Diritti e danari, l’ultimo scontro nell’Unione inquieta

Europe

In un’Europa che tenta di consolidare la propria posizione nella gestione della pandemia, due Stati tengono in scacco le sorti del Vecchio Continente, contrapponendo economia e Stato di diritto.

Una notizia negativa e dalle importanti conseguenze quella relativa al veto posto pochi giorni fa da Polonia e Ungheria all’intesa raggiunta, sotto l’egida della Commissione, da Parlamento e Consiglio dell’Unione Europea sul prossimo Bilancio 2021-2027.

Una decisione per certi aspetti storica ma prevedibile, forte anche del precedente affaire “Quantitative Easing” dello scorso maggio fra Corte Costituzionale tedesca e Banca Centrale Europea, che ne ha consolidato la legittimità.

Una presa di posizione, quella di Varsavia e Budapest, che potrebbe essere letale per l’applicazione a breve termine del Recovery Fund e sintomo di ulteriori e più profondi problemi in seno all’Unione.

Nascita e cifre

L’ultimo bilancio a lungo termine dell’Unione Europea è il risultato di una genesi complessa e di un’opera di mediazione protrattasi per diversi mesi, a partire dalla presentazione di una ipotesi di negoziato da parte del presidente del Consiglio europeo Charles Michel il 10 luglio scorso. A seguito delle posizioni concordi espresse dai leader degli Stati membri dell’Unione, a settembre il Consiglio UE ha approvato il mandato per negoziare con il Parlamento il regime delle condizionalità per la salvaguardia dell’esecutività del Bilancio.

Ricomposte le successive occasioni di scontro fra il  presidente del Parlamento europeo David Sassoli e la presidenza tedesca del Consiglio, il 5 novembre viene raggiunto un primo accordo operativo sulle condizionalità e, in seguito, anche un’intesa politica.

“Il nuovo meccanismo di condizionalità consentirà di tutelare maggiormente il bilancio dell’UE da violazioni dei principi dello Stato di diritto che conducono a un uso improprio dei fondi dell’UE” ha sottolineato Michael Clauß, rappresentante permanente della Germania presso l’Unione Europea.

L’ultima versione del bilancio prevede, per le annualità 2021-2027, un ammontare di fondi pari a 1.824,3 miliardi di euro, somma delle risorse del quadro finanziario pluriennale (1.074,3 miliardi), e del programma per la gestione e il supporto alla crescita economica nel post pandemia “Next GenerationEU”, meglio noto come “Recovery Fund”, di 750 miliardi.

L’obiettivo delle istituzioni europee è stato quello di salvaguardare tale entità di fondi scegliendo un criterio di riferimento per una sua corretta ripartizione fra gli Stati.

La difesa concordata da Parlamento e Consiglio opera in presenza di azioni che ostacolino la corretta gestione economico-finanziaria delle risorse, nonché di attività e comportamenti che minino l’effettività della Rule of Law e dei principi corollario della stessa.

Secondo il meccanismo in esame, in simili situazioni l’erogazione in capo agli Stati giudicati responsabili di tali comportamenti potrebbe essere ridotta, finanche impedita, su decisione favorevole del Consiglio assunta a maggioranza qualificata. Quasi una prefigurazione in chiave scaramantica di ciò che sarebbe di lì a poco successo.

La reazione di Visegrád

La concordata clausola del rispetto dello Stato di diritto ha scatenato la reazione dei due Paesi del Gruppo di Visegrád.

Polonia e Ungheria sono da molti considerate sostenitrici di discutibili politiche interne palesemente contrarie alla democrazia e ai principi stessi dell’Unione di cui fanno parte, in particolare in fatto di libertà di stampa, opinione e indipendenza del potere giudiziario.

Per continuare ad avere mano libera in politica interna e volendo evitare al contempo controlli stringenti sull’utilizzo dei fondi i due Stati hanno fatto sentire la loro voce, temendo una esclusione dalla destinazione delle risorse: Budapest e Varsavia hanno infatti posto il veto sulla incriminata clausola concordataria, facendo mancare la necessaria unanimità decisionale, facendo rinviare a ulteriori mediazioni e a data da destinarsi l’entrata in vigore del programma di bilancio europeo.

Conseguenze e motivazioni

La contromossa di Polonia e Ungheria è foriera di problemi che si espandono ben aldilà dei confini degli Stati in considerazione, determinando uno stallo e conseguente inazione che si riflettono su tutti i Paesi membri.

La decisione dei due Stati ha, di fatto, impedito l’applicazione del pacchetto di aiuti. L’entrata in vigore della misura economica è infatti subordinata all’adozione da parte del Parlamento e del Consiglio UE con il voto favorevole della totalità dei componenti.

Tutto ciò è il risultato dell’applicazione della regola dell’unanimità in ambito europeo, impiegata dal Consiglio UE proprio in materia di bilancio, risorse proprie e programmazione economico-finanziaria pluriennale.

