2039 Mission: propulsione nucleare, innovazioni ed esplorazione spaziale

person walking near brown rock

La notizia

La National Academy of Science, su studio commissionato dalla NASA, non ha dubbi: l’esplorazione spaziale, in particolare un possibile trasporto di essere umani su Marte entro il 2039, richiede un programma di ricerca e sviluppo spietato riguardo nuovi tipi di propulsione. Uno su tutti: l’energia nucleare.

La divisione NASA delle tecnologie di missione spaziale spinge per la formazione di un gruppo di lavoro specifico per strutturare la ricerca sulle tecniche di propulsione nucleare di interesse per le nuove sfide esplorative.

Il comitato, co-presieduto da Robert Braun del Jet Propulsion Laboratory e Roger Myers, ex responsabile dei programmi spaziali avanzati di Aerojet Rocketdyne, è stato incaricato di definire le tappe fondamentali per lo sviluppo di tali tecnologie, di stimare un possibile cronoprogramma e di delineare eventuali altri profili di missione resi possibili da queste ricerche.

Al momento, lo studio si concentra in particolare sulla propulsione nucleare termica (NTP) e sulla propulsione nucleare elettrica (NEP) nel contesto di una missione di esplorazione di Marte, viaggio di andata e di ritorno, con un equipaggio di quattro persone, escludendo i fattori di gestione e di finanziamento del programma. Nell’ottica dell’esplorazione spaziale, si sta anche valutando l’utilizzo di centrali nucleari in formato ridotto per trasformare i minerali reperibili in loco in materiali edili con cui costruire installazioni sostenibili, sia in ambiente lunare sia in ambiente marziano per esempio.

L’energia nucleare è una fonte di energia affidabile e duratura per questo tipo di contesti, al contrario delle forme classiche, come il petrolio o il solare. Il primo andrebbe incontro a problemi logistici e di sicurezza nel corso del trasporto. Il secondo sarebbe troppo dipendente dalle condizioni climatiche e delle ore del giorno.

Inoltre, l’attrattiva dei sistemi di propulsione nucleare è legata alla loro alta efficienza: confrontati con motori a propulsione chimica fino ad oggi utilizzati, quelli nucleari possono offrire prestazioni anche doppie, consentendo di ridurre i tempi di viaggio o di aumentare la quantità di carico utile trasportato, a parità di massa di propellenti.

Il manifesto e la sfida

Qui il punto: un veicolo spaziale per un viaggio dalla Terra verso Marte può essere lanciato minimizzando il lavoro del sistema di propulsione solo quando i due pianeti sono allineati in maniera specifica: una congiunzione che si verifica ogni 26 mesi.

Finora, le missioni robotiche di lunga permanenza sono state effettuate in stato di allineamento, mentre di breve permanenza in opposizione, pertanto queste ultime richiedono maggiori prestazioni al sistema di propulsione, ma riducono il tempo di viaggio totale, un fattore importante per la salute e la sicurezza dell’equipaggio.

Infatti, nel primo caso si sfrutta la congiunzione in andata e in ritorno, vedendo tempi di percorrenza relativamente ridotti ma lunghe permanenze presso Marte, nell’ordine di 400–600 giorni sul totale di circa 1000 della missione.

Le missioni di breve permanenza, invece, hanno il favore dell’allineamento planetario Terra-Marte solo in una delle due parti del viaggio. Tipicamente, in andata. In questo caso, il tempo trascorso in viaggio è più lungo se comparato alle missioni di lunga permanenza, a fronte di un periodo massimo di lavoro sulla superficie di circa 90 giorni.

Il risultato netto è che le missioni di breve permanenza espongono gli equipaggi a un periodo di lontananza dalla Terra più breve, anche se la durata precisa della missione è legata al lavoro richiesto dal viaggio di ritorno.

I fattori di demerito delle missioni di breve permanenza si riassumono in consumo di propellenti più elevato e minor tempo da dedicare alle attività scientifiche in superficie e per questo sono spesso scartate negli studi di fattibilità.

