Global warming, bivi di scelte

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Gli esperimenti

Uno studio pubblicato sulla rivista Climate Dynamics da parte degli esperti canadesi della McGill University insieme all’Alfred-Wegener-Institut tedesco, basandosi sull’analisi delle serie storiche del clima ed elaborando una previsione dell’andamento della temperatura fino al 2100, sostiene vi sia la possibilità concreta di un punto di ritorno per il processo del riscaldamento climatico. Come dire, possiamo forse fare ancora qualcosa come specie umana per mitigare l’impatto disastroso di un aumento sconsiderato della temperatura del pianeta.

In realtà la ricerca segnala come il picco di aumento delle temperature potrebbe verificarsi ben prima della fatidica data del 2052, ovvero intorno alla metà degli anni Trenta di questo secolo, lasciando però aperta la possibilità che il paventato incremento di 1.5 gradi – soglia limite – non venga raggiunto, restando complessivamente su valori più bassi.

Vi è poco di cui gioire. Già sappiamo che la velocità con cui aumentano le temperature medie del pianeta supera già di gran lunga la capacità di adattamento permessa dall’evoluzione. Uno studio pubblicato su Proceedings of the National Academy of Science sui comportamenti dei pesci zebra delle aree tropicali asiatiche al cambiamento della temperatura dell’acqua ad esempio ha indagato la loro capacità di resistere in acque più calde del normale. La prospettiva non è delle migliori: l’adattamento della specie non è riuscito a tenere il passo dell’aumento attuale delle temperature.

Diversi “sintomi” della malattia planetaria

Le conseguenze del pessimo stato di salute del pianeta sono note: giusto per richiamare conosciuti esiti macroscopici, lo scioglimento del permafrost in Siberia potrebbe diventare rapidamente una tragedia ambientale a causa del rilascio nell’atmosfera di quantitativi abnormi di gas metano, moltiplicando l’effetto serra. Si intensificano i fenomeni di inondazioni e alluvioni. Gli sforzi per contenere il buco dell’ozono sopra l’emisfero australe stanno portando a qualche successo, ma la situazione deve essere continuamente monitorata.

Abbiamo quindi a che fare con le ricadute nefaste del nostro modo di abitare la Terra, del nostro ricorrere a combustibili fossili senza soppesarne appieno le conseguenze in termini di sostenibilità ambientale.

I valori di anidride carbonica nell’atmosfera a esempio vanno assolutamente ricalibrati, e questo può essere fatto se acceleriamo i processi di transizione energetica verso fonti pulite. Certo, l’Unione Europea intende ridurre progressivamente le emissioni di CO2 fino all’80% entro il 2050. La Germania solo pochi anni fa ha chiuso la sua ultima miniera di carbone, anche se in trasparenza possiamo osservare in questo un tornaconto economico, visto che l’iniziativa di decarbonizzazione non ha preso le mosse solo da una volontà ecologica quanto dal fatto che importare carbone da Colombia, Australia e SudAfrica costa decisamente meno.

Un allarme recente riguarda la corrente del Golfo, la quale a causa del riscaldamento globale sta rallentando in modo impressionante: mai così debole da 1000 anni. Sappiamo come questo sistema complesso di flussi di acqua svolga un ruolo chiave nella regolazione del clima in Europa e più in generale nell’emisfero nord del pianeta: l’insieme delle correnti nell’Oceano Atlantico spostano l’acqua salina calda superficiale verso Nord, mentre l’acqua fredda in profondità si muove dalla parte opposta, redistribuendo il calore.

Quello che stiamo ora notando riguarda l’aumento della temperatura delle acque e lo scioglimento dei ghiacciai artici in Groenlandia, che modificano la salinità dell’acqua marina. I flussi delle correnti vengono alterati e rallentati. Se questo dovesse accadere, gli effetti sul clima potrebbero essere devastanti. L’emisfero nord della Terra potrebbe piombare in una sorta di era glaciale innescando eventi climatici estremi in tutto il globo, tra cui un improvviso aumento del livello del mare a livello locale nonché inondazioni, cambiamenti nella posizione delle principali piogge e delle zone climatiche aride.

Le agenzie spaziali europee e statunitensi hanno sviluppato negli ultimi mesi una sorveglianza satellitare per misurare l’innalzamento del livello del mare e di monitorare continuamente i cambiamenti climatici: si tratta di entrare in possesso di informazioni cruciali per gestire al meglio i rischi del cambiamento climatico.

La rinaturalizzazione

La migliore risposta difensiva resta il ripristino delle foreste: uno studio pubblicato su Science, coordinato dal Crowther Lab del Politecnico federale di Zurigo, ha persino quantificato quanti alberi in più potrebbero essere piantati sulla Terra, tenendo conto delle aree disponibili. In occasione della Giornata Nazionale degli alberi, il 21 novembre, Selectra ha studiato i consumi di gas e luce di una famiglia italiana media, considerandone anche il relativo impatto ambientale. Ne è risultato che una famiglia di quattro persone produce circa 3,210 kg di CO2 l’anno: una quantità che richiederebbe di essere compensata con un bosco di 160 alberi.

Legambiente ha lanciato un progetto su scala europea per la riforestazione urbana contro l’inquinamento e il riscaldamento globale, mentre è in procinto di partire anche un altro progetto cofinanziato dall’Unione Europea a cui partecipano quindici organizzazioni di otto diversi paesi europei nell’ambito del Programma Life: il progetto Life Terra ha l’obiettivo di piantare nei prossimi 5 anni fino a 500 milioni di alberi con il coinvolgimento dei cittadini e del mondo della scuola.

