilità per lo stato di povertà, di malnutrizione e di fame ivi presenti, è pur vero che non di rado risultano coinvolte, nel contesto della loro attività economica, in fenomeni indiscutibili di abuso di soggetti deboli (bassi salari, lavoro rischioso, lavoro minorile), e di sfruttamento delle risorse naturali. Inoltre non tutte le MNCs mostrano reale intenzione di cooperare per il futuro rispetto di princìpi morali. Possiamo anzi dire che, per il management delle MNCs la ricerca del bene comune non rappresenta di norma un obiettivo.
Gli abusi e le varie forme di sfruttamento economico sono favorite dal fatto che, nei Paesi del Terzo Mondo, il concetto di responsabilità morale delle imprese d’ogni tipo e delle MNCs in particolare, come pure il significato dei diritti dei lavoratori e dei contenuti dei codici etici in materia di diritto al lavoro non appaiono ben definiti, chiariti ed identificati.
Molti abusi che si manifestano tendono a non “produrre” storia: sono sovente dimenticati o sottovalutati dalle comunità locali e dalle loro organizzazioni politiche. Va poi rilevato che lo sfruttamento minorile viene a costituire la piaga più rilevante per il peso che assume nei processi di lavoro e di incremento della produttività come anche di competizione delle MNCs a livello mondiale. Si stima che nel mondo circa 246 milioni di bambini siano succubi dei processi di sfruttamento minorile e risultino nel contempo esclusi dalla fruizione dei servizi essenziali.
Per tali ragioni si è voluto contestualizzare, nella ricerca di cui il presente scritto costituisce una breve sintesi, il ruolo e le strategie delle MNCs alla luce del principio del bene comune globale, focalizzando l’analisi su due Paesi “emblematici” e cioè Messico e Colombia, avendo particolare riguardo alle situazioni concernenti il lavoro minorile. Lo studio è corredato di dati statistici, presenti nella letteratura specifica o provenienti da indagini di varia natura (workshops, panels, etc.) condotti da organizzazioni internazionali o locali (OIL, Unicef, Nazioni Unite, Università, società di ricerca e studiosi del campo considerato).
Cominciamo col dire che il problema dello sfruttamento minorile è collegato direttamente alla spirale di povertà che attanaglia i Paesi del Terzo Mondo nel medesimo momento in cui le MNCs perseguono fini esclusivamente di espansione rinunciando a cooperare per il bene comune.
E’ importante considerare che lo scopo di un’impresa non è, puramente e semplicemente, conseguire un profitto. Questo è piuttosto un regolatore della vita di un’impresa. Fattori morali ed umani devono essere considerati, ed essi possiedono, specie nel lungo periodo, importanza per la vita di una “business organization”. Le MNCs sono “business” e si sviluppano molto velocemente nei Paesi del Terzo Mondo. Ciò soprattutto a causa dei processi di privatizzazione di importanti settori della vita economica quali quelli delle telecomunicazioni e delle risorse naturali.
Nella produzione di energia società come BP, Shell and Exxon Mobil operano dove petrolio e gas possono essere trovati. BP da sola è attiva in più di 100 Paesi. In questo processo di sviluppo le “corporation” offrono aiuti e producono nel contempo un danno alla popolazione, alle comunità locali, come pure all’ambiente circostante ed altro ancora.
Emblematica è la loro presenza in Messico e Colombia.
Messico è una Repubblica federale, il più vasto Paese di lingua spagnola del mondo con una popolazione approssimativamente di 107 milioni di abitanti, il 50 % della quale si trova in uno stato di povertà estrema. E’ stata favorita da un rapido sviluppo delle esportazioni grazie all’accordo di cooperazione economica NAFTA e ad altri accordi commerciali significativi. Secondo i dati della Banca Mondiale nel 2004 la povertà sarebbe regredita al 17,6%. In particolare nelle aree rurali sarebbe passata dal 42% al 27%, in quelle urbane sarebbe invece ancora presente nella misura dell’ 11%. Lo sviluppo degli investimenti esteri in Messico è enorme. Il Paese è stato inondato di prodotti agricoli ed industriali. Banche estere e corporation americane, giapponesi ed europee attualmente controllano e guidano l’economia messicana. Il prodotto interno lordo del Paese si è incrementato come conseguenza dell’impatto dovuto alle MNCs.
