Così aiutiamo Penelope a tessere la sua tela

Nel corso delle missioni umanitarie in quei paesi dove lo stato di emergenza sanitaria e sociale provoca gravi disagi nella popolazione la Spes si impegna dal 2002, anno della sua costituzione, nella salvaguardia dei diritti umani, spesso atrocemente negati, di donne e bambini 

 Paesi come l’Afghanistan, l’Iraq, lo Srilanka ed il Darfur (Sudan), le cui culture sono così profondamente diverse tra loro e da quella occidentale, per consuetudine attuano comportamenti che affermano quale prerogativa unicamente spettante al sesso maschile diritti fondamentali, quali l’istruzione, l’espressione dell’identità sessuale e religiosa, la libertà di accesso alla vita politica e sociale, con grande impegno riconosciuti invece come diritti umani universali.

Le donne, pertanto, sin da bambine, vivono la negazione all’istruzione, la sottomissione talvolta brutale all’uomo – il padre, il marito ma in alcuni paesi come in Srilanka, anche l’educatore, lo zio, l’amico di famiglia – come delle costanti inevitabili ed immutabili della propria esistenza.

In Afghanistan, tre quarti della popolazione femminile non porta a termine alcun livello di istruzione. Dal 2004 la Spes, con i progetti di sostegno a distanza, contribuisce a garantire  l’istruzione in un luogo dignitoso alle bambine ospitate nell’orfanotrofio House of Flowers di Kabul, una casa privata fondata e gestita dal dott. Mostafa Waziri e da sua moglie, struttura che sopravvive anche  grazie alle più svariate forme di solidarietà.

Jamila Mujahed, giornalista e Presidente dell’Associazione “The voice of Afghan Women” che gestisce la prima radio privata femminile a Kabul, è un simbolo della lotta delle donne afgane per l’emancipazione ed una figura di rilievo nel panorama culturale afgano.

Nel dicembre 2004 è stata ospite all’incontro pubblico annuale della Spes a Trieste per portare la propria testimonianza e dare voce ad una realtà così lontana ma, se messa al confronto con quella europea – di donne maltrattate in famiglia, vittime della tratta, ridotte in schiavitù, avviate alla prostituzione – così drammaticamente vicina.

L’Associazione da lei costituita è nata per denunciare la condizione femminile: all’epoca dei Talebani ad una donna era proibito indossare i tacchi alti ed il profumo, era fatto divieto di andare a scuola o avere un lavoro, veniva imposto il burqa ed erano ammessi socialmente i maltrattamenti da parte dell’uomo che l’aveva scelta in moglie (generalmente un consanguineo, in ogni caso anche questi veniva imposto alla donna dalla famiglia).

Alle donne non era consentito l’accesso alle moschee e nell’ottobre 2004 un gruppo di esse ha coraggiosamente occupato una centralissima moschea per rivendicare il diritto alla preghiera, leggendo, spogliate dal burqa, i versetti sacri del Corano.

Grazie a figure come quella di Jamila Mujahed ed all’incessante attività della sua associazione, molti successi sono stati raggiunti, non ultimo l’apertura di una tipografia nell’intento di promuovere lo sviluppo professionale delle donne afgane. Proprio in questa tipografia è stato stampato il primo libro “La tela di Penelope” scritto da una donna per le donne, e l’autrice, il delegato internazionale della Croce Rossa, Susanna Fioretti, ha devoluto i diritti d’autore alla House of  Flowers.

In Srilanka come nel lontano Afghanistan: dopo la sciagura dello Tsunami del dicembre 2004, si sono rivelate ai nostri occhi le atrocità cui è sottoposta l’infanzia e quanto subiscono le bambine. La Spes, incaricata dall’Istituto Internazionale per i diritti dell’uomo di Trieste, ha inviato degli osservatori sul posto che al ritorno dalla missione hanno informato le istituzioni locali della grave situazione riguardante gli abusi istituzionalizzati sui minori.

Il libro “Power Games – Giochi di guerra” scritto dal prof. Harendra De Silva e censurato nel suo paese, denuncia questi gravi fatti che da anni ormai segnano i bambini e le bambine assoldati per combattere la guerra civile tra governo e ribelli Tamil, al fine di sollevare le coscienze e promuovere una tutela, sino ad ora negata, dell’infanzia rubata ai bambini.

Una storia per tutte, tra le tante che hanno commosso gli operatori della Spes, quella di Mona Lisa.

E’ una piccolina poco più che neonata, figlia di una dodicenne Tamil violentata dai soldati governativi che la madre ha dato alla luce contro il volere della comunità locale. A causa di questo è stata rifiutata dalla società e dalla famiglia ma ora lei e la mamma vivono in un nuovo luogo grazie ai contributi personali di Massimiliano Fanni Canelles. Ma non ci siamo fermati a questo, decine di altre bambine e bambini in Asia e Sud Est Asiatico sono coperti finanziariamente con il progetto “sostegno a distanza” che Ivana Milic ha messo in piedi per la SPES.

In Darfur donne e bambine, che già vivono l’allucinante esperienza dei campi profughi, vengono rapite e violentate non appena fuori dai confini che delimitano il campo, che è necessario varcare per potersi approvvigionare d’acqua e di legna da ardere.

Questi “piccoli fiori”, costretti dagli eventi a vivere un’infanzia di privazioni ed umiliazioni che vanno dall’abuso sessuale all’analfabetismo, dalla sottomissione alla segregazione, una volta adulte dovranno nuovamente fronteggiare i limiti che la cultura di cui è permeata la società imporrà loro. Ma il desiderio di cambiamento pian piano affiora e cattura l’attenzione di enti, associazioni, ed organismi internazionali: in ognuno di questi paesi, le piccole donne cambiano quotidianamente qualcosa, piccole cose. Vogliono crescere, e non certamente in nome di un modello occidentale che a malapena conoscono o cui sentono di non appartenere, bensì per rivendicare il riconoscimento della propria individuale condizione di “essere umano”. Un giorno saranno donne e madri consapevoli del proprio importantissimo valore, un valore che saranno in grado di trasmetterlo alle generazioni future.

Marina Galdo

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