Di seguito riportiamo l’estratto dall’audizione della memoria scritta dal tutore pubblico dei minori, Francesco Milanese, per i Componenti della III Commissione consiliare per l’audizione, presso il Comitato ristretto del giorno 7 marzo 2006 in merito al testo approvato sui progetti di legge regionale: n. 58 “Celebrazione dell’Anno internazionale della famiglia”; n. 70 “Interventi a favore della famiglia e modifiche della legge regionale 24 giugno 1993, n. 49”; n. 80 “Interventi per la genitorialità: PROGETTO 0-3”; n. 114 “Interventi per la promozione dei diritti e dei doveri della famiglia”; n. 163 “Interventi regionali a sostegno della famiglia e della genitorialità”; n. 164 “Norme per la tutela, la promozione e il sostegno della famiglia”.
Il testo che è stato presentato contiene una proposta di azione normativa e politica che è destinata ad incidere realmente nella vita quotidiana dei cittadini del Friuli Venezia Giulia e che costituisce esercizio d’eccellenza di quella specialità che contraddistingue lo statuto Regionale e che si deve esprimere anche superando una certa ritrosia, manifestata in altre occasioni, a sperimentare forme nuove di intervento per andare incontro alle reali esigenze della propria popolazione.
Attraverso questa legge – anche se ancora forse in modo forse ancora prudente – si avvia il riconoscimento della famiglia quale soggetto sociale dotato di una propria autonomia e titolarità di diritti. Non si deve scordare, infatti, che – secondo il dettato costituzionale – la famiglia è l’unico soggetto collettivo dotato di diritti propri che le vengono riconosciuti dalla comunità sociale. L’articolo 29, infatti, al riguardo è inequivocabile: la Repubblica riconosce i diritti della famiglia e non già semplicemente i diritti dei membri della famiglia. Ciò significa esattamente che la famiglia non può ridursi alla sommatoria dei suoi membri, ma è in sé un soggetto collettivo dotato di autonomia e di specifici diritti.
Vi è, invece, un versante più delicato, sul quale più aspro può essere il dibattito politico e ideologico, riguardante la definizione di ciò che si deve intendere per famiglia. Ci sono motivi di opportunità che consentono di semplificare il discorso riportando la scelta del legislatore al sostegno delle funzioni cui la famiglia assolve nei propri compiti sociali di cura, accudienza, educazione e mantenimento. Invece che perder tempo a discutere quale sia la più opportuna definizione di famiglia, si preferisce in qualche modo sostenere le funzioni genitoriali, garantendo l’accesso ai benefici previsti senza entrare nel merito di una più precisa individuazione del soggetto.
In realtà, esistono motivi di ampia considerazione, che sottendono alla scelta fatta dal legislatore nell’articolato effettivo e meno alle dichiarazioni politiche in materia: tali motivi traggono con forza il proprio sostegno dalla Costituzione e rappresentano un modo assai corretto di affrontare la questione entro i limiti stabiliti dalla Carta costituzionale medesima.
Se da un lato, infatti, è indubbio che la Costituzione fa una scelta fondamentale in relazione alla famiglia, definendone l’identità propria come società naturale fondata sul matrimonio, è altrettanto vero che nell’articolo 2, essa afferma un principio fondamentale e di carattere generale. La Repubblica riconosce i diritti fondamentali della persona umana – vi si legge – sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Attraverso un procedimento interpretativo assai corretto e per nulla meramente espansivo dei precisi limiti individuati dalla Costituzione nel riconoscimento dei diritti personali e collettivi, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto che le unioni di convivenza di persone more uxorio sono riconoscibili in quelle formazioni sociali menzionate dalla Costituzione e il cui valore consiste proprio nell’assolvere la funzione di sviluppo della personalità di ciascuno.
Non, dunque, qualsiasi convivenza può rappresentare tale funzione propriamente familiare, ma sicuramente molte delle pluralità della vita familiare di cui oggi l’analisi sociologica sulla vita familiare ci dà conto possono avere da questo articolo una fonte di riconoscimento efficace. Esso non sarà mai del grado riconosciuto alla famiglia che, stante la Costituzione vigente, resta definita dall’articolo 29, ma neppure spariscono dall’attenzione del legislatore che, anzi, le considera e le valorizza proprio per quel portato caratteristico di assolvere alla funzione di sviluppo e promozione integrale della persona umana.
