Vienna, il rischio dopo l’attentato

cupola islam

È lunedì sera, il 2 novembre 2020.
Intorno alle ore 20, vicino alla sinagoga di Stadttempel, in quel momento chiusa, un uomo inizia a sparare contro i passanti.
Si tratta delle ultime ore prima dell’inizio del nuovo lockdown per il Covid-19 e le strade del centro-città sono ancora molto trafficate. L’attentatore si sposta poi in almeno sei zone diverse del centro, prima che la polizia riesca a neutralizzare l’assalitore alle 20:09 davanti alla chiesa di San Ruprecht. Quattro sono le persone rimaste uccise e ventidue sono coloro che
sono rimasti feriti, sei sono in condizioni gravi.

Il centro di Vienna è stato riaperto parzialmente solo molte ore dopo l’attentato, quando la polizia ha permesso alle persone rimaste bloccate nei locali di ritornare a casa attraverso dei corridoi di sicurezza allestiti per l’occasione.
L’aggressore si chiamava Kujtim Fejzulai, 20 anni, nazionalità macedone e austriaca. Nel 2019 era stato condannato a 22 mesi di carcere per avere cercato di andare in Siria e unirsi allo Stato islamico, liberato poi in anticipo lo scorso dicembre.
Sia le forze dell’ordine sia il primo ministro Sebastian Kurz avevano parlato di un gruppo di attentatori. Al momento, però, le indagini sono ancora in corso, non è ancora chiaro, del resto, se si sia trattato di un attacco alla sinagoga o di una guerriglia urbana. La polizia ha ricevuto circa 20000 video che mostrano diversi momenti dell’attentato e sono tutti in fase di analisi. I molti testimoni si stanno ancora riprendendo dalle ferite o sono in shock post-traumatico per raccontare chiaramente lo svolgersi dei fatti.

Nel pomeriggio del martedì seguente l’Isis ha rivendicato l’attentato. Secondo alcune fonti, l’assassino era in contatto con una rete di jihadisti tedeschi.
Vienna rimane in stato di massima allerta. Sono state effettuate perquisizioni in diverse case e due persone sono state arrestate. Le autorità hanno invitato i cittadini a restare in casa, o, perlomeno, ad evitare il centro della città. Le scuole sono state chiuse e la comunità ebraica ha deciso la serrata di tutte le sue istituzioni e istituti.

Lo stato di allerta è tale che sono stati sensibilizzati i servizi di controllo ai valichi di frontiera con l’Austria, a cominciare da quelli al Brennero.
L’onda d’urto dell’evento ha fatto sì che Repubblica Ceca e Germania abbiano agito di conseguenza. L’Italia ha convocato il Comitato nazionale per l’ordine pubblico e la sicurezza, e il Regno Unito ha elevato l’allerta sul rischio di attacchi terroristici a grave, quarto livello su una scala di cinque.

L’Austria ha istituito tre giorni di lutto nazionale per la tragedia. Il cancelliere austriaco Sebastian Kurz, rivolgendosi alla nazione ha detto: ” … Noi dobbiamo essere coscienti che non c’è una battaglia fra cristiani e musulmani, o fra Austria e i migranti. No. Questa è una lotta fra le molte persone che credono nella pace e alcuni che auspicano la guerra. È una lotta fra civiltà e barbarie. E questa lotta l’affronteremo con ogni determinazione”.

Il terrorismo jihadista non è mai morto: si era decentralizzato in Africa e ora è ricomparso in Europa. Vienna, anzi l’Europa, si è trovata completamente impreparata. Ramazan Demir è un imam che è stato attivo nelle carceri austriache per sette anni e ha raccontato in un libro il risultato della sua esperienza.
Il testo è una denuncia della gravissima sottovalutazione del fenomeno dell’estremismo islamico nelle carceri austriache da parte del governo di Vienna. Demir spiega che a volte si tratta di prigionieri che si comportano correttamente inizialmente, poi, improvvisamente, parlano di voler
commettere omicidi.

Non è questa l’unica testimonianza: il timore della minaccia jihadista in Austria ha origini più remote nel tempo.
Secondo Lorenzo Vidino, tra i massimi esperti in terrorismo, uno dei fattori più incisivi è la presenza dei Fratelli Musulmani. Sembrerebbe che avessero avuto una qualche forma di contatto con vari apparati dello Stato austriaco, occasionali o permanenti e vanno dai livelli inferiori dell’apparato burocratico fino ai vertici del sistema. Costoro costituiscono una delle più importanti organizzazione islamiste internazionali di stampo politico.

