A monte e a valle del divorzio emotivo

La separazione coniugale rappresenta una scelta voluta al fine di porre fine ad un conflitto e nella speranza di un miglioramento della propria situazione personale. Per chi la subisce, questa scelta suona come una dichiarazione improvvisa e inattesa anche se ogni separazione coniugale ha alle spalle un periodo di incubazione accompagnato da manifestazioni di disagio prima e di conflitto poi

Ad un convegno tenutosi a Milano sulla formazione in psicologia giuridica presso l’Università Cattolica, Quadrio ha sollevato l’importante constatazione che, rispetto al passato in cui le coppie si separavano adducendo motivazioni concretamente legate a fatti, oggi le coppie adducano ragioni di carattere quasi esclusivamente relazionale ed affettive, anche se in tribunale l’aspetto che maggiormente colpisce gli operatori, siano essi giudici, avvocati o consulenti tecnici è quello della violenza e dell’aggressività, nonché della quantità di operazioni di discreditamento e distruttive dell’immagine personale dell’altro. Sempre Quadrio ha ricordato che nelle patologie psichiatriche si riscontra il fenomeno del vantaggio secondario e ha rivolto ai presenti la richiesta di una riflessione scientifica sull’eventualità che tale fenomeno esista anche nella violenta lotta conflittuale che accompagna certe coppie in via di separazione, nonostante i costi di tali operazioni di perpetuamento, arricchimento e complessificazione del conflitto. Con il presente contributo si vorrebbe dare una prima risposta alle motivazioni psico-emotive legate all’aggressività che sovente si accompagna alla separazione.

Quasi sempre la decisione di separarsi non nasce nello stesso momento ed in entrambi i coniugi, ma prima in uno solo dei due. Come avviene che uno dei due arrivi a prendere questa decisione?

Le motivazioni esplicite possono essere le più molteplici, ma è possibile trovare una spiegazione comune ed implicita di carattere psico-affettivo. Dato che è quasi esclusivamente nel rapporto di coppia che ci si rivolge per trovare risposta a bisogni emotivi non razionali, come: sentirsi accettati incondizionatamente, sentirsi riconosciuti del proprio valore, provare e ricevere amore, affetto, tenerezza, fiducia, rispetto reciproco, amicizia, condivisione, sentirsi dare e fare critiche o commenti costruttivi e di rinforzo, sentirsi complici, un tradimento di queste aspettative rende il rapporto più impegnativo, delicato e fragile.

Colui o colei che sente di aver subito la frustrazione costante e ripetuta dei propri bisogni emotivi non razionali arriva ad elaborare un distacco sempre crescente, chiamato “divorzio emotivo”. Ovvero, si convince di non essere veramente importante per l’altro, di non venire al primo posto nei suoi pensieri e nei suoi affetti: continuare a condividere la propria vita e affrontare sacrifici insieme a chi non lo/la mette mai al primo posto nella sua scala di priorità, risulta intollerabile. Chi arriva ad elaborare il divorzio emotivo, infatti, è una persona in preda ad una sofferenza psico-emotiva che si è accompagnata a reiterati tentativi di ottenere attenzione e quindi soddisfazione al bisogno o ai bisogni insoddisfatti, e che prova forti emozioni contrastanti. Paura della solitudine o di non riuscire ad affrontare il futuro da soli, ma anche rabbia, voglia di rivalersi o di vendicarsi, auto-commiserazione, senso di colpa, senso di fallimento e autoflagellazione, possono essere compresenti e venire riversate nella relazione. Se il coniuge le considera solo quali espressioni del disagio personale dell’altro e non se ne sente minimamente responsabile, la coppia ha altissime probabilità di arrivare alla separazione.

Le indagini ISTAT  segnalano che sono le donne in maggiore percentuale a chiedere la separazione: segnalano ai servizi problematiche quali disattenzione e assenze prolungate da casa, mancata collaborazione nei lavori domestici e/o nella cura dei figli, eccessiva dedizione del coniuge al lavoro e alla carriera, imposizione di rapporti continuativi e stressanti con i suoceri, eccessiva intromissione da parte dei suoceri, ricatti economici, ecc.  Quando una donna chiede la separazione ed è economicamente dipendente dal marito, può temere una brusca caduta economica e quindi sentirsi ricattabile, per questo si rivolge all’avvocato con la speranza di riuscire ad ottenere, oltre alla più scontata possibilità di continuare ad occuparsi dei propri figli e quindi alla possibilità di continuare ad abitare nella casa di famiglia, un adeguato assegno di mantenimento.

