L’UNIVERSO SOMMERSO DELLE PATOLOGIE CHE IN POCHISSIMI CONOSCONO

Malattie rare: patologie spesso altamente invalidanti, e che compromettono molto la qualità della vita. Eppure per svariati motivi (tra cui la poca convenienza dei colossi farmaceutici a investire in ricerca e sviluppo di cure adeguate), non pare esserci ancora il necessario interesse su di esse. A fare quadrato per promuovere informazione, ricerca e impegno sul problema, ci sono soprattutto le associazioni di pazienti e familiari. Ne parliamo col Dottor Orfeo Mazzella, Presidente del Forum Campano di associazioni di Malattie Rare.

Quale ruolo hanno avuto le associazioni di pazienti nel campo delle malattie rare?

Le associazioni grandi e piccole a carattere nazionale e regionale, hanno permesso alla società civile di acquisire consapevolezza dell’eterogeneità e della complessità delle Malattie Rare e dei problemi che comportano. Hanno contribuito a modificare i rapporti tra istituzioni (centrali, regionali e locali) e comunità dei malati, in alcuni casi rimuovendo molte barriere esistenti. Hanno avvicinato il cittadino alle istituzioni.

E’ possibile parlare di un coinvolgimento del cittadino nelle scelte che riguardano la salute?

Le origini della partecipazione del cittadino alle scelte che riguardano la salute sono abbastanza datate. Possiamo farle risalire alla Dichiarazione di Alma-Ata del 1978: “Le popolazioni hanno il diritto e il dovere di partecipare, individualmente e collettivamente, alla programmazione ed alla realizzazione della loro assistenza sanitaria” (Dichiarazione di Alma Ata, USSR 6-12 settembre 1978).

Cos’è successo da allora?

Non sembra sia cambiato molto nella Sanità pubblica. Il coinvolgimento rende i cittadini/pazienti più consapevoli e capaci, più competenti. Migliora l’aderenza alle linee guida ed i servizi erogati, facendo emergere risorse e criticità. Contribuisce ad innalzare i livelli di assistenza grazie all’attenzione dei medici rivolta alle esigenze dei pazienti. Come sappiamo, un elemento critico è l’ascolto. Ovviamente, le ricadute positive riguardano tutta la comunità: i cittadini/pazienti responsabilizzati nelle politiche che li riguardano non si sentono in una posizione passiva. Possono, inoltre, attivarsi per cambiare una situazione esercitando una pressione dall’esterno, sostenendo un cambiamento legislativo o organizzativo, responsabilizzando e sensibilizzando l’opinione pubblica su temi importanti.

E per ciò che riguarda la partecipazione dei pazienti e dei cittadini in Europa, in particolare nel campo delle Malattie Rare?

L’Europa ha fatto la sua parte varando le Raccomandazione del Consiglio Europeo dell’8 giugno 2009, seguito di un’Azione nel settore delle Malattie Rare (2009/C 151/02). Ha ripreso le conclusioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che hanno definito la responsabilizzazione del paziente come un “prerequisito per la salute”. Un’attenta lettura di queste Raccomandazioni sulle Malattie Rare, evidenzia l’importanza della consultazione dei pazienti e dei loro rappresentanti nelle politiche di settore e dell’accesso dei pazienti alle informazioni aggiornate. Non meno significativa la promozione delle attività svolte dalle organizzazioni di pazienti, quali sensibilizzazione, rafforzamento delle capacità e formazione, scambio di informazioni ed istituzione delle migliori prassi, costituzione di reti e coinvolgimento dei pazienti isolati. Va, poi, menzionata EURORDIS-Rare Dise- ases, struttura no profit con sede a Parigi Barcellona e Bruxelles: raggruppa oltre 700 associazioni di pazienti affetti da Malattie Rare provenienti da più di 60 Paesi che collaborano per migliorare la vita dei 30 milioni di pazienti europei affetti da una Malattia Rara. Mettendo in contatto malati, famiglie e associazioni di pazienti, riunendo, così, tutte le parti interessate e mobilitando l’intera comunità delle Malattie Rare, EURORDIS amplifica la voce dei pazienti e contribuisce a guidare la ricerca, le politiche e i servizi erogati a favore dei pazienti.

