Questione ucraina fra oriente e occidente

Per comprendere la “questione Russa” basterebbe guardare la cartina geografica in cui un gigantesco Paese è contornato da piccoli stati “utilizzati” come ammortizzatori geopolitici. Infatti ad eccezione del polo Nord, dell’Oceano Pacifico e della frontiera con la Cina la Russia confina a Sud con Kazakistan, Kirghistan, Tagikistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Azerbaijan. Salendo verso il lato occidentale troviamo Georgia, Moldavia, Ucraina, Bielorussa per arrivare infine a nord ovest dove c’è l’Unione Europea tramite Lituania, Lettonia, Estonia e Finlandia.

Verso tutti i Paesi limitrofi, ad eccezione dell’UE e della Cina, Putin ha cercato di imporre  il suo ascendente, se non addirittura le sue condizioni, tramite equilibri geopolitici e militari. Per fare un esempio recente è intervenuto nella rivolta popolare del 2022 in Kazakistan sotto il cappello dell’Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva delle ex repubbliche sovietiche.

Ma il meccanismo utilizzato per mantenere il controllo degli stati satelliti è stato anche quello della millenaria strategia del “Divide et impera”.

Quando un Paese esprime disaccordi con la “madre” Russia le unità nazionali vengono minate stimolando etnie e territori a richiedere l’indipendenza e il riconoscimento internazionale, che in genere avviene però solo da parte del Cremlino. Le motivazioni iniziali sono le più diversificate fra cui il concetto etnico, storico, linguistico, monetario ecc. 

Questo sistema, consolidato e collaudato da tempo, ha prodotto una serie di piccolissime repubbliche che hanno dapprima proclamato l’indipendenza e subito dopo ricevuto l’invio di truppe speciali russe con la scusa di garantirne stabilità e autonomia. Le prime a seguire questa strada furono l’Abcasia e l’Ossezia del Sud che negli anni ’90 si proclamarono indipendenti dalla Georgia con un intervento russo che provocò migliaia di morti. Successe uguale con la Transnistria che si dichiarò indipendente dalla Moldava scatenando una guerra sanguinosa. Seguì il Nagorno Karabakh che volle l’indipendenza sia dall’Armenia che dall’Azerbaigian e di cui ancora adesso sono in corso vari negoziati per definirne i confini.

Si arriva quindi agli anni 2000 quando lo stesso sistema venne riprodotto in Ucraina, colpevole di avvicinarsi sempre più all’Unione Europea e quindi alla Nato. Era il 2014 quando i territori del Lungansk e del Donetsk ( che insieme formano il Donec o Donbass) chiesero l’indipendenza ed annessione a Mosca. Sempre nello stesso anno la Federazione Russa intervenne militarmente per annettersi la Crimea attendendo il momento più opportuno per completare il ciclo con il Donbass.

Quel momento è quindi giunto ed in queste ore stiamo assistendo all’ennesima guerra di secessione di una repubblica ex sovietica inserita nelle strategie putiniane, ma a differenza delle altre in questo caso siamo di fronte anche ad una guerra di invasione.

I motivi che differenziano questo scenario dai precedenti è si la presenza di forze Nato alle porte dell’Ucraina ma anche il tentativo,  mai celato e sempre tentato, di destabilizzare l’Unione Europea. Questa se troppo “unita” diventerebbe un vicino troppo ingombrante per Mosca che non sarebbe in grado di competere soprattutto nell’ambito economico e finanziario.

È per questo motivo che oggi Putin sventola la minaccia nucleare, rispetto agli arsenali NATO in Europa è infatti in netto vantaggio. Il Cremlino dovrà però mettere in conto gli interessi della Cina e la compattezza dell’UE che potrebbe per lui e per tutto il mondo essere una sorpresa.

Tratto da “La Ragione”.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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