Sarebbe, dunque, in tal senso che acquista la propria fonte e la propria legittimità anche la definizione giuridica dello status di tali convivenze che è opportuno sia introdotto nel nostro Paese senza dare – come detto – ad ogni convivenza il valore di famiglia, perché ciò sarebbe contro il senso e la lettera stessa della Costituzione. Tale riconoscimento, però, comportando riconoscimento di diritti le cui implicazioni, in materia civile della proprietà e dello status, afferiscono alla competenza esclusiva del Parlamento nazionale, in alcun modo può o deve essere anticipato dalla legge regionale pena il fatto di incorrere in un vizio di incostituzionalità palese.
Dedico un così ampio preambolo al tema della famiglia perché essa rappresenta un elemento fondamentale della vita dei bambini e dei ragazzi. Anche la stessa Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, approvata a New York il 20.11.1989 e successivamente ratificata e resa esecutiva dall’Italia con legge 27.05.1991, n. 179, alla famiglia si riferisce, definendola l’ambiente naturale migliore per la cura e l’educazione dei bambini e riconoscendola bisognosa di aiuto e di sostegno per adempiere al compito cui è chiamata dal contesto sociale in cui si colloca.
Il compito atteso dalla famiglia è con assoluta chiarezza definito dalla Costituzione medesima e dal codice civile come corrispondente a quello della genitorialità che – come ben sappiamo – non dipende dal vincolo coniugale ma che, sicuramente, si esercita nella dimensione della vita familiare e questa qualifica in modo fondamentale. Per questo nella legislazione le relazioni genitoriali sono considerate un diritto del bambino e non già del genitore che, invece, secondo il dettato costituzionale ha il dovere di assolvere pure al mantenimento, all’educazione e all’istruzione. Sono questi – prima che diritti – doveri dei genitori sui figli. La stessa legge 4 maggio 1983, n. 184, come successivamente modificata e integrata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149, definisce il diritto del bambino alla famiglia come determinante e prevalente sui diritti ad esso contrapposti, tanto che è impossibile, stante la legislazione vigente, parlare nel nostro Paese di un diritto delle famiglie alla adozione. L’unico diritto in materia di adozione è quello personale del bambino in stato di abbandono ad avere una famiglia: è questo diritto che si incontra con il legittimo interesse delle coppie ad adottare. Così, la recente legislazione sull’affidamento condiviso – al di là di aspetti discutibili che vi sono stati introdotti, forse per la fretta di una approvazione in fine legislatura – afferma un principio assai condivisibile che riguarda la bigenitorialità anche nelle situazioni di separazione, come un diritto del bambino e non uno strumento del conflitto post coniugale tra adulti.
Esprimo, il vivo apprezzamento per l’interpretazione che a livello normativo si è voluta dare alle esigenze della famiglia di oggi, con un approccio di carattere universalistico e non meramente assistenziale valorizzando l’essere della famiglia nello sviluppo del suo ciclo vitale, e non solo quando essa sia in difficoltà. Del pari mi pare opportuna la scelta di garantire un’articolazione di interventi su più piani che è stata preferita ad altre differenti scelte del passato, espressione di interventi una tantum di carattere monetario che, nel corso del tempo, hanno manifestato tutti i propri limiti, venendo incontro ad alcune necessità del momento, ma lasciando, poi, la famiglia a gestire da sola le difficoltà di ogni giorno.
Così plaudo ad iniziative quali la Banca del tempo che – in alcune realtà – hanno già avuto modo di esprimere la propria valenza e che ora vedono riconosciuto il proprio ruolo anche a livello istituzionale. E altrettanto, esprimo compiacimento per il valore riconosciuto in capo ad una fonte inesauribile di servizi e di aiuto reciproco quale è l’associazionismo familiare, sintomo di una società che cambia e che cresce, non più in attesa di un aiuto dalla pubblica Amministrazione ma che, diventata parte attiva del sistema, vedendo riconosciuto il proprio ruolo di protagonista.