Tale regola, se da un lato è nobilmente finalizzata a esprimere una quanto maggiore concordanza su questioni rilevanti per la vita dell’Unione, dall’altra diviene concretamente e troppo spesso arma di difesa della minoranza, contro la maggioranza. Ne risulta una dis-Unione in cui i pochi possono decidere le sorti di molti. O anche soltanto metterle in dubbio, come in questo caso.

La crisi istituzionale

L’atteggiamento dei due Stati, oltre a estremizzare ulteriormente le posizioni euroscettiche storicamente assunte da tali soggetti, è al contempo indice di una crisi che sta sferzando l’Unione.

Essa ha raggiunto il suo apice con il recente scontro fra i giudici di Karlsruhe e la BCE sulla legittimità dell’acquisto di debito pubblico da parte dell’istituzione di Francoforte.

L’impasse creatasi a seguito della sentenza della Corte tedesca ha infatti grandemente minato l’autorevolezza e la stessa effettività dei trattati, delle prassi e delle norme che regolano i rapporti fra Stati e Unione. Ciò a tutto vantaggio delle posizioni e delle pretese rivendicate dai singoli Paesi.

È stata proprio la miccia tedesca a far scoppiare il caso e rafforzare ancor più i desiderata dell’asse ungaro-polacco.

L’importanza dei diritti

A prescindere dalla posizione espressa dai singoli Stati in questa vicenda, un unico assunto rimane certo: non è tollerabile questa messa in discussione dei diritti e dei principi fondativi dell’Unione Europea attuata da Paesi membri, che hanno quindi scelto liberamente di fare proprie visioni comuni, analoghi presupposti di azione, raggiungimento di obiettivi. Stati che hanno voluto entrare a far parte di una comunità che, al contrario di altre esperienze, si basa non tanto sulla mera geografia o sulla storia, non solo sulla religione o sulla filosofia, nemmeno interamente sulla economia o sulla politica, quanto proprio sui diritti.

In nessun caso lo Stato di diritto dovrebbe essere posto alla base di logiche di opportunità e di ragionamenti economici. Il concetto di Rule of Law – l’idea che siano proprio diritti e regole a disciplinare e limitare l’esercizio dei poteri pubblici salvaguardando gli uomini dall’arbitrarietà, il suo portato e le conseguenze che da essa discendono hanno forgiato l’Europa.

L’Unione, questa volta, deve quindi alzare la voce, essere presente e agire di conseguenza: è in gioco la stessa identità che i padri fondatori hanno voluto delineare, parte essenziale di quell’acquis comunitario – l’insieme dei diritti, degli obblighi giuridici e degli obiettivi politici che accomunano e vincolano gli Stati membri dell’Unione europea e che devono essere accolti senza riserve dai paesi che vogliano entrare a farne parte – che permette a tutti noi di poter vivere, forse, un po’ meglio. 

Andrea Ferrarato

Classe 1995 - Maturità classica presso l’I.S.I.S. “Giosuè Carducci - Dante Alighieri” di Trieste, attuale studente di Giurisprudenza all’Università degli studi di Trieste. Ha maturato molteplici esperienze lavorative e di volontariato nel mondo del terzo settore e dell’associazionismo triestino. Nell’ambito culturale, di tutela e rilancio del patrimonio urbanistico e architettonico opera in qualità di socio e collaboratore museale presso il polo del Porto Vecchio di Trieste, con Italia Nostra. In tale veste ha partecipato all’organizzazione, all’allestimento e alla gestione di eventi, mostre e visite guidate, facendo parte, per la stessa associazione, del gruppo di supporto alla redazione del Masterplan 2018 del Porto Vecchio di Trieste. Ulteriore settore di interesse è quello storico, che coltiva in qualità di componente dell’Assemblea generale dei delegati, del Consiglio direttivo centrale e della Giunta di presidenza della Lega Nazionale di Trieste. Nell’ambito associazionistico degli esuli da Istria, Quarnero e Dalmazia ha ricoperto il ruolo di segretario dell’Associazione Famiglia Umaghese “San Pellegrino” con la quale ha contribuito alla realizzazione della stagione concertistica “Euterpe” e di ulteriori eventi culturali di matrice ricreativa, divulgativa e commemorativa. E’ inoltre cofondatore e segretario dell’”Associazione Liceo Dante 150 Trieste”, e responsabile del reparto business dell’”UniTS Racing Team”, progetto patrocinato dall’Università degli studi di Trieste. Già membro del Coordinamento giovanile provinciale triestino di FareAmbiente, partecipa infine, alla realizzazione della Biennale Internazionale Donna di Trieste con il supporto all’organizzazione, all’allestimento, alla gestione della stessa e curando l’organizzazione delle visite guidate. 

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