Anche agli uomini può capitare, ovviamente, di elaborare il divorzio emotivo, anche se non di rado accade che bisogni e richieste eluse vengano rivolte all’esterno della coppia senza dare luogo ad una separazione (non sempre verso amanti, difatti molte mogli si lamentano della suocera). Gli uomini sembrano più restii a chiedere la separazione, perchè quando riflettono sulla scelta di separarsi si trovano di fronte a dubbi quali: “Come farò a lasciare i miei figli? Che cosa farò da solo? Dove andrò a vivere? Mi resteranno abbastanza soldi per vivere?”. Quando ritengono veramente necessaria la separazione, però, trovano la forza di affrontare anche questi sacrifici.

Riassumendo, la separazione coniugale rappresenta per chi la decide una scelta voluta al fine di porre fine ad un conflitto in atto nella speranza di un miglioramento della propria situazione personale; per chi la subisce questa scelta suona come una dichiarazione improvvisa e inattesa, tuttavia una separazione coniugale ha alle spalle un periodo di incubazione accompagnato da manifestazioni di disagio prima, e di conflitto in un secondo momento (conflitto che non sempre ha caratteristiche di lotta, ma può presentarsi anche sotto forma di assenteismo, di sabotaggio, di protesta, di silenzio, di rifiuto del rapporto sessuale, ecc.).

Chi viene lasciato reagisce con grande shock, arrivando a volte a sentirsi vittima di un melodramma; si tratta per lo più di una reazione di paura dovuta al fatto di doversi riassumere da solo, o da sola, l’intera responsabilità della propria vita. Il desiderio di salvare il matrimonio in genere non emerge subito in quanto predomina il senso di abbandono. Occorre conoscere il ciclo di elaborazione dei lutti e delle perdite significative, per comprendere sia l’universo di dolore di colui o colei che viene lasciato/a, sia il perchè del violento e sovente autodistruttivo percorso di citazioni, denuncie, consulenze tecniche, ricorsi, minacce, invettive, ecc., che accompagna alcune separazioni giudiziali dilatandone i tempi, i costi e coinvolgendo un numero elevato di operatori ed esperti.

Da un lato infatti chi vuole separarsi dovrà caricarsi del biasimo sociale: “Ma  perché vuoi separarti? I figli ne soffriranno!”, dall’altro lato chi non vuole separarsi dovrà adattarsi ad un non desiderato e a volte radicale mutamento della propria vita e del rapporto con i propri figli: dovrà cominciare ad elaborare psicologicamente la perdita subita. Esiste infatti, immediatamente dopo la ferma dichiarazione dell’altro di volersi irrevocabilmente separare, un periodo di protesta accesa e a volte violenta, che fa sì che il ricorso all’avvocato sia strumentale al desiderio di spingere l’altro vuoi a pentirsi della decisione presa, vuoi a sentirsi in colpa per averlo fatto, vuoi a pagare un prezzo adeguato al risarcimento del danno emotivo subito. Si tratta di una reazione che tanto più sarà profonda e intensa, quanto maggiore sarà l’entità della perdita percepita.

Nell’elaborazione psicologica della perdita, alla protesta segue una fase di disperazione in cui il desiderio di recuperare quanto perduto diventa urgentissimo. Chi, ad esempio, resta in una condizione di isolamento affettivo e vede come responsabile di questo la propria ex-moglie, si scaglierà contro di lei punendola economicamente e con tutti i mezzi a propria disposizione e vivrà l’isolamento affettivo subito come una tremenda ingiustizia, non solo nei propri confronti, ma anche lesiva del diritto dei propri figli alla figura paterna. Allo stesso modo colei che subirà da parte dell’ex-marito il rifiuto di sostenere le spese di sostentamento principali della casa e dei figli, vivrà la cosa come una violenza personale, oltre come una ingiustizia sociale, e finirà per scaricare tutta la propria amarezza nell’unico vincolo indiretto con quell’ uomo: i figli.

A questa fase, seguirà la fase del distacco, in cui la stanchezza fisica e psico-emotiva prima e l’atteggiamento di rinuncia poi creeranno le basi per una possibile transazione e quindi una possibile chiusura delle ostilità anche dal punto di vista legale. L’elaborazione della perdita è nella sua fase finale, anche se la persona è duramente provata e a molti risulterà cinica e delusa, non desidererà più tornare indietro e riavere la sua famiglia unita, ma nemmeno sarà pronta a fare progetti per il futuro. La vicinanza dei figli accelera questa fase, ma per i padri non affidatari i momenti da trascorrersi con i figli sono pochi e si caricano di malinconia. In conclusione, la guerra legale potrebbe essere una forma esasperata di un naturale processo di adattamento alla perdita, che si esprime attraverso forme di violenza esteriore per dare sfogo alla violenza interiore dei sentimenti; diventa tuttavia un’arma a doppio taglio quando perpetua una lotta non più strumentale alla sofferenza della coppia.

Isabella Buzzi
fondatrice del centro di mediazione familiare
studio TDL Milano
www.studiotdl.com

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