Il nuovo istituto ha notevoli potenzialità operative e consente ad una persona che, per effetto di una infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, di contare sul supporto di un amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare
L’istituto dell’amministrazione di sostegno, introdotto con la legge 9 gennaio 2004 n. 6 (entrata in vigore il 19 marzo 2004) è stato definito sin dalle prime applicazioni un innovativo strumento di protezione rivolto espressamente alla tutela delle persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana (che solo per semplicità espositiva mi permetterò di definire di seguito incapaci).
La sua concreta applicazione a due anni dall’entrata in vigore, impone di qualificarlo – con la convinzione che deriva dall’esperienza – uno strumento che ha, per molteplici aspetti, determinato una rivoluzione nella tutela delle persone incapaci, rivoluzione che contrasta con l’inserimento quasi silenzioso nel codice civile (tanto da constatare come ancora oggi non sia completamente conosciuto e applicato): esso infatti ha ridato corpo agli articoli 404-413 (abrogati nel 1983 dall’art. 17 della legge 184 in materia di adozione e affidamento).
L’art. 404 cod.civ sotto la rubrica amministrazione di sostegno dà subito la misura delle potenzialità operative dell’istituto stabilendo che la persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.
Il rimo aspetto della richiamata rivoluzione sta nella stessa considerazione del mondo delle persone incapaci: prima della legge 6/2004 potevano venire all’attenzione del giudice le persone affette da una abituale infermità di mente (art. 414): in tale parametro venivano comprese non solo i malati di mente in senso proprio, ma anche le persone con sindrome di Down, gli anziani con morbo di Alzheimer di vario grado, e persino le persone totalmente inferme per gravi lesioni fisiche, che, pur non potendo essere qualificati come abituali infermi di mente, venivano assimilati ai “dementi” per la necessità di affiancare loro un legale rappresentante (tutore) che potesse compiere attività nel loro interesse: in altri termini ai familiari spesso veniva proposta l’interdizione come unica soluzione per poter assicurare tutela o cura al proprio parente ovvero per poterlo rappresentare nel compimento di singoli atti giuridici (es. accettazione/ rinuncia a una eredità, compravendita, ecc).
Se poi l’infermità non era così grave da dar luogo all’interdizione oppure consentiva di inquadrare il paziente nelle tassative categorie previste dall’art. 415 cc (delle persone che per prodigalità o per abuso abituale di sostanze alcoliche o di stupefacenti espongono sé o la propria famiglia a gravi pregiudizi economici…nonché i sordomuti o ciechi dalla nascita privi di una educazione sufficiente), allora soccorreva l’istituto della inabilitazione che, limitando la capacità di agire agli atti non eccedenti l’ordinaria amministrazione (art. 394 cc), lasciava scoperta l’area degli atti di ordinaria amministrazione (come il pagamento di un canone di locazione o delle utenze domestiche, l’acquisto di alimenti, vestiario, medicine, ovvero le semplici operazioni bancarie), ossia proprio l’area che è in concreto più esposta agli atti dissennati di un prodigo o di un alcolista.
La conseguenza in entrambi i casi era di esagerare nello strumento di protezione o per eccesso, determinando con l’interdizione una totale privazione della capacità di agire della persona anche quando questa non fosse neppure in grado di fare atti a sé o ad altri pregiudizievoli, ovvero per difetto offrendo con l’inabilitazione uno strumento assolutamente inadeguato di protezione.
L’istituto dell’amministrazione di sostegno consente invece di considerare uno spettro assai ampio di patologie, coerente con quello che la realtà, per sua stessa natura offre, senza tipizzazioni generali e astratte, e di poter portare all’attenzione del giudice tutte le infermità o menomazioni idonee a incidere, anche in via temporanea o parziale, sulla capacità della persona; esso inoltre – e qui risiede la seconda grande novità dell’istituto – propone una risposta diversa e attenta alla specificità del caso, prevedendo che il giudice tutelare determini l’oggetto dell’incarico dell’amministratore di sostegno, elencando gli atti che questi ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario, ovvero gli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno (art. 405 cod.civ): in altri termini la protezione viene elaborata caso per caso, nel rispetto della dignità del singolo individuo e con l’obiettivo di superare quegli ostacoli che possano impedire la piena esplicazione della sua personalità: insomma una palpabile applicazione degli art. 2 e 3 della Costituzione.
Anche l’amministrazione di sostegno può comportare la privazione o la limitazione, a volte anche notevole, della capacità di agire della persona laddove il giudice ritenga necessario riservare all’amministratore di sostegno la rappresentanza esclusiva ovvero prevedere la sua necessaria assistenza per il compimento di determinati atti (art. 409 cod.civ) e addirittura estendere al Beneficiario effetti, limitazioni o decadenze previsti dalla legge per l’interdetto (art. 411 c.3 cod.civ): ma rimane salva e inviolabile la capacità di agire necessaria a salvaguardare la dignità della persona nel compimento degli atti che possano soddisfare le esigenze della sua vita quotidiana; se la persona, a causa della sua infermità, non sia neppure in grado di compiere gli atti della sua vita quotidiana, allora la capacità di agire rimane intatta, perché non c’è bisogno di toglierla per proteggere chi non può materialmente usarla e non corre dunque il rischio di recare pregiudizi al patrimonio proprio o della propria famiglia.
