Perché (forse) la sovrappopolazione mondiale non sarà un problema?

La sovrappopolazione mondiale è un’ipotetica condizione di “densità umana” talmente elevata per il pianeta da creare spazi limitati e insufficienza di risorse (in primis cibo e acqua) per gli individui. Alcune motivazioni empiriche e storiche, come il calo del tasso di crescita della popolazione che si registra da qualche decennio a questa parte, e il progresso tecnologico, portano a considerare questo problema in maniera più ottimistica di quanto non si sia soliti fare, sebbene rimanga uno scenario plausibile e da non sottovalutare. È probabile, infatti, che il suo verificarsi (o meno) dipenderà non solo da quanto il progresso tecnologico riuscirà a svilupparsi, ma anche da come l’uomo saprà rispettare il pianeta e le sue preziose risorse.

Il caso del tasso di crescita della popolazione mondiale

La popolazione mondiale, dacché la razza umana esiste, è costantemente aumentata nel corso del tempo. Questo fenomeno, all’apparenza irrefrenabile, e in corso tutt’oggi, ha portato moltissimi scienziati e illustri pensatori (da Thomas Malthus al più attuale Paul Ehrlich) a considerare il problema della sovrappopolazione mondiale come inevitabile. Fino a non molto tempo fa difficilmente si sarebbe presa in considerazione l’ipotesi secondo cui la popolazione avrebbe anche potuto smettere di aumentare, o che addirittura avrebbe potuto intraprendere la strada di una decrescita naturale. Eppure, da qualche decennio a questa parte, quello a cui stiamo assistendo è proprio una riduzione del “ritmo” di crescita della popolazione mondiale, del suo tasso di crescita annuo. Dal 1963, anno in cui raggiunse un picco del 2,21%, il tasso di crescita della popolazione mondiale ha cominciato a diminuire, invertendo una tendenza longeva quanto la storia dell’uomo. Nel quinquennio 2010-2015 esso ha fatto registrare un quasi-dimezzamento rispetto al picco del 1963, esattamente l’1,18%, e oggi si stima che nel 2100 possa arrivare a toccare lo 0,13%.

tasso crescita popolazione mondiale

La ragione per cui si è verificato questo “cambio di rotta” è che, sebbene a livello mondiale, negli anni, siano diminuiti i tassi di mortalità, i tassi di natalità sono diminuiti ancora di più.

Come spiegato da William Easterly in un capitolo del suo libro Lo sviluppo inafferrabile, le origini di tali diminuzioni sono essenzialmente legate al reddito. È proprio il reddito, per esempio, ad influenzare il numero medio di figli per donna (tasso di fecondità), in un rapporto inversamente proporzionale. Se si considera che il tempo è denaro, che la cura dei bambini richiede tempo, e che ogni momento non dedicato al lavoro è reddito perso, il motivo è presto detto: i genitori più ricchi, scegliendo di dedicare più tempo al lavoro e meno tempo alla cura dei figli, generano meno discendenti; i genitori più poveri, ottenendo vantaggi minori dal lavoro, hanno più tempo da dedicare alla cura dei figli, per cui generano una discendenza più numerosa. Ed è sempre il reddito che va ad influenzare il tasso di mortalità in un rapporto, anche qui, inversamente proporzionale, nella misura in cui una sua maggiore disponibilità significa migliori condizioni di vita e di sanità, quindi minori decessi. Non è un caso che i Paesi poveri presentino al contempo alti tassi di fertilità (numero medio di figli per donna in età fertile), natalità e mortalità, così come non è un caso che i Paesi ricchi presentino una condizione diametralmente opposta. Niger e Guinea Bissau,  ad esempio, i due Paesi con i maggiori tassi di fecondità al mondo, secondo i dati forniti dalle Nazioni Unite per il periodo 2005-2010, sono anche tra i Paesi con i maggiori tassi di mortalità infantile (rispettivamente in 2a e 6a posizione nella classifica stilata dalle stesse Nazioni Unite nel 2012).

Numero medio figli per donna sovrappopolazione mondiale

Numero medio di figli per donna


La ragione per cui il tasso di crescita della popolazione mondiale ha iniziato una fase discendente, a partire dal 1963, è che Paesi considerati poveri, qualche decina d’anni fa, si sono sviluppati (come Cina ed India), e questo sviluppo ha permesso alle società di vivere in condizioni migliori, con maggiore reddito. Condizioni migliori e maggiore reddito, per le dinamiche viste poco fa, hanno comportato un calo dei tassi di mortalità, fertilità e natalità, con conseguente impatto sul calo complessivo del tasso di crescita della popolazione mondiale. Si sono verificate, parzialmente o in toto, quelle che in gergo tecnico vengono chiamate transizioni demografiche, ovvero passaggi da regimi caratterizzati da elevati tassi di natalità compensati da altrettanto elevati tassi di mortalità (Paesi poveri), a regimi caratterizzati da bassi tassi di natalità che eguagliano bassi tassi di mortalità (Paesi ricchi). Si prevede che in futuro altri Paesi compiranno queste transizioni demografiche, riducendo ulteriormente il tasso di crescita della popolazione mondiale. Alcuni Paesi, come il Giappone, stanno addirittura già sperimentando un declino della popolazione, e diversi Paesi dell’Europa Occidentale potrebbero presto seguire la sua strada.

