Fausto Nazer | Tra cielo e terra, gli occhi dell’Infinito (o il ciclo dell’Infinito)

Silenziosa e cadenzata, talvolta ondulatoria, perché carezzata da un invisibile movimento interno, un soffio che leva residui di tempo, un indefinibile scatto, su spezzoni di un preciso attimo vissuto nel palcoscenico della vita, incastonato in una coreografia consueta sì, perché a noi nota, questa la pittura d’immagine di Fausto Nazer. 

Gli scorci metropolitani così composti, in prospettive chiuse, talvolta ingombranti, lasciano intravedere, tuttavia, quello sbocco verso un infinito che si schiude, seppur plumbeo, denso, minaccioso e gagliardo, ma che si rivela in realtà, per chi sa vedere oltre, come una fitta trama di perle che lo impreziosiscono e che lo riconsegnano in dono, sotto forma di inno argenteo alla Vita. 

L’elemento primordiale, la nostra prima culla e nutrimento.

L’atmosfera languida, talvolta affaticata, ospita un’animata vita interna, e quella nebbiolina da avvezione che risale dal cemento ancora accaldato dal bacio del Sole, creano dinamismo narrato e preservato negli arabeschi metropolitani contenuti nell’Anima del Mondo, quasi a voler contrastare il proprio moto contrario, che scende a rimarcare ancora le regole della legge degli opposti. L’elemento sfilaccia nel grigiore della scena, ma lo stesso si anima di tutti quei riflessi di luce che assorbe dalla vita che c’è, che si fa sentire, e che riempie un vuoto che potremmo definire congiunturale, perché ognuno corre solo al riparo, e si stacca dagli altri, anche se la camminata, talvolta frettolosa, è già tracciata verso un’ipotetica destinazione comune.

L’amore si sveglia poi, nella foschia del suo ritmo, e trova riparo e culla sotto lo spicchio d’un ombrello, basta intuirlo con un movimento dello spirito. Lì si apre tutto un fraseggio soffocato nelle parole, ma che tuona nel racchiuso abbraccio comune, nella condivisa protezione di uno verso l’altra, e davanti e dentro a quel panorama, ti scopri non esser più solo, basta saper allargare il braccio e tendere la mano. Nazer, l’eterno spettatore come il vero protagonista nascosto, è posizionato dietro alla finestra che dà sulla vita, affronta così, gli intimi dialoghi con se stesso, nei suoi viaggi che si sviluppano nel ricordo emotivo di un preciso istante. 

Talvolta, la sua personale inquietudine, si avvicina al color della carne, mentre una donna, sensualmente, corre al riparo, e i drappeggi dei suoi vestiti, gravati dal peso dell’elemento, e mossi dal primitivo vento che cambia sempre la sua corsa, lasciano trasparire il calore dell’accoglienza o, dell’irraggiungibile desiderio, che nasce e sfugge, in quello stesso attimo. L’impalpabile essenza, fine e cheta, che persuade, con la sua semplice azione e riconosciuto intento di rigenerazione, evidenzia la particolare bellezza dorata d’un maturo e notturno autunno in dissolvenza, o il faticoso avanzamento di una primavera che con tutta la sua forza rinasce, perché ogni stagione ha bisogno di rigenerarsi, e ogni stagione ci riserva i propri pregiati gioielli, come le fasi dell’esistenza.

Si rivela poi, in questa nebbiolina greve e appena percepibile, carezzata dalle gocce pigre poggiatesi sull’obiettivo rivolto alla scena, una civiltà che svapora nel ricordo metafisico d’un sogno. Quel che vedi ora è già passato e in questa acquerugiola così lieve, che talvolta quasi non si ode, ma che c’è, ed altre volte invece imperversa con irruenza la scena, l’animo non si tormenta, e qui adagiamo lo sguardo sui vari passaggi cromatici, che corrono ad intermittenza tra luce ed ombra, tra immobilità e movimento, e siamo ininterrottamente risucchiati in quel vortice palpitante di vita.  A mezzo di questa pittura, Nazer, appaga completamente la sua funzione intellettiva, esprimendo a pieno, la mappa dell’intima realtà spirituale, come risultato di apprendimento di tutta una vita. L’alfabeto artistico di Fausto Nazer così genera incessantemente nuove connessioni, e traduce in gesto, quel sentimento che risiede puro nel cuore, e che tendenzialmente ascolta sempre più la volontà dell’Anima, piuttosto che della ragione.

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