Gli obiettivi del Millennio

“Ripensare globalmente lo sviluppo” significa “riprogettarlo” introducendo dei mutamenti radicali. Ciò comporta in primo luogo l’individuazione di forme di compartecipazione ai programmi di cooperazione ricordando che istruzione e formazione costituiscono, per tutti gli esperti di scienze umane, il grimaldello capace di interrompere il circolo vizioso della povertà

Per quanto il dato quantitativo relativo al reddito non sia in grado di rappresentare i caratteri della povertà forniti da altri dati che traducono elementi “qualitativi”, come la speranza di vita (che per un abitante della Zambia o dello Zimbawe rappresenta molto meno della metà di un cittadino svedese o di un italiano), la mortalità infantile entro i 5 anni, il tasso di alfabetizzazione femminile, ecc., questi sono indicatori che dimostrano come non si tratti di ritardo o di ridefinizione degli interventi per lo sviluppo, ma piuttosto di qualcosa di diverso: l’incredibile gap sul reddito ci mostra la necessità di ripensare globalmente lo sviluppo sia del Primo mondo, per dirla alla Wallerstein, sia del Terzo e del Quarto mondo; il nostro compito è quello di ripensare il rapporto funzionale tra capitalismo, tardo-capitalismo e mondo povero, società in transizione, società tradizionali.

“Ripensare globalmente lo sviluppo” significa “riprogettarlo” introducendo senza dubbio dei mutamenti radicali. Ciò comporta in primo luogo l’individuazione di forme di compartecipazione ai programmi di cooperazione puntando sull’abbandono del concetto e della prassi di “mero aiuto”, compartecipazione che significa in primo luogo corresponsabilità dei risultati: un esempio al riguardo può essere l’applicazione della Convenzione/Accordo di Cotounou tra Unione Europea e Paesi ACP del 23 giugno 2000. La discussione relativa al “ripensamento globale” è ampia, e in alcuni casi approfondita in sede Onu. Le strategie messe a punto dagli esperti e dagli attori della cooperazione, governi, ong, associazioni, fondazioni fanno perno sull’estensione sostanziale dei diritti umani. La prassi internazionale è quella di darsi nuovi appuntamenti per verificare l’effettiva applicazione dei Plans of Implementation, definire obbiettivi e traguardi tra i più qualificati e qualificanti. Il primo appuntamento al riguardo è stato quello della Conferenza di Rio (1992), poi lo sguardo si è spostato su Rio+5 ed infine sulla Conferenza di Johannesburg (2002) che ha mostrato più di una delusione rispetto alle attese. La strategia di una attenta definizione e codificazione dei diritti umani è necessaria soprattutto per ottenere e mantenere un consenso elevato su alcuni diritti fondamentali come quelli dell’istruzione e della sanità.

L’istruzione e la formazione costituiscono per tutti gli esperti di scienze umane, dai sociologi agli economisti, il grimaldello capace di interrompere il circolo vizioso della povertà: qualsiasi correlazione tra fenomeni sociali fa emergere il rapporto di causa/effetto tra assenza o carenza di alfabetizzazione primaria, secondaria e povertà.

Nell’era dell’insicurezza, povertà, guerre, criminalità, tratta dei minori costituiscono i principali fenomeni che ostacolano i programmi di educazione primaria e di formazione, anche quando tali programmi vengono progettati dai governi su ampia scala territoriale.

La comunità internazionale, nel progetto di estensione sempre più penetrante dei diritti umani, ha messo in rilievo l’importanza dei diritti del fanciullo sin dalla Dichiarazione di Ginevra adottata in seno alla Società delle Nazioni nel 1924. Da quella data i progressi non si può dire siano stati veloci: la stessa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dedica al problema dell’infanzia una sorta di breve inciso all’art. 25 recitando che l’infanzia ha “diritto a speciali cure ed assistenza”.

Il primo documento  che pone in rilievo il rapporto tra infanzia, adolescenza e istruzione e cure mediche viene votato dall’assemblea delle Nazioni Unite nel 1959 sotto la forma di  “Dichiarazione dei Diritti del Fanciullo”; si tratta di un impegno in forma solenne che deve trovare efficacia sul piano del diritto interno ed attraverso programmi operativi. E’ necessario attendere ancora circa 20 anni perché la stessa Assemblea approvi all’unanimità la “Convenzione sui Diritti dell’Infanzia” (1989) che entra in vigore nel 1990 con il Vertice mondiale sull’infanzia di New York. Nel 1999 è la volta dell’Oil che finalmente si rende conto dello sfruttamento del lavoro minorile e adotta una Convenzione ad hoc.

Il Millennium Goal dell’Onu del 2000, contemporaneo all’adozione dei due Protocolli addizionali e, purtroppo, opzionali alla Convenzione sui Diritti dell’Infanzia (relativo, il primo, alla tutela dei bambini in caso di coinvolgimento nei conflitti armati, ed il secondo alla vendita dei bambini, la prostituzione e la pornografia infantili), individua come traguardi specifici per l’infanzia la riduzione di due terzi del tasso di mortalità infantile sotto i 5 anni ed il raggiungimento dell’istruzione primaria universale entro il 2015.