Tuttavia, le missioni di lunga permanenza prolungano l’esposizione dell’equipaggio agli ambienti ostili dello spazio profondo: veicoli spaziali che restino sicuri, funzionanti e affidabili per più tempo e queste componenti vanno dunque ad aggiungersi al rischio complessivo della missione.

Secondo il rapporto dell’accademia, una missione che partisse in concomitanza con la congiunzione Terra-Marte del 2039 richiederebbe 916 giorni complessivi: 210 giorni per raggiungere Marte, 496 giorni di lavoro sulla superficie, necessari affinché i due pianeti siano di nuovo allineati correttamente, e 210 giorni per il viaggio verso casa.

Una missione in opposizione potrebbe invece essere lanciata nel 2037 e durare 650 giorni: 217 giorni per il viaggio di andata, 30 giorni di lavoro in superficie e 403 giorni per il ritorno.

Inoltre, l’esplorazione spaziale è affetta da un continuo procrastinare. Si tratta di un’impresa molto costosa, ci sarebbe bisogno di un solido consorzio politico tra gli Stati e un allineamento univoco e duraturo degli interessi nazionali e, nonostante questo, l’orizzonte temporale di queste iniziative è così di lungo tempo che potrebbe entrare in gioco tagli ai finanziamenti o imprevisti che potrebbero minare tutto il lavoro svolto.

Ecco perché la volontà ferrea a voler elaborare il progetto nella maniera più analitica e cinica possibile. Dunque, nell’ambito dello studio commissionato dalla NASA, sono stati sviluppati i seguenti parametri di riferimento della missione marziana:

o    lancio nel 2039;

o    durata complessiva del viaggio non superiore a 750 giorni;

o    tempo di permanenza sulla superficie di Marte di 30 giorni;

o    equipaggio di quattro astronauti, di cui due destinati ad atterrare su Marte;

o  veicoli distinti per il trasporto di carichi ed equipaggio con lo stesso sistema di propulsione, con i cargo in arrivo su Marte prima della partenza dell’equipaggio dalla Terra;

o veicoli destinati al viaggio marziano, carico e propellenti spediti verso un punto di raccolta collocato in orbita terrestre bassa o cislunare con l’ausilio di diversi lanciatori.

Un po’ di storia

Tra gli anni ’50 e gli anni ’60, alcuni scienziati americani hanno testato il nucleare per i viaggi spaziali prima che il programma venne cancellato nel 1971.

Il progetto, dal nome Project Orion, era uno studio di fattibilità sullo sfruttamento dell’esplosione di ordigni nucleari come propulsione di vettori spaziali. Fu abbandonato a causa della sigla dell’accordo Partial Test Ban Treaty, che impediva la detonazione nucleare in atmosfera, nello spazio e in acqua, mentre invero sotto terra si aveva il via libera.

Successivamente, nel 1976 sia l’agenzia spaziale americana che quella russa iniziarono gli studi sulla tecnologia nucleare nei satelliti.

Nel 1988 l’agenzia russa Roscosmos lanciò nello spazio una quarantina di satelliti a energia nucleare, anche se parte di essi non divennero operativi. Inoltre, nel 1965 la Nasa aveva già lanciato in orbita un satellite alimentato a uranio, rimasto in funzione solo 43 giorni.

Ad oggi vi sono in orbita 30 tipi di satelliti a energia nucleare e, da oltre 50 anni, sono state realizzate batterie nucleari per le missioni di esplorazione dello spazio profondo.

Panoramica della tecnologia attuale

Lo standard della propulsione finora sono stati i razzi chimici, a propellente solido e a propellente liquido. In entrambi i casi, la reazione chimica produce un getto di gas incandescente altamente pressurizzato a partire dal combustibile e l’efficienza è estremamente variabile, in quanto dipende da una moltitudine di fattori.

Un’alternativa potrebbe essere il motore a propulsione elettrica: si sfruttano particelle cariche accelerate da campi elettrici come forza motrice del razzo. Il propellente è un gas, lo xeno per esempio, gli attuali motori ionici sono alimentati ad energia solare e richiedono pochissimo propellente.

Sebbene producano un moto di intensità inferiore, sono dei metodi notevolmente efficienti e vengono usati comunemente per il controllo dell’assetto.