Riconoscere un ruolo attivo alla famiglia non significa per questo far venire meno il ruolo che da sempre la pubblica Amministrazione riveste nel settore: al contrario, significa potenziare il sistema di interventi e di cure, reinterpretando gli interventi demandati alla Regione alla luce delle nuove esigenze emerse: con ciò, leggo con favore la creazione di istituti di nuova concezione e ispirati da nuovi impulsi – non solo per la Regione ma per l’Italia intera – quali la “Carta Famiglia”, un beneficio che interviene e sostiene i bisogni della famiglia riconoscendo agevolazioni e riduzione di costi e tariffe su determinati servizi fruibili da ogni famiglia della Regione; e ancora, l’“Assegno familiare di educazione” per agevolare i genitori nell’adempiere un compito che la stessa Costituzione italiana conferisce loro, quello di educare la prole per prepararla al futuro e renderla autonoma; il “Credito per i servizi di assistenza” per incentivare il reinserimento lavorativo dei genitori impegnati ad assistere i figli con disabilità o i figli minori di età non scolare; i “Prestiti d’onore” per dare sostegno a quelle famiglie che si trovano in situazione di temporanea difficoltà economica. Si tratta di un sistema articolato di interventi che tenta di aprire spazi laddove fino ad ora non si era potuti intervenire per i limiti della legislazione concorrente ed esclusiva con lo Stato. Non basta infatti nella condizione di vita delle famiglie di oggi un intervento monetario rigido che si colloca in modo indifferenziato e per questo si presume universalistico, esso infatti rischia di essere troppo poco per rispondere al bisogno effettivo ed una irrilevante elemosina laddove di bisogni economici non ce n’è. Qui soprattutto con la Carta famiglia si cerca di intervenire laddove più forte è sconveniente l’essere una famiglia: sulle tariffe, sui servizi, sul piano fiscale. Ben sapendo quali sono i limiti della legislazione regionale il tentativo fatto mi pare assai positivo e meritevole di attenzione.
Una considerazione sul Capo IV.
Ritengo sia del tutto congruo e opportuno che la legge regionale sulla famiglia affronti anche gli aspetti organizzativi, attraverso i quali si esercita una genitorialità sostitutiva, sussidiaria ovvero l’azione di solidarietà e aiuto, che utilizza il canale familiare come strumento privilegiato: mi resta oscuro il motivo che però ha condotto a tanta prudenza da voler ridurre l’azione del legislatore a enunciazioni generiche e di mero principio solo su adozioni internazionali e sostegno a distanza. Faccio con ciò solo un accenno alle recenti “Linee guida per l’ente autorizzato allo svolgimento di procedure di adozioni di minori stranieri”, adottate dalla Commissione per le adozioni internazionali lo scorso 2005; e ancora alla “Carta dei principi per il sostegno a distanza”, sottoscritta da alcune organizzazioni che a livello nazionale operano nel settore e che definiscono alcuni punti essenziali di un’attività tanto delicata.
Manca in questa sede una dovuta considerazione sul tema dell’affidamento familiare, degli interventi di supporto alla deistituzionalizzazione dei minori ovvero in merito al delicato e sempre più pressante problema dell’esercizio delle tutele.
Si tratta di interventi su questioni rilevanti che in altre regioni hanno visto ben attivi i consigli regionali e che trovano la loro ragion d’essere nelle previsioni che la legge n. 149/2001 ha inteso attribuire alle regioni stesse. La complessità e la rilevanza del tema non consentono esitazioni: si tratta di decidere se affrontarlo qui in maniera compiuta ovvero se rimandarne la definizione ad altro intervento organico. Temo che non sia opportuno per le forze politiche stesse mantenere aperto un dibattito sul tema delle legislazioni sulla famiglia che – come sappiamo – è tema di scontro su cui è sempre più difficile ottenere una composizione di alto profilo: per questo motivo sarebbe, a mio avviso, preferibile decidere ora di affrontarlo direttamente con la dovuta completezza e con l’indispensabile rigore. Si tratta di un tema di fondamentale importanza che riguarda migliaia di soggetti, di famiglie, di bambini e di ragazzi.