Fecondazione artificiale e diagnosi prenatale

L’esperienza dimostra che la possibilità che da un embrione segmentato per l’analisi ch precede l’impianto nasca un bambino non supera il 15,20%. Su 100 donne che si sottopongono a quest’analisi solo il 10% avrà un bambino, per non parlare delle conseguenze a distanza

Le procedure per la fecondazione artificiale (detta anche medicalmente assistita, con un’espressione più digeribile) avevano creato un vero far west della provetta accompagnato da un business di rilevanti proporzioni. La legge 40, per imperfetta che sia, ha disciplinato questa materia. Tuttavia, un’estensiva interpretazione della legge ha innescato un altro colossale business, quello della diagnosi preimpianto per il controllo delle malattie genetiche, confondendo due cose diverse tra loro.

La diagnosi preimpianto consiste nel selezionare, attraversi analisi cromosomiche (per esempio nella sindrome di Down) o molecolari, l’embrione presunto “buono” da impiantare scartando quelli presunti “difettosi”. Dico presunti perché stando ad affermazioni degli esperti, la percentuale di errore nella diagnosi preimpianto è del 5%. Ma ci sono molti altri limiti a questa procedura.

L’esperienza dimostra che la possibilità che da un embrione segmentato per l’analisi preimpianto nasca un bambino non supera il 15,20%. Su 100 donne che si sottopongono all’analisi reimpianto solo il 10% avrà un bambino, per non parlare delle conseguenze a distanza.

Una statistica australiana ha messo in evidenza che più dell’8% dei bambini concepiti con la diagnosi preimpianto presentano almeno una malformazione. Questi ed altri dati dimostrano con chiarezza (se ancora ce ne fosse bisogno) che la diagnosi preimpianto non è il metodo di elezione per il controllo delle malattie genetiche. Le coppie fertili a rischio di una patologia genetica mendeliana (25% di probabilità) non dovrebbero pensare a fare figli o, se lo fanno, dovrebbero controllare periodicamente la gravidanza per prendere gli opportuni provvedimenti.

Allora, come si spiega il boom della diagnosi prenatale?  Il numero di centri che praticano queste analisi è di oltre 370 in Italia contro i 20 in Francia e Svezia. Secondo un censimento effettuato dalla società italiana di genetica umana si è registrato nel 2000 un aumento delle analisi cromosomiche e molecolari del 31,5% e, rispettivamente, del 42%. Bastano questi dati a dare la dimensione dell’affare economico.

Date le realtà descritte ci si chiede anche quale sia l’obiettivo dei sostenitori del referendum. Si ha l’impressione che il loro interesse non sia rivolto al controllo delle malattie genetiche ma ad altri aspetti, come ad esempio la liberalizzazione della ricerca sull’embrione.  Per far chiarezza in questa materia, che ha molti risvolti compresi quelli sociali, è indispensabile un’informazione corretta e approfondita che tenga conto della realtà. Spesso purtroppo l’informazione mediatica, aiutata alle volte anche dai ricercatori, cede al sensazionalismo, creando false idee e destando irragionevoli speranze.

Pierluigi Patriarca
professore ordinario Facoltà Medicina Università Trieste

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