Una visione più sostenibile e più ecologica potrebbe essere data dalle vele solari.

Il principio è molto semplice, i fotoni hanno quantità di moto e possono trasferirla ad una vela. Chiaramente, l’energia dei singoli quanti è molto piccola, per cui serve una superficie velare molto ampia e la velocità dipenderà dalla distanza dal Sole: quindi, per quanto non richiedano combustibile e siano ecologicamente sostenibili, l’efficienza è molto ridotta. Un’opzione consiste nell’utilizzare un laser per spingere in avanti il veicolo spaziale.

I laser producono fasci di fotoni molto intensi che possono essere diretti su una vela per fornire un’accelerazione molto più elevata, ma richiederebbero di essere costruiti in orbita terrestre per evitare la perdita di intensità nell’atmosfera e renderebbe possibile ricevere l’impulso iniziale della navigazione spaziale solo in vicinanza di orbita terrestre.

Nella profondità della tecnologia futura

Il nucleo di un atomo è costituito da particelle subatomiche chiamate protoni e neutroni. Questi determinano la massa di un elemento: più protoni e neutroni sono, più è pesante. Alcuni nuclei atomici sono instabili e possono essere suddivisi in diversi nuclei più piccoli quando bombardati da neutroni. Questo è il processo di fissione nucleare e può rilasciare un’enorme quantità di energia. Quando i nuclei decadono, rilasciano anche più neutroni che continuano a fessurare più atomi, producendo una reazione a catena.

Nel dettaglio il discorso della propulsione nucleare si fa più interessante.

La propulsione nucleare elettrica (NEP) è una tecnologia propulsiva dove l’energia termica di un reattore nucleare è convertita in energia elettrica grazie all’accoppiamento con sistemi appositi e l’elettricità così generata viene utilizzata per alimentare un motore a ioni o altri tipi di propulsione elettrica.

Il ruolo del reattore nucleare del veicolo spaziale è assimilabile a quello di una centrale nucleare: produrre energia per alimentare i vari sistemi di bordo.

La propulsione nucleare termica (NTP) vede invece il reattore nucleare come protagonista diretto della generazione della spinta: un fluido di qualche tipo viene fatto circolare in prossimità del nocciolo atomico, che lo surriscalda causandone l’espansione per poi essere espulso dall’ugello del motore. Per ottenere i tempi di percorrenza previsti, un sistema NEP dovrebbe essere affiancato da un sistema di propulsione chimica, mentre un sistema NTP sarebbe autosufficiente.

Lo studio della National Academy of Science analizza punti di forza e svantaggi di NEP e NTP.

Le sfide del NEP riguardano la possibilità di generare abbastanza potenza al punto da alimentare non solo il sistema propulsivo ma anche tutti gli altri sistemi di bordo. Al momento la potenza necessaria stimata supera di un ordine di grandezza le capacità dei reattori sperimentali ad oggi realizzati e la tecnologia del motore a ioni non è adeguata alle fasi di accelerazione e decelerazione in prossimità di Terra e Marte, per cui è necessario definire un sistema di propulsione chimica da affiancargli.

Riguardo la tecnologia NTP il gioco è a 4 fattori: il riscaldamento del propellente a circa 2.700 K, lo stoccaggio a lungo termine dell’idrogeno liquido nello spazio con perdite minime, il raggiungimento rapido e sicuro della piena temperatura di esercizio entro massimo un minuto dall’accensione e la realizzazione di adeguate strutture di prova a terra, per il contenimento del rischio di inquinamento ambientale.

L’impiego di energia nucleare in ambito spaziale ha un fronte tecnologico e un fronte politico. L’ESA, per esempio, si è sempre tenuta a debita distanza da queste tecnologie, seppure l’uso di energia atomica sia diffuso tra molti dei suoi paesi membri.