Non solo antropico: l’ipotesi dei cicli naturali

Eppure, a fronte di questa situazione, c’è l’ipotesi che gli scenari di previsione non siano del tutto affidabili in quanto basati su modelli climatici che non considerano con il giusto peso le variabili naturali: secondo questo punto di vista, le responsabilità attribuite al fattore antropico sarebbero state sovrastimate. Il clima dipende da fattore interni al sistema Terra, come possono essere per esempio i fenomeni vulcanici, e da elementi astronomici. I modelli attuali tengono conto solo dell’irradianza solare, la quale contribuisce invero solo in maniera esigua ai cambiamenti climatici.

Sarebbe d’altro canto da considerare che il Sole, oltre alla luce, emette un forte campo magnetico incidendo sui raggi cosmici. Quest’ultimi hanno ripercussione sulla nuvolosità e sulla quantità di luce che giunge sulla superficie terrestre. In aggiunta, sarebbe necessario modellizzare anche gli effetti lunari: oltre alle maree, esistono cicli di più ampio respiro che influiscono sugli oceani e sul trasferimento di calore dall’equatore ai poli.

Inoltre, sono da discutere le analisi sui dati climatici degli ultimi 1000 anni. Secondo gli studi, il pianeta sarebbe stato caratterizzato da una temperatura costante prima del 1900 e successivamente da un riscaldamento anomalo. Questo però è in contrasto con quanto sostenuto da storici e geologi, secondo i quali i primi secoli del millennio dovevano essere piuttosto caldi, al contrario dei secoli dal 1400 al 1800, ritenuti invece molto freddi.

È un dato di fatto che negli ultimi 400.000 anni si siano alternati sul nostro pianeta periodi caldi e periodi freddi, ossia che in generale il clima presenti dei cicli periodici naturali, i quali però i modelli attuali non riescono a spiegare. Per cui è ragionevole supporre che il sistema sia modulato da cicli astronomici. Si potrebbe suggerire che le naturali oscillazioni del clima sarebbero correlate a fenomeni periodici del sistema solare indotti dal movimento dei pianeti.

La maggiore implicazione di questa teoria è la possibilità di fare previsioni sugli andamenti futuri. Secondo i calcoli più recenti – certo resta difficile quantificare con esattezza la componente antropica – l’uomo contribuirebbe secondo questa prospettiva per un massimo del 50% al riscaldamento globale, il resto è responsabilità di fenomeni astronomici.

I bivi di scelta

Almeno per quanto riguardo il contributo del fattore umano, il dubbio che rimane è se questo tipo di provvedimento produrrà risultati tangibili in grado di invertire il trend globale prima che sia troppo tardi: appare chiaro ormai che la civiltà sta affrontando le gravi conseguenze della scelta di non porre un freno all’eccessivo incremento demografico e all’uso irresponsabile dei combustibili fossili. Il riscaldamento globale e il cambiamento climatico solo da pochissimi anni, al di là di meritevoli quanto inascoltati slanci ecologici, riesce a far breccia nella coscienza collettiva del pianeta.

Non va sottovalutato l’approccio economista, per porre chiarezza in queste tematiche: la stessa visione globale del problema energetico e delle sue ricadute ambientali è stata possibile grazie al sistema di ripartizione del mercato petrolifero su scala internazionale. Tra il basso costo del petrolio e la manodopera locale sempre disponibile, il petrolio ha consentito di produrre elettricità in ogni parte del pianeta, costringendo però le popolazioni locali e gli ecosistemi ad adattarsi ai bisogni e comportamenti tecnologici propri della cultura occidentale, principale responsabile dell’inquinamento.

Il prezzo artatamente contenuto del petrolio ha reso possibile la stessa cultura della globalizzazione, motore economico alimentato a combustibili fossili.

L’etica dell’ecologia in qualche modo si trova di fronte ad un bivio: di certo cercare una soluzione al riscaldamento globale senza affrontare gli elementi che hanno portato alla sua origine equivale a trattare una malattia per i suoi sintomi e non per le sue cause.

È necessaria una sinergia tra la ricerca scientifica, che può analizzare e proporre delle soluzioni di immediato beneficio a ciò che accade, e la ricerca sociale-economica, perché quello che viviamo oggi è il risultato di cultura che vede il profitto come scopo di un’idea e non come conseguenza onesta della stessa: è la concezione del mondo e del rapporto uomo-mondo ad aver bisogno di un’alternativa.

Rosario Pullano

Rosario Pullano è studente del Politecnico di Torino, dove frequenta il corso di laurea magistrale Physics of complex systems, percorso internazionale interateneo tra icpt, sissa e alcune università di Parigi. Nasce a Catanzaro l’8 febbraio 1997. All’età di 5 anni si trasferisce con la famiglia a Trieste. Si forma presso il Liceo Classico “Dante Alighieri” e, successivamente, studia all’università “La Sapienza” di Roma, dove consegue la laurea triennale in fisica. Si trasferisce a Bologna un anno, dove completa il corso di alta formazione in finanza matematica. Il 21 novembre 2016 è tra i vincitori nella categoria “Giovani Promesse” nella Sezione Poesia singola del “Concorso letterario internazionale Michelangelo Buonarroti”. Pubblica la raccolta di poesie “Memorie del futuro: sentimenti” nel 2019 con la casa editrice EuropaEdizioni. Ad oggi, continua a scrivere in ambito creativo e in ambito giornalistico e segue le sue ispirazioni imprenditoriali occupandosi di progetti di start up relativi al mondo dell'innovazione dei servizi digitali. 

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