E in Italia?

Gli ultimi Piani Sanitari Nazionali hanno sottolineato la necessità di soddisfare una domanda crescente di assistenza di natura diversa, basata su strategie che migliorino il rapporto operatore sanitario – paziente, il vissuto psicologico e l’impatto sociale della malattia, individuino una linea di sviluppo che identifichi la famiglia quale nodo della rete e coinvolgano il no-profit come attore del processo decisionale, cercando, al tempo stesso, di fornirgli strumenti per fargli acquisire cultura manageriale ed etica che lo porti ad operare con affidabilità, chiarezza ed efficienza.

Il ruolo delle associazioni dei pazienti di Malattie Rare è stato fondamentale nel nostro Paese?

Direi proprio di si, dalle centinaia di piccole associazioni locali e regionali, composte, per lo più, da familiari di persone affette da Malattie Rare a quelle a carattere federativo nazionale, come Uniamo. L’aumento della consapevolezza e della capacità di autodeterminazione del paziente è indispensabile per le Malattie Rare, le quali, oltre alla cronicità, condividono una pluralità di bisogni collegati alla difficoltà del loro trattamento e dal fatto che la scarsa prevalenza impone sforzi coordinati per migliorarne la conoscenza e l’assistenza.

Nel settore delle Malattie Rare, i pazienti e le loro organizzazioni hanno raggiunto un livello tra i più avanzati di competenza sulle proprie vite al fine di cambiare il proprio ambiente sociale epolitico per migliorare l’equità e la qualità di vita. E’ un modello per altri gruppi di patologie.

Ci sono associazioni di pazienti attive in Italia?

Le Malattia Rare “coperte” da almeno un’associazione di pazienti presente e attiva sul territorio italiano, secondo i dati del sito di Orphanet, sono 332. Ma è un dato da rivedere al rialzo. Almeno per la Campania, il dato va sicuramente aggiornato. Sono almeno il doppio le associazioni di Malattie Rare con sede o, almeno, un referente nella nostra Regione. Certo, esiste un problema di emersione da una realtà locale ad una almeno regionale di molte associazioni. Tuttavia, con la nascita, in molte Regioni, di realtà aggregative, si sta invertendo questa tendenza all’atomizzazione delle risorse. Diverse Regioni hanno costituito, accanto al Centro di Coordinamento regionale per le Malattie Rare, ulteriori strumenti di supporto su base regionale: tavoli tecnici, coordinamenti, forum riconosciuti come organismi di partecipazione a livello regionale sulle Malattie Rare.

Il Forum di cui è portavoce è stato creato per garantire il coordinamento regionale tra associazioni?

Esattamente. Le politiche sanitarie e sociali che riguardano le persone con malattie rare sono anch’esse “materia regionale”. Vanno, quindi, create forme di cooperazione paritetiche per consentire che i processi decisionali, la definizione degli interventi, la programmazione dei servizi e la loro valutazione possano avvalersi del bagaglio di conoscenza e competenza, derivato dall’esperienza, dei pazienti e dei loro familiari. Riunire tante realtà eterogenee, attorno ad un tavolo per assumere decisioni che ci riguardano direttamente non è facile come potrebbe apparire. Costa molta fatica. Ma è un grandissimo esercizio di Democrazia partecipativa applicata che sta già maturando frutti: in Campania, dalla nostra nascita, avvenuta ad aprile 2016, abbiamo coadiuvato con successo le istituzioni regionali in tema di tutela della salute e nella stesura del primo Piano Regionale Malattie Rare.

Sta cambiando qualcosa dunque.

Le priorità e le modalità di assistenza sono storicamente determinate dai sanitari e dalle autorità sanitarie. Tuttavia, molti studi mostrano che pazienti, sanitari e autorità possono elaborare nozioni diverse sull’assistenza. Migliorare l’assistenza ai malati, in particolare i Malati Rari, rendendola più vicina ai loro bisogni è una sfida possibile, se si condividono responsabilità e potere decisionale con il cittadino / paziente.


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