AUTODIFESA FEMMINILE: L’ESTREMO BALUARDO

DAI FEMMINICIDI AGLI STUPRI ETNICI DI MASSA, ALLA VIOLENZA DENTRO LE MURA DOMESTICHE: LA DONNA ANCORA AL CENTRO DEL BERSAGLIO. LA PRATICA DELL'AUTODIFESA PUÒ ESSERE UNA RISPOSTA VALIDA ALLE ESTREME CONSEGUENZE DELLE AGGRESSIONI FISICHE, EVITANDO, NELLA MAGGIOR PARTE DEI CASI, DANNI GRAVISSIMI. E SOPRATTUTTO CREANDO AUTOSTIMA E NUOVE COSCIENZA DI SÈ

Violenza sulle donne: davvero oggi è esplosa in maniera così esponenziale “per fino” nel cosiddetto “occidente civilizzato”? O semplicemente oggi i media, i social e la ipercapillare informazione ci permettono di sapere di più rispetto al passato?

Comunque sia, la piaga, enorme e infetta, rimane. E va combattuta con ogni mezzo. A livello internazionale, ad esempio, anche @uxilia sta cercando i mezzi per sviluppare programmi di difesa personale femminile destinati alle vittime di stupro etnico e di guerra negli scenari delle zone a rischio su scala mondiale. E’ da tempo “in fieri” un progetto di formazione di giovani provenienti dalle aree di conflitto che una volta tornate in patria potranno diffondere le tecniche basi dell’autodifesa a loro connazionali vittime di violenze e stupri di massa.

Ma spesso la violenza si nasconde anche dentro le mura domestiche più vicine a noi. Allora può essere utile prepararsi alle evenienze peggiori conoscendo ogni proprio punto di forza e di debolezza e quelli del nemico. L’autodifesa femminile moderna poggia le sue basi su questi principi. Correttamente insegnata ed appresa, può riuscire ad offrire un bagaglio di preparazione tecnica, teorica e pratica, idoneo a preparare qualsiasi donna ad affrontare situazioni critiche con la consapevolezza di poter riuscire a sfruttare efficacemente ogni possibile via di uscita. E, in casi estremi, di poter opporre ad un assalitore una difesa efficace in grado, quantomeno, di minimizzare danni altrimenti gravissimi. Se non, addirittura, di neutralizzare l’aggressore. Ovviamente, l’optimum sarebbe riuscire ad evitare o disinnescare il pericolo sul nascere, ancor prima che diventi un’evenienza concreta e “fisica”. È per questo che i moderni corsi di autodifesa femminile propongono alle praticanti anzitutto una serie di insegnamenti teorici essenziali per evitare di trovarsi in situazioni senza via d’uscita. Dal non avventurarsi da sole in zone sconosciute o poco frequentate, a come camminare per avere sempre a portata “di voce” un punto sicuro, al tenere sempre pronto il cellulare, se la zona o la situazione sono insicure, con un numero di emergenza pronto ad essere chiamato e il vivavoce inserito. Poi, ovviamente, l’analisi critica del rischio, inquadrare il tipo di minaccia che si sta affrontando per sapere senza esitazione di che livello dovrà essere la reazione. Imparare alcune regole base solo apparentemente banali, ma fondamentali.

Come quella che la difesa personale è – appunto – “personale” e non ha senso esporsi ad un rischio per difendere gioielli, il telefonino o la propria macchina. Spesso, però, la violenza sulle donne è assolutamente fine a sè stessa. Attivata dalle pulsioni più basse e primordiali: prevaricazione, stupro, malinteso senso di “possesso”, violenza domestica, di matrice etnica. Sapersi difendere efficacemente anche quando si è ormai arrivati all’aggressione fisica diventa, allora, imperativo. E le tecniche di arti marziali apprese in un corso di autodifesa ben strutturato possono fare la differenza. Cadute in sicurezza, liberazione dai tipi più comuni di prese, difesa dai colpi sono solo alcuni degli aspetti essenziali da imparare, dopo aver appreso le fondamenta di tutto: quali sono i punti deboli da difendere (o da colpire), quali le armi del nostro corpo (dalla punta delle dita a gomiti, ginocchia, piedi, senza escludere denti e unghie: l’autodifesa è lottare per la vita, non prevede “sportività”).

Insieme alla gestione degli spazi, delle distanze di sicurezza, della ricerca costante delle vie di fuga. Alla lotta a terra, alle tecniche per richiamare l’attenzione di passanti, vicini, possibili soccorritori. Altra “branca” importantissima è quella che riguarda l’uso degli oggetti di ogni giorno da sfruttare: dal mazzo di chiavi all’ombrello, dalla bottiglia di profumo alle limette per le unghie, spazzole, penne e via discorrendo. Quasi ogni oggetto può trasformarsi in un’arma se si sa come usarla. Unendo queste ed altre nozioni ad un adeguato studio di tecniche semplici ed efficaci si può riuscire, in un lasso di tempo ragionevolmente breve, a fornire a qualsiasi praticante gli strumenti per tentare di prevenire ogni situazione critica o per affrontarla con la maggior efficacia possibile nel caso si sia arrivati, purtroppo, alle conseguenze estreme. Niente “roba da film”.

Le tecniche complesse, e il loro uso adeguato ed efficace, si apprendono in anni di studio serio e strutturato delle arti marziali. Nel nostro caso, occorre impostare una serie circoscritta di azioni basate su semplicità, rapidità, massimizzazione dell’efficacia. E renderle istintive con una serie infinita di ripetizioni in allenamento. Nel momento del bisogno, ciò deve stimolare una reazione immediata e non “pensata”. Come quando si frena nel momento in cui ci si trova il proverbiale pallone che spunta davanti alla nostra auto, seguito dall’altrettanto scontato bambino: così, istintiva, “senza pensare” dovrà essere la risposta all’aggressione. Immediata, decisiva, risolutiva. E poi via, verso la via di fuga più sicura. È importantissimo non instillare nelle praticanti false sicurezze che potrebbero indurle a sopravvalutarsi e a non valuta re adeguatamente il pericolo e le proprie possibilità o opzioni.

Le regole d’oro sono: prevenire, evitare e, se la situazione precipita, liberarsi, limitare i danni maggiori, imboccare la via di fuga migliore. Non certo intraprendere coreografici duelli a colpi di arti marziali con l’aggressore o gli aggressori. L’obiettivo di un efficace corso di autodifesa femminile, sul breve e medio periodo, è sicuramente quello di fornire, anzitutto, nuove direttive per la gestione emotiva delle situazioni di rischio. Offrire gli strumenti psicologici e pratici per fare in modo che non si attivi mai, nella donna aggredita, una modalità “rinunciataria”, da “vittima passiva”. Insomma pensare che “difendersi è possibile”. La prima regola è non rinunciare a priori e prepararsi per tempo. Senza voler essere catastrofisti, ma, semplicemente, realisti e previdenti.


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