Fondati nel 1928 in Egitto, oggi godono di protezione e finanziamento principalmente in Turchia e in Qatar. Come in ogni gruppo nel complesso ampio, esistono posizione radicali: infatti, in stati come Egitto, Russia, Siria, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrain, sono considerati fuori legge. Ad ogni modo, l’ambiente dei Fratelli Musulmani non è l’elemento realmente scatenante: infatti, non rappresenta un attore isolato.
Esistono altri movimenti riconducibili alle ideologie estremiste. Il salafismo, scuola di pensiero sunnita hanbalita, scuote l’Austria a partire dalle elezioni del 2016. La rete di collegamento al tempo faceva riferimento al predicatore servo Ebu Tejma, dal luglio del 2016 in prigione per una condanna a 20 anni di carcere per sostegno allo Stato Islamico e per essere stato mandante di un omicidio. Il Wahhabismo, movimento di riforma religiosa sviluppatosi alla metà del XVIII secolo nel Najd, regione nel centro della penisola Arabica, è stato popolarizzato oltre confine, riscuotendo una graduale legittimità nel mondo islamico grazie all’importante posizione geopolitica e religiosa di cui gode il regno saudita.

La preoccupazione relativa a questi movimenti è tale che, nel giugno 2018, l’Austria aveva annunciato l’espulsione di 62 imam e le relative famiglie e la chiusura di 7 moschee gestite dall’Unione Islamica Turco-Austriaca, il tutto partito dalla circolazione di alcune foto ritraenti bambini vestiti da soldato, scoperte poi essere relative ad una messinscena della battaglia di Gallipoli. L’estremismo non è portatore del pensiero di una corrente. Si tratta di una scorretta interpretazione, o, il più delle volte, di un asservire l’ideologia ai propri scopi.

Il fondamentalismo islamico non è islam.
Durante l’attentato alcuni dei poliziotti sono stati feriti. Sono stati tre ragazzi musulmani a soccorrerli: Osama Joda, di origini palestinesi, stava lavorando al McDonald vicino al luogo della sparatoria, quando un poliziotto cadde a terra ferito. Osama lo trascinò dietro una panchina e tentò di fermare l’emorragia.
Mikail Ozen e Recep Tayyip Gultekin sono invece i ragazzi che hanno tratto in salvo un’anziana dall’attentato e hanno portato il poliziotto verso l’ambulanza.

Il vero problema si pone quando sembra che sia lo stato a ragionare
in tal senso.
Dopo un vertice tra i ministri dell’interno e della cultura austriaca con il presidente della comunità di fede islamica, l’Austria ha chiuso tre moschee considerate “radicali”.
Sono state chiuse la moschea del monoteismo in Murlingergasse nel 12/o Distretto, quella in Haslingergasse nel 16/o Distretto e quella dell’associazione Melit Ibrahim nel 16/o Distretto. Sembrerebbe che le tre moschee siano considerate legate all’Islam più radicale.

Questo rappresenta un campanello di allarme in una cultura che sembra più spesso voler ritornare alla volontà di coalizzare l’opinione pubblica attraverso un odio o la figura di un “nemico comune”.
Rimane dunque da chiarire come uno stato possa definire dei criteri lucidi e analitici per identificare come una moschea – un luogo di culto e una comunità quindi – possa essere più o meno “radicale”.

Diventa rischiosa, e soprattutto preoccupante, una situazione in cui in Europa si inizi a giudicare i cittadini sulla base delle loro presunte ideologie e sui sospetti, piuttosto che sulle loro azioni.

È tragicamente familiare il nome Charlie Hebdo, quasi sconosciuto invece Hamed Merrabet, poliziotto francese prima vittima dei terroristi nell’attentato del 2015.
Un essere umano musulmano morto per la protezione di chi faceva satira sull’Islam, lasciando moglie e figli. Lui e i terroristi, persone con teoricamente la stessa fede, ma con una scelta di agire completamente diversa.

L’attentato di Vienna non solo nella sua tragicità grava su un Europa in crisi ormai sotto tutti i punti di vista, ma rischia di portare di nuovo alla luce una questione che potrebbe trovare nella situazione d’instabilità attuale un fertile terreno dove attecchire e fare danni.
Il punto resta sempre lo stesso: non esistono musulmani buoni o cattivi.
Esistono persone come tante altre, alcune di fede musulmana.
Alcune scelgono di agire da terroristi, e questo non è un dogma della fede, è una scelta di libero arbitrio.

Photocredit: Shamsher Ali Khan Niazi from Pixabay

Rosario Pullano

Rosario Pullano è studente del Politecnico di Torino, dove frequenta il corso di laurea magistrale Physics of complex systems, percorso internazionale interateneo tra icpt, sissa e alcune università di Parigi. Nasce a Catanzaro l’8 febbraio 1997. All’età di 5 anni si trasferisce con la famiglia a Trieste. Si forma presso il Liceo Classico “Dante Alighieri” e, successivamente, studia all’università “La Sapienza” di Roma, dove consegue la laurea triennale in fisica. Si trasferisce a Bologna un anno, dove completa il corso di alta formazione in finanza matematica. Il 21 novembre 2016 è tra i vincitori nella categoria “Giovani Promesse” nella Sezione Poesia singola del “Concorso letterario internazionale Michelangelo Buonarroti”. Pubblica la raccolta di poesie “Memorie del futuro: sentimenti” nel 2019 con la casa editrice EuropaEdizioni. Ad oggi, continua a scrivere in ambito creativo e in ambito giornalistico e segue le sue ispirazioni imprenditoriali occupandosi di progetti di start up relativi al mondo dell'innovazione dei servizi digitali. 

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