Tenuta presente la particolare attenzione dell’Università per i progetti di formazione come strumento essenziale di emancipazione per affrontare con successo la vita relazionale e lavorativa oltre che come fondamento per l’esercizio di ogni libertà e tutela della persona, sembra opportuno sottolineare alcuni dati che illustrano ritardi e problemi nel raggiungere gli obiettivi del Millennio: rispetto alla finalità che bambine e bambini completino il ciclo dell’istruzione primaria, va rilevato che ben 120 milioni di bambini, in maggioranza femmine, non frequentano la scuola e sono così privati di uno dei fondamentali diritti umani; secondo le stime, che tengono conto dell’impegno dei governim, è probabile che ben 75 milioni di bambini rimarranno fuori dal ciclo scolastico di base, e di questi, il 70% nell’Africa Sub-Sahariana.

Difficilmente verrà raggiunta la parità di genere sia nella scuola primaria, sia a maggior ragione, nella scuola secondaria: secondo i trend attuali ben 54 paesi non saranno in grado di raggiungere la parità nel 2015.

Diversi sono i fattori che rendono problematico l’obiettivo fondamentale dell’istruzione nel mondo: in primo luogo la povertà della quale si è illustrato un quadro così allarmante, ma anche conflitti armati, guerre civili, malattie, lavoro minorile, tratta dei bambini e delle fanciulle, insicurezza personale e familiare fanno il resto.

Con riguardo ai conflitti armati va sottolineato che nel periodo 1990-2003 ben 15 Stati, tra cui 9 africani, sono stati interessati da conflitti armati con minacce gravi all’infanzia. L’insicurezza e la tratta rappresentano cause rilevanti che impediscono l’attuazione di programmi di formazione e scolarizzazione anche a livello primario. Ovviamente all’insicurezza vanno purtroppo aggiunte le condizioni determinate da pandemie, guerre tribali e conflitti globali. Come testimoniano ricerche sul campo, vedi ad esempio quelle effettuate all’interno del progetto “Save the Children”, al mutare delle condizioni relative alla sicurezza personale, soprattutto delle bambine, il loro tasso di presenza nelle scuole secondarie si abbassa notevolmente nelle aree rurali. Il fatto che ostacoli specifici nel tragitto dalla abitazione alla sede della scuola colpiscono in particolare le bambine risulta evidente dal confronto con i maschi: in certi casi (Albania, aree rurali, dati 1999) mentre la percentuale dei ragazzi si colloca intorno al 70% degli iscritti, quello delle ragazze non raggiunge il 30%.

Come è noto l’assenza delle bambine e delle adolescenti dai cicli scolastici dipende anche da fattori di organizzazione e dal modello di vita familiare. Spesso nelle famiglie con prole numerosa alle bambine vengono assegnati compiti familiari come la cura e la custodia dei più piccoli, e ciò le allontana inevitabilmente dalla scuola, soprattutto da quella secondaria.

Vi è da sottolineare che la Convenzione sui diritti dell’infanzia è molto chiara nel combinato disposto nel dare obbligo agli Stati contraenti di promuovere e garantire il diritto all’istruzione. La Convenzione è stata ratificata dalla quasi totalità degli Stati e il suo campo d’azione, vale a dire le sue previsioni di tutela giuridica, interpreta e si estende su ogni momento della vita del fanciullo partendo dalla sua libertà di pensiero e dalla sua autonomia nelle relazioni con gli altri, dalla libertà del  religiosa, dalla tutela di una crescita che rispetti la sua personalità, dalla tutela della sua integrità personale. Per quanto concerne l’educazione, l’art. 28 e della Convenzione prevede che “gli Stati contraenti riconoscono il diritto del fanciullo all’educazione e in particolare…rendono l’insegnamento primario obbligatorio a tutti…garantiscono a tutti l’accesso alla formazione superiore con ogni mezzo appropriato, in funzione della capacità di ognuno, …adottano misure per promuovere la regolarità della frequenza scolastica e la diminuzione del tasso di abbandono della scuola…”

Come si è avvertito in premessa sono oltre 120 milioni i bambini che non conoscono ancora un’aula scolastica, anche se molti governi hanno emanato norme ed elaborato programmi per diminuire il tasso di non frequenza e di abbandono.

La stagnazione economica in molti paesi delle aree povere, soprattutto dell’Africa Sub-Sahariana, e l’insufficienza degli aiuti e di programmi efficaci fanno temere un futuro nel quale, come detto, è difficile raggiungere gli obiettivi del Millennio nella formazione scolastica.

In alcuni Stati l’assenza di formazione primaria riguarda la quasi totalità della popolazione. Anche se spesso i dati soffrono di una certa imprecisione a causa della difficoltà di elaborazione di statistiche soprattutto nelle aree rurali, pure gli stessi dati sembrano significativi: nel Niger il tasso di alfabetizzazione totale della popolazione adulta rappresenta appena il 16%, nella Sierra Leone il 36%, nel Senegal il 37% (anno 2000). In molti casi esiste una sensibile differenza tra dati forniti dai Governi e dati elaborati sulla base di indagini ad hoc. Comunque sembra allarmante che sempre nel Niger il rapporto tra iscrizioni e frequenza nella scuola primaria raggiunga il 30% ed in Somalia l’11%. Sempre secondo i dati ONU/UNICEF ben 13 Paesi presentano una frequenza effettiva dei bambini nella scuola primaria che non raggiunge il 50% delle iscrizioni.

Prof. Stefano Petilli
Teorie e Metodi della Pianificazione Sociale
Università di Roma La Sapienza

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