Colombia è una democrazia pluripartitica costituzionale. Conta circa 44 milioni di abitanti. Di questi nel 2005 il 64,2 % vive in stato di povertà, il 31% in stato di estrema povertà. La povertà delle zone rurali è 3 volte più grande di quella urbana, seppure la situazione stia migliorando anche grazie agli interventi dell’attuale presidente Alvaro Urine. A causa dei livelli di povertà e della perdita di opportunità economica la popolazione emigra in modo consistente dalle aree rurali verso le grandi città. Il Paese deve fronteggiare la tutela dell’ambiente, la violazione dei diritti economici, fenomeni di corruzione ed altro ancora. Colombia ha sperimentato una guerra civile durata ben 41 anni che ha segnato lo sviluppo economico, la sicurezza ed ha condotto alla violazione dei diritti.
In Messico e Colombia lo sfruttamento minorile ha arrecato ed arreca un grave danno alla salute dei bambini, ne impedisce l’educazione, e conduce ad altre forme di sfruttamento e ad abusi. Secondo la Banca Mondiale il lavoro minorile costituisce una delle più devastanti conseguenze imputabili allo stato di povertà che deve essere affrontato attraverso la creazione di un programma di Global Child Labour.
Nelle opinioni dei principali board internazionali i governi locali hanno delle responsabilità nel lavoro minorile se non perseguono princìpi che assicurino il rispetto della dignità dei bambini e del loro diritto all’educazione, non promuovano l’idea del bene comune e non pongano in essere sistemi di regole autorevoli e controlli severi riguardo al loro rispetto. Agenzie internazionali, ONGs, governi locali debbono lavorare assieme per evitare lo sfruttamento minorile.
La Convenzione 138 sull’età minima per l’accesso al lavoro, accompagnata dalla relativa Raccomandazione 146, è il documento fondamentale dell’OIL in materia di lavoro dei minori. La Convenzione 138 stabilisce che l’età minima per l’accesso al lavoro dei più giovani debba coincidere con quella del loro pieno sviluppo fisico e intellettuale. Per questo non può essere inferiore all’età in cui si terminano gli studi dell’obbligo scolastico e in ogni caso non può essere inferiore ai 15 anni. Solo i paesi in via di sviluppo possono inizialmente – e in via transitoria – fissarla sotto questa soglia, e comunque non prima dei 14 anni.
La Convenzione 182 sulle forme peggiori di sfruttamento infantile – adottata nel giugno 1999 ed entrata in vigore come norma internazionale lo scorso 19 novembre 2000 – accompagnata dalla relativa Raccomandazione 190, stimola alla costruzione e all’applicazione di strumenti di intervento nazionali per affrontare le forme estreme, ma in diffusione, di sfruttamento dei minori, e (considerando minori tutte le persone sotto i 18 anni) definisce per la prima volta la soglia delle « forme peggiori »
– tutte le forme di schiavitù e di asservimento, la tratta e la vendita, il lavoro forzato e obbligatorio, si pensi al reclutamento dei bambini per i conflitti armati ;
– l’impiego, o l’offerta di minori per la prostituzione e per la produzione di materiale o di spettacoli pornografici, per attività illegali come quelle concernenti il commercio di stupefacenti ;
– qualunque lavoro che metta a rischio la salute, la sicurezza o la moralità dei minori, esponendoli ad abusi fisici, psicologici o sessuali, a condizioni ambientali difficili, ad orari prolungati o notturni, all’uso di tecnologie, di macchine e di sostanze pericolose.
Maurizio Fanni
Professore Ordinario di Finanza Aziendale Università di Trieste
Lucely Vargas
Dottorato di ricerca in Finanza Aziendale Università di Trieste