Come la Gran Bretagna si sta preparando alla Brexit

Lo scorso giugno, il principe William -secondo in linea di successione al trono britannico- ha svolto un importante Royal Tour che ha attraversato zone altamente sensibili come la Giordania, Israele e i territori palestinesi occupati dalle truppe israeliane. I Royal Tour possono essere assimilati a delle vere e proprie missioni diplomatiche dove, a capo della delegazione, troviamo dei membri di rilievo della famiglia reale inglese.

Questo viaggio è stato considerato da molti “storico” perché ha coinvolto, per la prima volta, un erede al trono e, tralasciando per un momento la parte più glamour della visita, è bene ricordare come questo Royal Tour arrivi in un momento delicato per la stessa Londra.

Il prossimo marzo volgeranno a termine le trattative per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea e da quel momento in poi il regno di Elisabetta II si troverà a dover intessere una fitta rete di relazioni internazionali senza più quelli che gli inglesi considerano dei vincoli, ma che per gli europei sono dei veri e propri patti a cui sottostare per il buon funzionamento del sistema, e che furono tanto osteggiati dal fronte del Sì.

Per quanto riguarda il referendum del 2106 sulla Brexit -vinto dal “Leave” con il 51,9%-, lo schieramento guidato da Nigel Farage ha sempre mostrato una inclinazione verso una politica estera che fosse solo e solamente portata avanti per gli interessi di Londra, senza la necessità di dovere tenere conto delle mosse di altri ventisei Stati e, ovviamente, delle istituzioni europee.

E’, quindi, il momento giusto per cominciare ad allacciare rapporti di nuovo tipo e solidificare quelli già creati e i Windsor possono essere un’arma in più in questa procedura.

Kate, Duchessa di Cambridge, si è già recata con il marito William in Polonia, Germania e nei Paesi Scandinavi, fondamentali per rimanere nel giro delle relazioni europee; mentre Meghan e Harry -sesto in linea di successione al trono e membro fondamentale della famiglia reale-, Duchi del Sussex, si recheranno in Australia, Isole Fiji, Tonga e Nuova Zelanda nel prossimo autunno.

Il viaggio dei neo sposi sarà incentrato su promuovere le relazioni tra i Paesi del Commonwealth, organizzazione intergovernativa in cui rientrano le ex colonie britanniche che vogliono mantenere un rapporto stretto e diretto con la Regina.

Il vincolo che lega gli Stati coinvolti non è da sottovalutare per quanto riguarda il post Brexit. Infatti, rimane ancora da vedere quali saranno i trattati di tipo economico e commerciale che rimarranno in vigore tra le parti o se servirà una completa rielaborazione di ogni strumento giuridico. Questo potrebbe avvenire non più dal punto di vista multilaterale bensì bilaterale. L’Unione Europea non verrà più coinvolta nel negoziato di trattati che coinvolgono Londra e Stati terzi, ma si tratterà sempre di negoziazioni tra Paesi singoli.

In questo panorama ancora incerto avere come appoggio già ben rodato una lunga lista di Stati con cui fortificare i rapporti economici e i mercati è sicuramente importante per i britannici.

Il Royal Tour del principe William ha toccato una zona che è ormai da anni in serie difficoltà economiche e sociali. Area con cui l’Unione Europea intrattiene da tempo dei rapporti molto stretti; nel 2016, infatti, è stato siglato un patto di partenariato e cooperazione rafforzata. Il patto riguarda, soprattutto, il sostegno alla zona che da tempo vive una situazione critica per l’alto numero di rifugiati, siriani e palestinesi, presenti all’interno dei confini. Questo trattato andava anche a coprire un tema di forte interesse per la Gran Bretagna, ovvero la lotta al terrorismo. Una lotta che probabilmente, dopo la Brexit, Londra dovrà combattere senza gli strumenti ad hoc creati dall’Ue come la Politica di Sicurezza e Difesa Europea (PSDC), la Politica Estera e di Difesa Comune (PESC) e l’Ufficio Europeo di Polizia (Europol).

Per questo motivo sta tutto nelle mani di Elisabetta e del Governo inglese e nell’ astuzia nell’utilizzare gli strumenti diplomatici ed economici a disposizione.

La Giordania era un protettorato inglese fino al 1946, anno in cui ottenne l’indipendenza e venne instaurata una  monarchia con a capo la dinastia Hashemita.

