Tutti hanno il diritto di giocare a pallone: il libero accesso alle discipline sportive senza distinzione di credo, di colore o di etnia

In Italia nel febbraio 2016 è stata approvata una legge che riconosce lo “ius soli sportivo”, ossia  una norma che consente ai minori stranieri regolarmente residenti in Italia e che abbiano compiuto il decimo anno di età, di essere tesserati presso le federazioni sportive con le stesse procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani: questo rappresenta un notevole passo in avanti rispetto al percorso anti-discriminatorio all’interno del mondo del sport. Le prime federazioni a riconoscere tale diritto sono state la Federpugilato, la Federazione dell’hockey su prato e la Federazione di atletica leggera. Nonostante questo la norma presenta comunque particolari condizioni e limiti discriminatori, come per esempio il compimento del decimo anno di età che facilita l’esclusione di molti minori dal praticare sport, il quale dev’essere garantito a tutti come previsto dal diritto di parità della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (firmata a New York il 20/11/89 e ratificata dall’Italia con Legge 176/1991).  Ciò vale in particolare per i minori titolari di protezione internazionale, in quanto hanno un’esigenza di tutela che deriva dalla loro condizione particolare che non permette loro di praticare sport altrove. Esclude in ogni caso la possibilità ad atleti nati in Italia, da genitori stranieri, di far parte della nazionale italiana.

Ultimo dei numerosissimi casi di denuncia sul tema è stato quello di Tyson Alaoma (da “La Repubblica”), diciassettenne vincitore ad Avellino del campionato italiano Youth Kg. 81 di pugilato. Tyson non può gareggiare per la nazionale italiana perché non ha la cittadinanza, in quanto nato in Italia ma da genitori nigeriani. Dopo la vittoria del campionato italiano ha mostrato per protesta una bandiera della Nigeria, nazione che gli permetterebbe di gareggiare al contrario dell’Italia in quanto cittadino nigeriano. Il ragazzo si sente italiano, ha vinto i campionati italiani ma non può disputare incontri con e per la nazionale del Belpaese. Una realtà che si impegna molto per combattere e abrogare regole assurde come quella di non poter tesserare un ragazzo per una stagione sportiva se il suo permesso di soggiorno scade a metà della stagione stessa.

La polisportiva San Precario combatte di continuo il razzismo e l’ignoranza e, insieme ad altre polisportive nazionali, ha lanciato il 31 gennaio scorso la campagna ”We want to Play. Quest’ultima è una campagna sottoscritta da moltissime società, polisportive, associazioni dilettantistiche e anti-razziste che insieme hanno cercato di creare iniziative utili al progetto che avrebbe reso la pratica sportiva accessibile a tutti, senza discriminazioni. Il progetto di modifica ha seguito un iter preciso: infatti è stato prima inviato ai comitati territoriali della Federazione Italiana Giuoco Calcio (F.I.G.C.) nel tentativo di coinvolgere di conseguenza i presidenti regionali e di aprire una trattativa con gli organi centrali della Federcalcio italiana.  ”We Want To Play” attraversa l’Italia con delle manifestazioni e molti raduni, come quello del 22 aprile in occasione della giornata dell’orgoglio antirazzista a Pontida e del 5 luglio ai mondiali antirazzisti di Modena. Il 31 luglio la richiesta di modifica è stata consegnata a Renzo Ulivieri , vice-presidente della F.I.G.C., dopo un confronto svolto nel centro federale di  Coverciano. L’articolo su cui è stata emessa una proposta di modifica è l’art.40 delle norme organizzative interne (N.O.I.F.) della F.I.G.C che è stato successivamente modificato con il comunicato ufficiale numero 117/L, pubblicato in data 19 ottobre 2017. La F.I.G.C. abolisce i vincoli temporali che impedivano il tesseramento di atleti provenienti da paesi extra-europei, permettendo così a tutti di poter partecipare ai vari campionati. Iniziano finalmente le pratiche di tesseramento dei calciatori stranieri esclusi dalle varie competizioni federali.

We Want To Play” ha permesso di cambiare le regole, consentendo a molti giovani di praticare sport, in questo caso il calcio, sostenendo a gran voce il motto: “Nessuno è illegale per giocare a pallone”. La campagna si è impegnata per abolire l’art.40 comma 11 delle N.O.I.F. della F.I.G.C., che prevedeva come vincolo al tesseramento dei giovani calciatori un permesso di soggiorno valido fino al 31 gennaio dell’anno successivo all’inizio della stagione calcistica. Questo tempistica impediva il tesseramento degli atleti provenienti da paesi extra-europei e poneva come vincolante un fatto giuridicamente non valido mentre dovrebbe tenere conto di una idoneità medica fondamentale per chi pratica sport. Il giudice del tribunale di Lodi, Federico Salmeri, esaminando il ricorso di una società sportiva in data 28/04/2010, ha accolto il ricorso della suddetta società sportiva e accertato il carattere discriminatorio del comportamento tenuto dalla Federazione italiana imponendo il tesseramento prima negato e condannando la F.I.G.C. ad un risarcimento di 5.000€, affermando che: “La corte di Strasburgo ha più volte affermato che l’art.14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.) vieta di trattare in modo diverso, senza giustificazione obiettiva e ragionevole, persone poste in situazioni comparabili (…) non essendo enucleabile altra ratio che non quella di introdurre una preclusione destinata a discriminare gli aspiranti calciatori extracomunitari in quanto tali (…). L’art.40 delle N.O.I.F. si pone in contrasto con l’art.3 della Costituzione e con tutte le norme sopra richiamate volte a contrastare qualsiasi forma di discriminazione“.

 

 

Già modificato parzialmente nel 2012, a seguito della campagna ”Gioco anch’io” (il termine passò dalla fine della stagione sportiva al 31 gennaio), oggi l’art. 40 comma 11 viene definitivamente trasformato: viene abolito dalla Federazione ogni riferimento al vincolo temporale, viene posto come requisito un permesso di soggiorno in corso di validità, viene raggiunto un  risultato di importanza storica che va letto e interpretato come l’esito di un percorso che si è diretto con successo dalla base del sistema calcio ai suoi vertici. Lo sport è un’arma estremamente efficace per portare avanti un percorso di parità di diritti, anti-razzista ed anti-discriminatorio, senza per forza trasformarlo in un discorso ideologico, sovrastrutturato e di parte. In questo senso il mondo dello sport ha dimostrato a più riprese la capacità di anticipare la politica nell’attuazione di cambiamenti legislativi e sociali necessari, aprendo spazi di riflessione e trasformazione che coinvolgono poi la società nel suo insieme.

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