CHI HA PAURA DELL’OPERAIO ROBOT?

Davvero i robot ci porteranno via il lavoro? Cos’è questa industria 4.0? E’ corretto esserne intimoriti? Per rispondere a tutte queste domande bisogna partire dal presupposto che, quelli d’oggi, non sono tempi floridi per il mercato del lavoro.

Ogni novità, inoltre, in grado di penalizzare ulteriormente i lavoratori, facendo aumentare disoccupazione e precariato, non può che essere accolta con una certa diffidenza. Per questi motivi, anche la “quarta rivoluzione industriale”, che potrebbe ulteriormente sconvolgere gli equilibri del mondo del lavoro in modo radicale e incontrovertibile, rappresenta uno dei temi caldi di questo 2017 ed è plausibile supporre che se ne parlerà ancora a lungo. In effetti, stando al recente studio pubblicato da Daron Acemoglu, del Mit, e Pascual Restrepo della Boston University, negli Stati Uniti, con la totale automazione dei processi produttivi, soprattutto laddove il lavoro è ripetitivo e di routine, ci si potrebbe aspettare una perdita di posti di lavoro compresa fra le 360.000 e le 670.000 unità entro il 2025. Sarebbero moltissime le professionalità che, a causa della produzione industriale sempre più automatizzata e interconnessa, potrebbero scomparire.

Se non fosse che i tempi del luddismo sono oramai molto lontani, ci si potrebbe anche aspettare un qualche tipo di reazione da parte di quei lavoratori, i cosiddetti “blue collar”, che verrebbero maggiormente colpiti da questo processo di robotizzazione del lavoro.

L’introduzione dei robot industriali è, però, in atto già da diversi anni in svariate parti del globo. Questa trasformazione digitale dell’industria, inoltre, può essere vista anche come un’opportunità per la crescita e per lo sviluppo economico. Anche l’Italia sta facendo la sua parte e non è per niente in ritardo rispetto agli standard europei. Anzi, a ben guardare i dati, il Belpaese è il secondo mercato europeo del settore. Soltanto nel primo trimestre del 2017 la domanda dei robot industriali è aumentata del 13%. Fino ad oggi, dunque, in uno scenario già segnato dalla mancanza di lavoro e nonostante il continuo ingresso di nuovi “robot lavoratori”, i rapporti di produzione tra datore di lavoro e lavoratore non sono mutati significativamente come sarebbe stato lecito attendersi.

Questo perché, a fronte di una perdita di posti di lavoro derivante dall’introduzione dei robot che svolgono le mansioni più standardizzate e ripetitive, c’è stata richiesta di nuove figure professionali orientate all’innovazione tecnologica ed all’office automation. In pratica, le nuove tecnologie richiedono la formazione di lavoratori tecnicamente preparati e in grado di gestire i nuovi sistemi automatizzati, non più coinvolti, quindi, in prima persona nei processi di produzione.

Ecco, allora, che ci sarà bisogno di persone in grado di raccogliere i dati digitali. Tutte le macchine sviluppano la propria potenza attorno ai dati e alla capacità di calcolo: big data, cloud, IoT, dati aperti ecc… Chiaramente, oltre alla raccolta sarà sempre più fondamentale anche la capacità di analizzare e interpretare correttamente i dati estratti, i cosiddetti “analytics”, così da farli fruttare e riuscire a ottimizzare il lavoro. Anche il rapporto fra uomo e macchina è destinato ad evolversi col passare del tempo e sarà richiesta sempre più dimestichezza con linguaggi di programmazione, interfacce digitali e tutto ciò che concerne la gestione di risorse fisiche e virtuali.

In sostanza, non è lecito attendersi una vera e propria sostituzione di squadre di operai con nuovi robot, ma un cambiamento graduale, in cui determinate tipologie di lavoratori non saranno più necessarie e, al contempo, si affermeranno nuove figure professionali sempre più attente alla produttività e all’ottimizzazione del lavoro. Le nuove tecnologie, i robot operai e il mercato cyber-fisico necessiteranno per forza di nuove figure professionali tecnicamente qualificate nella gestione delle nuove realtà produttive ed in grado di favorire la collaborazione fra uomini, macchine e sistemi. Se il saldo dei posti di lavoro creati rispetto a quelli che andranno persi sarà positivo non è facile da sapere. Tuttavia, esistono degli accorgimenti che certamente andranno presi per non farsi trovare impreparati quando il fenomeno dell’industria 4.0 entrerà nel suo pieno sviluppo.

Da questo punto di vista, il “Piano nazionale industria 4.0”, presentato a settembre del 2016 dal Governo italiano, pare tenere conto delle trasformazioni che il mondo del lavoro dovrà affrontare per via del continuo processo di innovazione tecnologica in atto. In particolare, gli interventi finalizzati a promuovere lo sviluppo delle nuove tecnologie, rilanciare gli investimenti industriali e favorire la nuova imprenditorialità innovativa sembrano costituire dei piccoli, buoni passi in avanti per consentire alle imprese italiane di adeguarsi e aderire integralmente alla quarta rivoluzione industriale.

Ciò che il futuro riserverà concretamente non è possibile sapere con certezza. Tuttavia, per rispondere alle domande poste all’inizio di questo articolo, è ragionevole prevedere che, soprattutto in certi ambiti, si perderanno posti di lavoro, ma se ne creeranno altri a maggiore valore aggiunto. Inutile, quindi, lasciarsi andare a catastrofismi o allarmismi privi di fondamento. Molto più sensato sarebbe avviare subito dei programmi di formazione continua per fornire ai lavoratori che ne abbiano la necessità le giuste competenze per affrontare un mercato del lavoro in continua evoluzione.

Andrea Tomasella

Laureato in Sociologia per il Territorio e lo Sviluppo all'Università di Trieste, è referente del Gruppo Comunicazione del Punto Giovani di Gorizia. Scrive per la webzine di arte underground "Culto Underground" e attraverso il suo blog si racconta ed esprime opinioni (sempre personali). 

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