Ogni intervento (nell’an e nel quomodo) è informato alla necessità della protezione che segna la novità anche culturale dell’istituto sin dal tenore del titolo XII che non tratta più “dell’infermità di mente, dell’interdizione dell’inabilitazione”, ma “delle misure di protezione delle persone prive in tutto o in parte di autonomia”: è’ allora evidente come, rispetto al vecchio istituto dell’interdizione (rimasto in vigore seppure in un ruolo sussidiario e di extrema ratio vds il nuovo art. 414 cc e del quale più voci chiedono l’abrogazione), sia cambiata radicalmente la logica dell’intervento giudiziario: ora propositiva e non ablativa, espansiva e non inibitoria, promozionale e non mortificante, di partecipazione e reciproca responsabilizzazione e non più solo assistenziale, rispettosa di una concezione della persona incapace come soggetto titolare di diritti e non come malato da confinare in quella che è stata efficacemente definita una camicia di forza privatistica .
Il terzo innovativo aspetto dell’istituto si rivela nel metodo: si è passati infatti da un obbligo del Giudice di dichiarare l’interdizione in presenza di una “abituale infermità di mente” (il vecchio art. 414 recitava il maggiore di età..che si trovi in condizioni di abituale infermità di mente deve essere interdetto) all’obbligo per il giudice di valutare se l’amministrazione di sostegno sia necessaria ad assicurare alla persona una adeguata protezione (la persona può essere assistita da un amministratore di sostegno), cercando un giusto equilibrio tra la libertà della persona e la protezione da adottare, modulando con apposito decreto uno strumento operativo adatto al singolo caso.
Per raggiungere tale finalità è essenziale l’ascolto.
E anche sotto questo profilo notevole è la differenza rispetto al passato: mentre nel giudizio di interdizione l’audizione del destinatario del provvedimento e dei familiari era diretta solo a verificare la sua infermità mentale, delegando spesso al parere di un medico legale l’accertamento di un presupposto che rendeva automatico il giudizio, ora l’audizione della persona incapace (beneficiaria del provvedimento) è diretta anche ad acquisire informazioni per elaborare un progetto di sostegno il più adeguato possibile alle sue necessità: il giudice tutelare è chiamato ad ascoltare la persona, dovunque si trovi, a conoscerne i bisogni, a valutare l’entità del suo patrimonio e le modalità di gestione, a raccogliere informazioni sull’ambiente in cui vive, a entrare nella dinamica delle sue relazioni familiari e sociali, e ciò anche al fine di scegliere la persona idonea a svolgere il ruolo di amministratore di sostegno.
Il procedimento è informato ai principi della snellezza e della elasticità.
Il procedimento, di volontaria giurisdizione (seppure sul punto vi siano ancora isolati dissensi in giurisprudenza) non richiede il patrocinio di un legale, gli atti e i provvedimenti non sono soggetti all’obbligo della registrazione e sono esenti dal contributo unificato (art. 46 bis disp att cc); il provvedimento del giudice, immediatamente esecutivo, va annotato a margine dell’atto di nascita del beneficiario, e può essere in ogni momento modificato o integrato, adattandosi alla evoluzione e alle necessità che la situazione della singola persona impone.
Si è detto, con felice espressione, che la protezione viene cucita come un vestito addosso alla persona e occorre perciò “prendere bene tutte le misure” e, si aggiunge, rispettarle nel corso del tempo.
A tal fine il giudice ha un ampio potere istruttorio, potendo non solo disporre accertamenti di natura medica, ma anche assumere tutte le informazioni utili ai fini della decisione, attingendo a varie fonti e chiamando tutti a un ruolo attivo e partecipe: non solo i familiari, i parenti o affini, della persona incapace, non solo la persona beneficiaria (essa stessa legittimata a proporre ricorso al giudice tutelare – art. 406), delle cui richieste e aspirazioni – laddove ancora le possa manifestare – si deve tener conto (art. 407 cod.civ); ma anche gli operatori sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona chiamati a rendere al giudice tutelare ogni informazione relativa alle sue condizioni, collaborando alla stesura di un progetto di sostegno.
Va poi in questa sede posta in risalto un’ulteriore novità: i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno (o a fornirne notizia al pubblico ministero, che interviene in ogni caso) ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento (art. 406 comma 3 cod civ).
Si può ben dire che l’apertura di un fascicolo per amministrazione di sostegno determina l’inizio di una storia e di una relazione tra il giudice, i servizi, i familiari, e la persona, nel corso della quale il giudice è chiamato non a emettere una sentenza, ma a erogare un servizio dentro una rete di protezione guidata dal principio della solidarietà: è, a ben vedere, proprio questa l’anima del nuovo istituto e su questa si misura anche la sua concreta ed efficace applicazione.
Gloria Carlesso
Giudice del Tribunale di Trieste