Mediazione e giurisdizione sono due opportunità che, per essere apprezzate, devono rimanere ben distinte. La prima mantiene i conflitti nel contesto sociale in cui emergono e può sviluppare un percorso di ricostruzione di una relazione. L’esperienza giudiziaria affida ad altri (il giudice) il compito di stabilire il diritto a favore di una parte contro l’altra
La sensibilità sociale sull’importanza della mediazione è più avanzata della sua percezione politica, e questo ritardo di comprensione ha prodotto, più di una volta, nelle aule parlamentari, un dibattito complicato, viziato da una considerazione non univoca del significato e della utilità di questo strumento.Dico subito, avendo anche proposto tre interventi normativi in favore della mediazione- nei conflitti sociali, in quelli familiari, nel giudizio minorile- di essere tra coloro che intendono promuovere il ricorso a questo servizio. Mi preoccupa, tuttavia, l’uso che può esserne fatto, il posto che gli viene dato, una concezione che rischia di svilirne l’efficacia.Considero la mediazione una via per la gestione e la composizione dei conflitti tra le persone, un rimedio contro la litigiosità che sembra essere, ormai, un carattere costante delle relazioni interpersonali. Perché essa acquisti valore nel sentimento comune, sia vissuta come una strada interessante e praticabile, richiede di non essere confusa con la diversa soluzione che è data a chi intende far valere le proprie ragioni, ossia il ricorso al giudice.
Mediazione e giurisdizione sono due opportunità che, per essere apprezzate, devono rimanere ben distinte. La prima mantiene i conflitti nel contesto sociale dove essi emergono, e può sviluppare, in quell’ambito, un percorso di ricostruzione di una relazione tra due persone, aiutate, in questo, da un terzo che non ha la funzione di riconoscere dove sta la ragione o dove il torto, non è chiamato a schierarsi, ma a lasciare che ciascuno, volendolo, approdi ad un accordo. L’esperienza giudiziaria è ben altra cosa. Essa affida ad altri- il giudice- di stabilire il diritto a favore di una parte e contro l’altra, entrambi in una posizione di contrapposizione, di contraddittorio supportata dall’assistenza di un difensore parziale.Nei conflitti dove è praticabile, la mediazione costituisce una vera alternativa al processo. Essa richiama un costume sociale noto e praticato in tutti i tempi. Ricordo l’esortazione evangelica a mettersi d’accordo lungo la via con l’avversario per non arrivare, in fondo, ad essere davanti ad un giudice; o la massima confuciana secondo la quale ad andare dal giudice si perde la faccia. Certamente, oggi, servirebbe invertire la tendenza, non considerare più le sedi giudiziarie come la prima istanza di soluzione di un conflitto- sedi nelle quali, spesso, la lungaggine dei procedimenti genera delusione e senso di ingiustizia. Servirebbe, in altri termini, pensare la mediazione come un modello culturale da promuovere e praticare nella società . In questi anni, lentamente, questo modello si sta affermando. E’ merito, prevalentemente, di molte amministrazioni locali che d’intesa con esperti stanno realizzando, sul territorio, servizi e sportelli rivolti ai cittadini.Ma ci sono rischi di un possibile tradimento della funzione originaria che la mediazione può assolvere. Il primo è sicuramente quello di volerla ricondurre proprio lì dove non dovrebbe stare, cioè nei tribunali. E ciò può avvenire sia collocando i servizi al loro interno, sia proceduralizzando il percorso di mediazione, sia chiedendo al giudice di svolgere un ruolo che non gli compete.Cito due esempi. Nel 2001, il Parlamento approvò una importante legge contro la violenza domestica, attribuendo alla vittima la possibilità di chiedere al giudice l’allontanamento del familiare violento. Ricordo che, in fase di elaborazione di quel testo, qualcuno propose che il giudice, anziché provvedere come richiesto, potesse inviare entrambe le parti da un mediatore. Fu un’ idea che non trovò spazio ma che tradiva una concezione distorta della mediazione, negava ai diritti il corretto ambito di riconoscimento e di tutela, quello giudiziario, finendo col negare i diritti stessi che, in quel caso, invocavano la propria ragione. E, in qualche modo, sollecitava il giudice ad abdicare alla propria funzione.Il secondo esempio è emerso, più recentemente, discutendo della modifica delle norme procedurali sull’affidamento dei figli nelle separazioni e nei divorzi. La mediazione, per alcuni, sarebbe dovuta diventare una condizione dell’azione. Si sarebbe così negato il carattere di volontarietà che la distingue, al contempo violando il diritto dei cittadini di potersi sempre rivolgere al giudice liberamente ed incondizionatamente.E’ un’altra cosa favorire la conoscenza ed il ricorso alla mediazione anche quando i coniugi si presentano in Tribunale. Per questo, però, non serve una legge. E ci sono, infatti, Tribunali che si sono già attrezzati con sportelli informativi presso i quali viene spiegata l’utilità di questo servizio, vengono forniti indirizzi di sedi pubbliche alle quali rivolgersi, potendo anche chiedere che il giudizio in corso venga rinviato per sperimentare questa diversa strada.Evitando di svalutare dentro gabbie normative l’offerta alle persone di uno spazio libero di confronto e di incontro, di recupero di una relazione interrotta, di avvicinamento “nel mezzo”, credo che il Legislatore dovrebbe oggi occuparsi della mediazione in due direzioni.La prima è quella di assicurare la qualità del servizio. Anni addietro si ragionò di una “legge quadro” e fu elaborato uno schema in tal senso. Potrebbe essere l’occasione per affermare il significato della mediazione, la sua funzione e, insieme, per definire criteri, standard e competenze degli operatori. Non ci si improvvisa mediatori. E ci sono Università disponibili ad introdurre nei loro corsi questa specializzazione.La seconda è quella di promuovere la quantità dei servizi, incoraggiando, anche con risorse, le Regioni e gli enti locali. Gli esperimenti di mediazione stanno avvenendo in ambiti assai diversi, familiare, sociale, penale minorile, culturale, scolastico, commerciale…, c’è, quindi, una domanda che cresce e che va sostenuta. Ci sono i presupposti perché la mediazione diventi una realtà sociale, un servizio accessibile, praticabile per chi intende avvalersene. Occorre avere un approccio corretto e, una volta compreso, sollecitare la società a fare emergere ogni buona opportunità per mediare un conflitto, che significa anche fare emergere le persone dalla solitudine con cui spesso lo vivono e lo affrontano.
Marcella Lucidi
Segretario commissione Giustizia camera dei deputati