Inoltre, quando si parla di reattori nucleari a uso spaziale, indipendentemente dalla natura del sistema prescelto, si deve affrontare il nodo della produzione e del lancio nello spazio di ragguardevoli quantità di uranio. Le preoccupazioni politiche internazionali riguardanti la produzione di uranio altamente arricchito hanno spinto gli Stati Uniti a raccomandare l’impiego di uranio ad alto dosaggio e basso arricchimento, mentre il rapporto dell’accademia non si sbilancia in merito, affermando che al momento non vi siano informazioni sufficienti per prendere una decisione rispetto a quale tipo di uranio sia la scelta più adeguata alle missioni marziane.

Progettualità in corso

L’agenzia governativa statunitense Defense Advanced Research Project Agency (DARPA) ha selezionato 3 società americane per la progettazione di un prototipo di veicolo spaziale a propulsione nucleare da utilizzare oltre l’orbita terrestre bassa nel 2025. Il programma ha lo scopo di verificare la fattibilità di un mezzo spaziale dotato di propulsione nucleare termica.

Nelle aspettative di DARPA, si dovrebbe avere un elevato rapporto spinta/peso, avvicinandosi alle caratteristiche dei propulsori a razzo a propellenti chimici, e un elevato impulso specifico, prossimo a quello dei propulsori spaziali elettrici, risultando pertanto molto adatto a effettuare spostamenti rapidi nello spazio fra Terra e Luna.

La fase iniziale del progetto, della durata di 18 mesi, si compone di due distinte attività:

  1. progettazione del reattore destinato allo NTP e ideazione del propulsore nucleare termico;
  2. progettazione di un veicolo spaziale in grado di utilizzare il propulsore NTP e di soddisfare i requisiti di volo cislunare.

DARPA ha assegnato a General Atomic, con un finanziamento di 22 milioni di dollari, la realizzazione del progetto del reattore e del propulsore, mentre Blue Origin, destinataria di 2,5 milioni di dollari, e Lockheed Martin, finanziata con 2,9 milioni di dollari, dovranno occuparsi di progettare ciascuna, indipendentemente l’una dall’altra, il veicolo spaziale che utilizzerà la propulsione nucleare termica. Il risultato della fase iniziale del programma servirà a DARPA per pianificare le successive fasi di progettazione di dettaglio, la costruzione e il lancio in orbita del veicolo dimostrativo a propulsione nucleare termica.

Nella progettazione di centrali nucleari in formato ridotto, la NASA sta lavorando con diverse agenzie di ricerca americane, tra cui il Los Alamos National Laboratory e il Nevada National Security Site, al progetto Kilopower.

Il reattore Kilopower genera energia attraverso una fissione nucleare attiva, in cui gli atomi si separano sprigionando energia. Questo piccolo e leggero reattore a fissione può generare fino a 10 kilowatt di energia elettrica —abbastanza per rifornire un insieme di edifici residenziali per almeno un decennio. L’alimentazione elettrica di una stazione su Marte richiederebbe circa 40 kW, o quattro reattori Kilopower.

Nel 2018 la NASA ha condotto una serie di test sperimentali per dimostrare la fattibilità della tecnologia Kilopower. Nelle prime due fasi, ogni componente del reattore è stato testato senza energia. Nella terza fase, la generazione di energia è stata attivata e incrementata gradualmente per riscaldare il nocciolo. Nella quarta e ultima fase, è stato eseguito un test a piena potenza della durata di un giorno per simulare una missione virtuale con avviamento del reattore, aumento della potenza fino alla massima capacità, funzionamento stabile e arresto. Durante i test, sono stati simulati vari problemi operativi, tra cui un abbassamento della potenza, un’avaria dei motori e una rottura dei tubi di riscaldamento, per dimostrare che il sistema fosse in grado di operare nonostante il guasto di diversi componenti e funzioni operative.

Le prestazioni riguardo la quantità di energia prodotta sono nettamente superiori alle possibilità attuali.

Anche in Europa, la direzione sembra essere la stessa. Rolls-Royce e la UK Space Agency uniscono le forze per portare avanti uno studio sulla progettazione di navicelle a propulsione nucleare. Lo scopo è consentire agli astronauti di raggiungere Marte in soli quattro mesi riducendo così i tempi di esposizione alle radiazioni.

