Caretta Caretta, la tartaruga marina divorata dalla plastica

La testuggine più diffusa nel Mediterraneo viene classificata dall’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura come specie minacciata: è proprio la Caretta Caretta ad accendere i riflettori sullo stato di salute in cui versa il “Mare Nostrum”, a far mobilitare associazioni ambientaliste ed organizzazioni internazionali per la sua protezione. La presenza di intere isole di plastica nei nostri mari ne costituisce la principale causa di morte, infatti la propensione ad ingerire rifiuti scambiandoli per cibo ha trasformato la tartaruga marina in un vero e proprio bioindicatore del livello d’inquinamento marino. All’emergenza Legambiente risponde con il progetto TartaLove: sul sito www.tartalove.it è possibile effettuare una donazione per sostenere concretamente le attività di monitoraggio e sorveglianza dei siti di deposizione e il lavoro dei “centri di recupero tartarughe marine”, strutture per il primo soccorso indispensabili per la cura e la conservazione della specie. Una sorta di adozione a distanza: ogni donatore riceve un kit con tanto di certificato di adozione, fotografia dell’esemplare salvato e un racconto della sua incredibile storia.

Caratteristiche della specie

Eccellenti nuotatrici e instancabili esploratrici, le tartarughe marine trascorrono la maggior parte della vita in mare profondo, raramente risalgono in superficie per una boccata d’aria. Variegata la loro alimentazione, la Caretta Caretta si classifica infatti come una specie onnivora. Ogni anno, nel periodo compreso tra giugno, luglio ed agosto, ha inizio la stagione della riproduzione: ogni esemplare femmina depone le proprie uova sulla stessa spiaggia in cui è nata, fenomeno dovuto ad una sorta di imprinting  per lo specifico campo magnetico del luogo natìo.

Da uno studio dell’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura (Iucn), la più autorevole organizzazione esistente in materia di ambiente e sviluppo sostenibile, emerge che la specie è distribuita nelle acque temperate e tropicali degli Oceani Atlantico, Pacifico e Indiano ma la sua culla è il bacino del Mediterraneo. Grecia, Turchia, Libano e Cipro, le più importanti zone di riproduzione, mentre Mar Adriatico, Ionio, isole Baleari e piattaforma continentale turca ed egiziana le zone di alimentazione maggiormente battute.

L’Italia con le sue spiagge sabbiose viene considerata il sito privilegiato d’incubazione delle uova di Caretta Caretta: consuete mete di nidificazione le isole Pelagie (Lampedusa e Linosa), Sicilia meridionale, Calabria, Puglia, Campania. Non mancano le coste laziali e quelle sarde, meno frequentate ma sulle quali annualmente vengono individuati siti di ovodeposizione.

In genere ogni nido contiene tra le 80 e le 100 uova ma purtroppo solo una piccola percentuale di piccoli riesce a raggiungere l’età adulta.

Principali minacce

Secondo quanto emerge dal dossier 2018 sulla “biodiversità a rischio” redatto da Legambiente, ogni anno nel Mediterraneo perdono la vita circa 130 mila tartarughe marine, la stragrande maggioranza delle quali a causa dell’ingestione di rifiuti marini costituiti per il 95% da plastica.  Abboccare accidentalmente ad ami usati per la pesca al pescespada e rimanere impigliate all’interno di reti a strascico, sono due frequenti minacce per la loro sopravvivenza. In pericolo non soltanto la loro vita in mare anche la loro riproduzione sulle spiagge: i loro nidi rischiano di essere letteralmente spazzati via dai trattori spazza spiaggia attivi nella rimozione dei rifiuti. In più i piccoli che affiorano dalla sabbia devono raggiungere velocemente il mare per sfuggire ai predatori (uccelli, cani, ratti, volpi) ma se disturbati da luci e rumori molesti possono perdere l’orientamento e non riuscire a raggiungere il mare.

La presenza delle minacce appena elencate svela la vulnerabilità di questa delicata testuggine bisognosa di protezione. Inserita nella lista rossa delle specie in pericolo dall’Iucn, la Caretta Caretta è protetta da normative internazionali quali la Convenzione di Berna sulla conservazione della vita selvatica e dell’ambiente naturale in Europa (di cui l’Unione Europea ha adottato i principi ed il quadro di riferimento attraverso le Direttive Habitat e Uccelli) e la Convenzione di Bonn sulle specie migratrici appartenenti alla fauna selvatica.

Attività di monitoraggio dei siti di nidificazione mediante presidi territoriali e centri di recupero diffusi in molte zone d’Italia costituiscono l’opera concreta messa in campo dalle organizzazioni ambientaliste più note, Legambiente e WWF solo per citarne alcune, finalizzata all’adozione di misure idonee volte alla conservazione della specie in pericolo. In questa direzione si inseriscono i due progetti targati Legambiente TartaLife e TartaLove: il primo volto alla riduzione della mortalità della tartaruga marina causata da attività di pesca professionale, il secondo a finanziare tutte le attività dell’associazione per la salvaguardia della Caretta Caretta.  

Emergenza plastica

Lo stato in cui versa la tartaruga marina Caretta Caretta non è altro che lo specchio dello stato di salute in cui versano i nostri mari. Infatti la presenza di quantitativi di plastica negli stomaci di tartarughe marine, trovate morte lungo le coste del Mediterraneo, ha una frequenza dell’85%. la spiegazione di questo indice risiede nella propensione ad ingerire rifiuti marini scambiati per cibo, come i sacchetti di plastica confusi per meduse, organismi di cui si alimenta. E’ evidente che la testuggine rende manifesto il letale impatto dei rifiuti marini sull’habitat marino e getta luce sui livelli di tragicità toccati dall’inquinamento causato da attività di origine umana.

Per rendersi conto delle dimensioni mastodontiche del problema dei rifiuti marini, basti pensare che più di 10 milioni di tonnellate di rifiuti attraversano le acque di tutto il mondo dando vita alle cosiddette “isole galleggianti” frutto dell’esponenziale aumento della produzione di plastica negli ultimi 60 anni: dal mezzo milione di tonnellate negli anni ’50 ai 335 milioni di tonnellate di oggi. Il Mediterraneo è uno dei luoghi più colpiti dalla sovrapproduzione di plastica: in un bacino semichiuso l’eccessiva concentrazione di rifiuti rappresenta una fonte di morte per alcune specie endemiche tra cui, non soltanto le tartarughe marine, ma anche balenottere e squali filtratori che si nutrono dei piccoli organismi del plancton.  Una questione così grave da coinvolgere la sfera giuridica degli accordi internazionali e gli obiettivi ONU di sviluppo sostenibile, uno dei quali mira alla diminuzione dell’inquinamento marino entro il 2025. In ambito europeo, degna di nota la Direttiva quadro sulla strategia per l’ambiente marino, recepita dall’ordinamento italiano nel 2010, che richiede agli stati membri l’attuazione di strategie volte alla protezione e al ripristino di ecosistemi marini danneggiati.

Non solo la sfera istituzionale e giuridica: quella dei rifiuti marini è una questione che investe soprattutto i piccoli gesti di ogni singolo individuo. La presenza di plastica nell’ambiente marino, e quindi di isole galleggianti, può essere ridotto grazie alle buone pratiche di ecologia domestica quotidiana. Raccolta differenziata, predilezione per materiali biodegradabili, sostituzione dei sacchetti di plastica con quelli in stoffa: sono alcuni piccoli grandi accorgimenti per contribuire alla conservazione di “specie in pericolo da rifiuti marini”, ricordando sempre che un piatto di plastica in meno può contribuire a salvare una vita in più.

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