Cosa significa tutto questo? Che forse il calo del tasso di crescita della popolazione allontanerà lo spettro della sovrappopolazione mondiale? Nì. Certamente è positivo sapere che la crescita della popolazione mondiale non è infinita e segua determinate dinamiche economiche, ma un problema di sovrappopolazione può essere considerato verosimile anche ammettendo che la crescita della popolazione mondiale giunga in prossimità dello 0%. Se infatti, alla luce di quanto detto, lo sviluppo economico dei Paesi venisse considerato come un’”antidoto” nei confronti di un elevato tasso di crescita della popolazione, d’altro canto dovrebbe pure essere considerato come una fonte di maggior impatto ambientale. Non è, infatti, solo il numero di persone presenti sulla Terra ad essere un fattore per il problema della sovrappopolazione mondiale, lo è soprattutto il loro “peso specifico”, l’intensità con cui esse impattano sull’ambiente. C’è un fattore che, più delle prospettive di crescita della popolazione mondiale, può renderci fiduciosi sulla possibilità che una sovrappopolazione non si verifichi: il progresso tecnologico.

 

Progresso tecnologico e sovrappopolazione mondiale

Nel 2013 Erle C. Ellis, professore di geografia e sistemi ambientali presso l’università del Maryland UMBC, scrisse un articolo sul New York Times intitolato “La sovrappopolazione non è il problema”. In questo articolo egli critica la concezione diffusa secondo cui la razza umana, presto o tardi, dovrà fare i conti con la finitezza del pianeta e delle sue capacità in termini di risorse, spiegando sorprendentemente che le condizioni che sostengono l’umanità non sono naturali, e non lo sono mai state. Sin dalla preistoria gli esseri umani hanno interagito attivamente con l’ambiente e le sue risorse, trasformandole al fine di creare nuove tecnologie, e sviluppando ecosistemi con una produttività maggiore rispetto a quella offerta dagli ecosistemi “naturali”. I nostri primitivi antenati inventarono la caccia di gruppo, arnesi di pietra, il fuoco, tutto per ricavare nutrimento maggiore di quanto altrimenti non sarebbe stato possibile. Lo stesso è valso per l’agricoltura e l’uso intensivo dei terreni. La nostra storia è costellata di esempi in cui l’uomo, tramite l’inventiva, lo spirito di adattamento, e la tecnologia ha saputo migliorare la produttività degli ecosistemi naturali. Lo stesso Easterly, nel suo libro, fa notare come, sebbene la popolazione mondiale, dal 1960 al 1998, sia raddoppiata, la produzione di cibo nello stesso periodo sia triplicata, tanto nei Paesi ricchi quanto in quelli poveri. La capacità di sostentamento umano del pianeta emerge dalla capacità dei nostri sistemi sociali e dalle nostre tecnologie molto più che da ogni limite ambientale: all’epoca dei cacciatori-raccoglitori, esemplifica Ellis, la Terra avrebbe sostenuto, probabilmente, al massimo 100 milioni di persone (oggi siamo 7,5 miliardi).

Le considerazioni di Ellis non sarebbero state possibili senza gli studi sullo sviluppo economico e agricolo effettuati da un’importantissima economista danese del XX secolo, Ester Boserup (che egli stesso cita nell’articolo). Boserup sosteneva, in un analogo filo logico, che è la popolazione a determinare i metodi agricoli, non i metodi agricoli a determinare la popolazione. La sua grande convinzione era che l’umanità avrebbe sempre trovato una strada (“la necessità è la madre dell’invenzione” è la tesi della sua più importante opera).

sovrappopolazione mondiale

Quindi cosa aspettarci davvero?

Considerato tutto questo, si può finalmente ritenere che la sovrappopolazione sia uno scenario più utopico che realistico? Ancora una volta, nì. Ciò che Ellis erroneamente non sottolinea nel suo articolo è che lo sviluppo economico, nelle sembianze del progresso tecnologico, non è sempre un toccasana per l’ambiente. Può di certo portare ad un aumento di produttività degli ecosistemi, ma non sempre senza conseguenze. Il degrado ambientale, ad esempio, ossia il deterioramento dell’ambiente causato dall’impoverimento delle risorse naturali, è un fattore fondamentale che dovrebbe sempre essere preso in considerazione qualora si voglia parlare di progresso tecnologico. Oggi esistono tecnologie che si servono dell’ambiente e delle sue risorse con ottima efficienza e a vantaggio dell’umanità, ma non tutte lo “rispettano”, molte, più semplicemente, lo “sfruttano”. Un progresso tecnologico che voglia dirsi tale non può prescindere dalla preservazione di un ambiente che possa continuare ad essere produttivo in futuro, non soltanto nel presente. È lo sviluppo sostenibile la chiave di lettura per considerare il problema della sovrappopolazione mondiale in maniera ottimistica, uno sviluppo economico e tecnologico che sia compatibile con la salvaguardia dell’ambiente e dei suoi beni per le generazioni future. Se sapremo garantire condizioni di vita accettabili in ogni parte del mondo, se sapremo progredire tecnologicamente avendo rispetto per il pianeta e le sue risorse allora, forse, il problema della sovrappopolazione mondiale rimarrà nient’altro che un cattiva suggestione.

Andrea Dalla Libera

Andrea Dalla Libera, nato a Venezia nel 1993. Studio Scienze politiche, Relazioni internazionali, Diritti umani all'Università degli studi di Padova. Amo lo sport e la natura. Mi piace scrivere, e seguo con curiosità ciò che accade nel mondo. Coniugare queste passioni su Social News è una sfida davvero entusiasmante! Scrivere di diritti umani significa per me scrivere di dignità, libertà e progresso umano. 

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