Sfruttare lo stretto legame che univa questi stati potrebbe essere un’arma in più per la Gran Bretagna, che potrebbe assumere un ruolo di attore principale nell’area. Il territorio versa in condizioni economiche preoccupanti, con un debito pubblico del 94% e da tempo chiede un maggior interessamento della comunità internazionale verso la situazione dei rifugiati.

Una situazione di cui si era già discusso nella visita dello scorso novembre 2017 di Theresa May, Primo Ministro inglese, a Re Abdullah. Visita in cui si era anche discusso anche della situazione siriana che colpisce direttamente Amman e in cui Londra potrebbe inserirsi come attore primario per una risoluzione del conflitto. Cosa che andrebbe a favore della Gran Bretagna anche nella lotta al terrorismo, lotta in cui avrebbe un alleato in più e con i medesimi interessi nel fermare le cellule terroristiche ancora attive. Si potrebbe, dunque, affermare che il Royal Tour del principe William possa essere una ben accetta continuazione della visita del Premier May, in modo da confermare la presenza di Londra in quel territorio e la sua forte volontà nel voler intessere un partenariato con Amman. La Brexit si sta avvicinando sempre di più e il Governo britannico è consapevole di dover utilizzare ogni arma in suo possesso, compresa la famiglia reale e il suo ruolo di rappresentanza e di guida, per acquisire “alleati” economici e contro il terrorismo.

Per quanto riguarda la parte di visita dedicata alla Palestina, il Duca di Cambridge si è recato a Ramallah, in Cisgiordania, dove ha potuto incontrare il Presidente Abu Mazen, con cui c’è stata un’amichevole  conversazione.

Le trattative di pace tra Israele e Palestina sono in una situazione di stallo.

I grandi attori che hanno sempre promosso un incontro tra le posizioni sono ora concentrati su altro: l’Europa sta cercando di fare i conti con i movimenti migratori e gli Stati Uniti di Trump si stanno occupando della situazione al confine con il Messico e della guerra economica dei dazi.

A Gaza, gli scontri che sono iniziati in maggio con la Marcia del Ritorno non si sono conclusi, bensì stanno continuando, mietendo vittime sia in una fazione che nell’altra. I discendenti dei rifugiati palestinesi, cacciati dalle loro case e dalle loro terre nel 1948, chiedono a gran voce di riavere ciò che hanno perso. Una richiesta davanti alla quale Israele non è sicuramente intenzionato a cedere.

Bisogna anche ricordare come la Gran Bretagna abbia sempre avuto un ruolo di rilievo nel Medio Oriente, avendo imposto il suo controllo su una buona parte di quei territori durante il ‘900 e la nascita dello stato di Israele nel 1948.

Israele che ora vive dei rapporti meno distesi con L’Unione Europea visto quanto accaduto nei mesi passati, dopo l’apertura dell’ambasciata americana a Gerusalemme che, in questo modo veniva qualificata come capitale dello Stato.

Questo potrebbe indurre i britannici ad inserirsi in questa situazione delicata, quasi sostituendosi all’Unione e, quindi, approfondire ancora di più i rapporti con Tel Aviv, con cui sono già in funzione degli accordi economici che hanno portato più di 300 imprese israeliane a lavorare sul suolo di Sua Maestà la Regina, con un indotto di 3 miliardi di dollari annui e registrando Israele come miglior partner economico in Medio Oriente.

Le basi della Gran Bretagna per quanto riguarda le relazioni internazionali sono, dunque, sicuramente solide e il Governo May ha tutto l’interesse di farle crescere e sviluppare sempre di più, così da garantire un’uscita di scena dall’Unione Europea protetta dalla possibilità di pesanti contraccolpi economici.

Laura Ruffato

Mi chiamo Laura, ho 21 anni, sono nata a Camposampiero (PD) nel 1996. Sono laureanda in Scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani all’Università di Padova, dove, appunto, ho potuto apprendere molto su una materia che mi ha sempre interessata e che dovrebbe coinvolgere più persone possibili: i diritti umani. Credo sia un tema in continuo divenire e per questo motivo sono convinta che serva raccontare la loro storia, il loro sviluppo e il loro impatto sulla società e qui, soprattutto, il giornalismo ha un ruolo fondamentale. Per questo motivo ho colto l’occasione di collaborare con SocialNews. 

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