La rinascita dell’umanesimo

Forse tutti i medici, a cominciare da Ippocrate, si credono immortali.Può darsi che sia una forma di scaramanzia: in realtà è soltanto paura, anzi, una “fottuta paura”. Noi sappiamo benissimo che un giorno o l’altro ci può arrivare una “tegola in testa”: può essere un ictus oppure un infarto o un cancro. Noi medici sappiamo abbastanza bene dove sono i problemi e proprio per questo cerchiamo di essere vaccinati contro ogni possibile problema vero. E come è noto, chi è abituato a curare gli altri ha enormi difficoltà ad accettare il ruolo di paziente.

Ma io come mi vedo, come mi sento oggi, diciassette anni dopo l’ictus? E come mi vedono gli altri, gli amici, i colleghi, le persone che incontro? Certamente ho perduto parte delle mie libertà. Per esempio, non poter leggere e scrivere autonomamente è un castigo insuperabile. Nel destino della mia vita, dopo anni di battaglia contro il cancro, era scritto che bisognava combattere anche per un’altra medicina: quella in cui il medico è davvero vicino al malato e quella di una sanità in cui il paziente conta più delle cure.

La medicina è nettamente cambiata nel corso dei secoli: da un certo punto di vista sono cambiate anzitutto le malattie. Oggi il medico ha a disposizione un vasto campo di trattamenti farmacologici e quelli chirurgici si fanno più audaci. Avanzamenti tecnologici importanti che però hanno creato miti e illusioni: al medico il mito di essere diventato onnipotente, al pubblico l’illusione che per ogni malattia ci sia un rimedio per guarire, e per guarire subito.

La medicina moderna tuttavia deve tornare ad essere una medicina umana: è questo che dobbiamo insegnare a tutti coloro che oggi affollano le aule universitarie per diventare medici, infermieri, fisioterapisti, logoterapisti, riabilitatoti. Nel corso dei loro studi, ma anche insegnandolo di persona durante il loro periodo di tirocinio e preparazione. E lo dobbiamo insegnare sempre: negli ambulatori, nelle sale di visita, al letto del paziente. Con l’esempio e con i gesti quotidiani della nostra professione: non la compassione per il malato grave, ma l’empatia con tutti i malati. Ma cosa si intende per empatia? L’emozione quasi magica del medico e la sua capacità di dimostrare una genuina partecipazione alle reazioni emotive dei pazienti. Il medico deve imparare a pensare come fa un malato.

Non dobbiamo solo saper comunicare nel modo adeguato con i nostri pazienti. Dobbiamo anche saper informare correttamente i professionisti dell’informazione, cioè coloro che diffonderanno al pubblico i risultati delle nostre indagini e delle nostre ricerche. Evitando di far apparire risolti tutti i grandi problemi delle malattie croniche, evitando gli annunci sensazionali di ricerche di laboratorio per le quali non ci sono ancora riscontri clinici, evitando gli annunci miracolistici di guarigioni improvvise.

Ma qual è il compito del medico? L’antico detto francese, Curare spesso, guarire qualche volta, consolare sempre, riassume ancora oggi la consegna da far propria di fronte al paziente. Il medico è colui che soccorre il malato, prevenendo o ritardando una morte prematura, non soltanto chi riesce a guarirlo. Di conseguenza il medico chiamato a curare una persona sofferente, quale che sia la causa della malattia, rimediabile o irreparabile, non deve sentirsi obbligato ad assicurare la guarigione definitiva perché questo fa parte dell’immagine di successo. Il suo compito consiste piuttosto nell’impegnarsi sempre, con scienza e coscienza, nel dare il meglio di se stesso, del suo sapere e del suo saper fare. Se poi tanto prodigarsi sfocerà nella guarigione, tanto meglio: per il paziente e per lui. Ma nell’attuazione di questo mandato etico il medico conserva il suo ruolo tecnico e il carisma umano, cioè la sua dignità professionale, indipendentemente dal risultato finale.

Oggi come non mai il rapporto medico-paziente è quindi la relazione dinamica tra due persone in cui l’esperto soccorre chi sta male. Dal momento che le terapie mediche, chirurgiche e radioterapiche poggiano su due pilastri – la conoscenza scientifica e l’umanità – il medico è l’esperto tenuto a mettere a disposizione del paziente il proprio sapere e la propria abilità sotto forma di intervento attivo e di comprensione umana. Come dire che, mentre combatte con il bisturi, con i farmaci o con le radiazioni contro il male fisico, deve anche aiutare il malato a “riconoscere il senso della sua malattia”. Quindi, chi è il buon medico? Colui che merita la fiducia del paziente. È quindi indispensabile bilanciare la scienza della salute con un forte recupero dell’arte di curare. L’arte della medicina è una combinazione di conoscenza, intuito, giudizio e magia. La medicina è un’arte che non ha mai fine

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