Riarmo globale

Le nazioni non sono nuove alla corsa agli armamenti. Queste hanno sempre investito nello sviluppo di nuovi armamenti ed il miglioramento della capacità industriale bellica prima di crisi internazionali che hanno sconvolto il mondo, sfruttando periodi di tensione con la scusa della difesa territoriale. Oggi, ancora più di ieri, il riarmo è diventato un affare estremamente redditizio per nazioni e aziende.

Il precedente della Grande Guerra ci ricorda gli importanti investimenti delle nazioni europee verso aziende tanto essenziali da essere consultate prima di decidere se entrare in guerra o meno, come fece Bismark verso le industrie Krupp. Un altro esempio si concretizzò prima che scoppiasse la Seconda Guerra Mondiale: prima ancora che i gerarchi nazisti avessero pronti i loro piani per la Blitzkrieg, le industrie tedesche del Terzo Reich erano in grado di produrre armi di qualità migliore ed in quantità maggiore di qualsiasi altra potenza degli anni ’30 del novecento. Infine, sempre nel secolo scorso, la corsa agli armamenti nucleari ha coinvolto sia le superpotenze che potenze minori come la Francia, Israele e l’India, per assicurarsi un po’ di respiro nei confronti del vicinato ed innescando una reazione a catena tra paura, sviluppo, produzione, maggior paura, e così via.

Oggi, sembra che il mondo stia rivivendo questi passaggi. Passaggi che dovrebbero esser stati studiati sui libri di Storia: la polveriera d’Europa è tornata a ricoprire un ruolo fondamentale, dopo non essere stata considerata per decenni dall’occidente, se non con l’invio di qualche forza di pace e sanzioni unilaterali; mentre schieramenti ideologici si pestano nuovamente i piedi nello scacchiere internazionale e le nazioni in aperto contrasto riportano a galla antichi revanscismi.

L’occasione è diventata troppo ghiotta per chi ha la possibilità di investire nell’industria della Difesa per essere ignorata, come dimostrano i pacchetti di aiuti alla Difesa Ucraina e le richieste sempre più pressanti di Washington affinché i membri NATO investano il 2% del PIL nel settore della Difesa.

Colossi del settore, quali Lockheed Martin, produttore degli arcinoti Javelin, stanno incrementando i loro fatturati, alimentando un circolo di rendita a lungo termine grazie a contratti stipulati con diverse nazioni alleate. Questo coinvolge anche società più piccole, come la nostra Leonardo, per la produzione di componenti o assemblaggio di sistemi d’arma o, ancora, l’ingegnerizzazione di nuovi armamenti. Movimenti così consistenti di capitale favoriscono anche l’immagine delle nazioni che ospitano e che lavorano al fianco di queste aziende. Insomma, il tutto sembra giovare a tutti: nazioni anche piccole si mettono in mostra, le aziende guadagnano e aumentano la produzione maggiorando, così, assunzioni e stipendi.

Tuttavia, non tutto ciò che luccica è oro. Ciò che sta accadendo va oltre la semplice preparazione difensiva; e potrebbe portare ad una tracotante e presuntuosa sovrastima da parte dell’uno e dell’altro schieramento, perché, ricordiamo, a queste partite si gioca almeno in due.

Alla preparazione delle industrie, ha fatto capolinea la guerra più cruenta che la storia avesse mai visto, la Prima Guerra Mondiale. Il riarmo della Germania post bellica ha portato ad un’altra guerra, la Seconda, che coinvolse nazioni dall’altra parte del mondo rispetto ai campi di battaglia principali; e, per ultimo, in merito alla corsa agli armamenti nucleari non si può dire che questa sia mai finita.

La corsa agli armamenti dovrebbe essere portata avanti con i piedi di piombo dato che, in un attimo e senza che nessuno li voglia veramente, potrebbe causare danni maggiori di quelli che si avrebbero “lasciando correre” alcune questioni risolvibili con la mediazione e la rinuncia bilaterale ad alcune richieste.

Bisogna evitare che il riarmo diventi una spada di Damocle pronta a cadere sulle nostre teste.

Federico Alborghetti

Redattore per gli ambiti di Geopolitica, Scienza e Tecnologia. Studente presso il Politecnico di Torino frequentante il corso di Ingegneria aerospaziale, fondatore e CEO di StratDawn. Appassionato di aviazione, ingegneria aeronautica, storia moderna e contemporanea. 

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