Stando alle dichiarazioni del Governo britannico, la partnership tra Rolls-Royce e UK Space Agency porterà fermento nella comunità scientifica. Anzi, Graham Turnock, direttore generale della UK Space Agency, è convinto che l’applicazione dell’energia nucleare nel campo dell’esplorazione spaziale potrebbe sbloccare la possibilità di avviare missioni nello spazio profondo ben oltre Marte.

Infatti, Rolls-Royce per oltre 60 anni ha fornito la tecnologia di propulsione nucleare usata dai sottomarini della Royal Navy e sta gestendo la costruzione di diversi small modular nuclear reactors sempre in UK, reattori nucleari dalle dimensioni e potenze ridotte che offrono vantaggi in termini di esercizio e sicurezza.

Investimenti

Tutti stanno stanziando in merito. Per esempio, il Congresso degli Stati Uniti ha accantonato notevoli somme di denaro negli ultimi anni per lo sviluppo di NTP. Il disegno di legge di bilancio per l’anno fiscale 2021, ad esempio, stanzia 110 milioni di dollari per NTP, vincolandone non meno di 80 milioni alla progettazione di esemplari di prova per consentire una dimostrazione in volo.

Di fatto si tratta di un passo indietro rispetto all’anno fiscale 2020, in quanto la cifra totale stanziata è identica e non compensa le perdite dovute all’inflazione. La sottile differenza, vantaggiosa rispetto allo scorso anno, è che la nuova legge di bilancio non impone più di includere negli 80 milioni la dimostrazione in volo, ma solo la progettazione di esemplari di prova. Questo significa che il tutto potrà essere speso totalmente per la realizzazione di prototipi.

Nuovi orizzonti

Stando alle attuali previsioni, il primo reattore nucleare compatto dovrebbe essere pronto entro il 2024 per essere utilizzato sulla Luna nell’ambito del programma Artemis della NASA.  

Il progetto prevede l’invio di astronauti americani sulla Luna, ma la base non avrà necessariamente bisogno di un reattore nucleare.

Per quanto riguarda una futura missione su Marte, è probabile che, nonostante il termine del 2039, i razzi a energia nucleare possano essere pronti entro il 2033, quando la Terra e Marte arriveranno al punto di massima vicinanza nei 18 anni precedenti. 

Diverse agenzie spaziali nazionali, come la NASA e Roscosmos, stanno attualmente valutando vari progetti di mini reattori nucleari. Elon Musk, CEO di Space X, ha pubblicato su Twitter le sue raccomandazioni.

Si calcola che, per raggiungere Marte con queste tecnologie, una nave spaziale di grandi dimensioni richiederebbe solo 230 grammi di uranio combustibile, una quantità comparabile a un sacchetto di zucchero.

Sprigionare la potenza dell’atomo non ha creato un nuovo problema. Ha reso più urgente la necessità di risolverne uno esistente e, in questo caso, ha portato l’unione del fronte umano, indipendentemente dalla cultura, sotto un unico sguardo. Lo spazio non è l’ultima frontiera, è semplicemente il vero ambiente dove siamo nati.  

Rosario Pullano

Rosario Pullano è studente del Politecnico di Torino, dove frequenta il corso di laurea magistrale Physics of complex systems, percorso internazionale interateneo tra icpt, sissa e alcune università di Parigi. Nasce a Catanzaro l’8 febbraio 1997. All’età di 5 anni si trasferisce con la famiglia a Trieste. Si forma presso il Liceo Classico “Dante Alighieri” e, successivamente, studia all’università “La Sapienza” di Roma, dove consegue la laurea triennale in fisica. Si trasferisce a Bologna un anno, dove completa il corso di alta formazione in finanza matematica. Il 21 novembre 2016 è tra i vincitori nella categoria “Giovani Promesse” nella Sezione Poesia singola del “Concorso letterario internazionale Michelangelo Buonarroti”. Pubblica la raccolta di poesie “Memorie del futuro: sentimenti” nel 2019 con la casa editrice EuropaEdizioni. Ad oggi, continua a scrivere in ambito creativo e in ambito giornalistico e segue le sue ispirazioni imprenditoriali occupandosi di progetti di start up relativi al mondo dell'innovazione dei servizi digitali. 

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