Non siamo abbastanza ricchi da poterci permettere di spendere poco

Foto di David Bruyland da Pixabay

Riflettiamo e pensiamo a quante volte abbiamo detto “Non ho niente da mettermi”.

Ciò che più ha rivoluzionato il mondo della moda negli ultimi tempi è stato l’avvento della globalizzazione, con la quale la moda si è internazionalizzata e orientalizzata. È diventata una vera e propria industria, tanto da acquisire sempre maggiore importanza. Ruota attorno ad un enorme business, specialmente a seguito dell’intensificazione dei canali comunicativi: le persone sono diventate sempre più connesse e interdipendenti e il settore dell’abbigliamento ha ottenuto maggiore rilevanza. Gli acquisti, di conseguenza, sono aumentati – intensificando il tipico consumismo occidentale – ed uniformati, appiattendo le diversità.

Negli ultimi anni si è assistito al fenomeno della moda low cost, scaturito dall’affermarsi del fast fashion. Una “moda veloce” con la quale vengono fabbricati e venduti capi in volumi ridotti, così da non avere merce invenduta. Prodotti realizzati a prezzi bassi e convenienti, ad una velocità vertiginosa, utilizzati per un breve periodo per poi essere sostituiti da altri capi cheap ma sempre di tendenza. Nel settore del fast fashion le organizzazioni di vendita al dettaglio non riforniscono, ma piuttosto passano a qualcosa di nuovo, generando così una nuova moda. Questo inevitabilmente scatena un meccanismo di voler scoprire l’ultima novità. I consumatori sono tentati a far visite più frequenti nei punti vendita e nei siti online per acchiapparsi l’ultima tendenza prima che finisca. È quello che viene definito “effetto Walmart”, cioè vendere la moda a prezzi bassissimi (l’omonima multinazionale americana fa un vanto della sua strategia “Every Day Low Price”).

Come è possibile vendere a prezzi così convenienti? Una delle tante strategie è distribuire grandi punti vendita all’interno di centri commerciali ed outlet, così da abbattere i costi di locazione. In più i servizi rivolti al pubblico sono minimi; i livelli di assistenza personale sono inferiori alla norma ma comunque accettati dai consumatori che la rimpiazzano con la soddisfazione di pagare davvero poco i capi che comprano.

A partire soprattutto dagli anni 80 e 90 alcune aziende occidentali si aprirono a nuovi mercati ed iniziarono la pratica dell’offshoring: delocalizzano geograficamente la produzione dove i costi di manodopera sono nettamente inferiori, specialmente verso paesi asiatici – come Cina e Turchia -, e quelli meno sviluppati o in via di sviluppo, quali India, Bangladesh e paesi dell’Europa dell’Est. Secondo la multinazionale McKinsey, la Cina è diventata il più grande mercato mondiale della moda nel 2019, tanto da emergere come il più grande esportatore di fast fashion. Basti pensare che il 70% della produzione mondiale di calzature è Made in China.

Tuttavia non si riflette abbastanza sul fatto che questa moda viene prodotta in modo celato, perché spesso si nascondono l’approvvigionamento e le condizioni di lavoro della manodopera; frequentemente i diritti dei lavoratori non sono rispettati e sono ai limiti dello sfruttamento.

Se è vero che l’industria della moda è tra le più importanti (a livello di business), è altrettanto vero che è la seconda più inquinante al mondo (dopo quella petrolifera). È anche il secondo maggior contributore al mondo alla schiavitù moderna: non è trasparente, è oscura, usa metodi razzisti e sessisti ed abusa anche del lavoro minorile. È quanto denunciato anche dall’UNICEF, che da sempre combatte contro il lavoro minorile, sebbene ancora oggi nel mondo ci sono più di 150 milioni di children labour.

L’azienda pioniera del fast fashion è Zara, seguita da H&M e da altre grandi catene di distribuzione, come Primark, Pull&Bear, Stradivarius, Bershka, Oysho, Benetton, Topshop, Mango, Miss Selfridge, Peacocks, Esprit e tante altre. Queste monitorano costantemente i gusti e le opinioni dei consumatori e i cambiamenti psicologici, temporali e geografici, così da azzeccare con la nuova collezione che entro breve uscirà.

Hanno democratizzato l’alta moda: la moda non è più un lusso per pochi; hanno portato sulla pelle dei clienti la sensazione del lusso ed eleganza senza pagare il prezzo intero. Tutta questa disponibilità incoraggia consumi impulsivi e compulsivi, quasi da diventare a volte una dipendenza e un’ossessione per sentirsi appagati. Oggi le persone non acquistano più i capi d’abbigliamento per soddisfare un bisogno primario, di necessità, bensì spesso comprano per comunicare la propria personalità e sentirsi parte di un gruppo, cercando di rimanere sempre al passo con i tempi. Molte volte la spinta all’acquisto è data semplicemente e tristemente dal fatto che si vuole possedere un certo bene solo perché ce l’hanno tutti, perché “va di moda”.

Sicuramente eleganza e convenienza sono il binomio vincente, ma è anche vero che le tendenze muoiono rapidamente. La moda è diventata un fenomeno globale. Ha una vita breve, è temporalmente fragile; riesce ad invogliare e a manipolare le scelte dei consumatori. Viene consumata in modo rapido, passivo ed irrazionale. I consumatori sono dipendenti da questa moda veloce ed economica, ma allo stesso tempo chic. Non c’è quasi più il tempo che una moda si consolidi che già è vecchia, sorpassata e sostituita. Inoltre, se si stanno spendendo cinque euro per una t-shirt, vale la pena che ci si domandi se la persona che l’ha realizzata ha ricevuto un salario onesto. Il modus vivendi giovanile ruota attorno alla filosofia di “poca spesa, tanta resa”, ma è giusto riflettere sui danni che il compra-usa-getta (disposable) comporta… e ricordarsi che “non siamo abbastanza ricchi da poterci permettere di spendere poco” (detto russo).

Lucia Valentini

Lucia Valentini è neolaureata in Comunicazione giornalistica, pubblica e d’impresa (laurea magistrale, Università di Bologna), Comunicazione e Giornalismo (master, Università Pegaso) e Scienze Internazionali e Diplomatiche (laurea triennale, Università di Bologna). Interessata alle questioni geo-sociali e politiche dei PVS e del Medio Oriente, ha partecipato all’International Summer School “Social-Political Conflicts of Modern Society” presso la Saint Petersburg Mining University (08/2019). Incuriosita dalle religioni e dalle criticità dei paesi in guerra, ha frequentato i corsi “Hinduism Through its Scriptures” (HarvardX, 04/2020) e “Terrorism and Counterterrorism” (GeorgetownX, 02/2022). Inoltre, grande passione per la lingua inglese e con qualche conoscenza della lingua russa e hindi. 

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