Armi proibite

Massimiliano Fanni Cannelles

Occupandoci di medicina d’emergenza, non possiamo non parlare delle conseguenze di una guerra sulla popolazione civile. Per sua natura, un conflitto mira alla distruzione dell’individuo. Le armi sono costruite proprio per provocare il maggior danno possibile sul nemico, qualunque esso sia.
In virtù delle innovazioni tecnologiche, alle cosiddette convenzionali si sono via via aggiunte armi più sofisticate, che fanno ricorso a tecnologie avanzate in ambito chimico, biologico e batteriologico. Altre, ancor più devastanti, fanno uso dell’energia nucleare. Nel 1925, in seguito alla maturata consapevolezza dei gravi danni procurati dalle armi chimiche, 38 Nazioni firmarono il “Protocollo di Ginevra”. Questa fonte ne proibiva l’utilizzo anche in contesti di guerra, ma non ne vietava la produzione. Nel 1980, alla luce dei drammi causati da questi strumenti di morte, le Nazioni Unite ritennero necessario ed urgente avviare un programma di disarmo chimico e nucleare su scala mondiale. Nel 1993, cinque anni dopo il massacro di Halabja, perpetrato da Saddam Hussein con il gas nervino, la stragrande maggioranza dei Paesi firmò la Convenzione di Parigi. Essa prevedeva che il 90% dell’arsenale chimico venisse distrutto.

Tuttavia, alcuni Stati, come Egitto e Corea del Nord, non vi aderirono. Altri lo fecero, ma forse mentirono sull’entità delle scorte. Un esempio viene proprio dalla Siria: il regime utilizzò il sarin su alcuni quartieri di Damasco nell’agosto del 2013. Perirono più di 1.400 persone. Assieme al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari, al comprehensive test ban Treaty ed alla Convenzione per il bando delle armi biologiche, la Convenzione sulla proibizione delle armi chimiche costituisce uno dei pilastri fondamentali su cui si fonda il sistema di disarmo e di non proliferazione delle armi di distruzione di massa.
La violazione è considerata un crimine di guerra, punibile da un tribunale internazionale alla fine delle ostilità.
Per quanto riguarda le armi nucleari, come è noto, esse vennero impiegate per la prima volta alla conclusione della Seconda Guerra Mondiale in Giappone. La potenza di un ordigno atomico è compresa tra 0,5 kilotoni e 1,5 megatoni. Una detonazione da 1 megatone sprigiona un’energia equivalente a quella liberata dall’esplosione di un milione di tonnellate di tritolo. La bomba H, invece, fortunatamente mai utilizzata, sfrutta la fusione fra i nuclei di deuterio e trizio. In questo modo sprigiona una quantità molto maggiore di energia (fino a 100 megatoni).

L’evoluzione delle armi nucleari non finisce qui. Visto il loro mancato utilizzo in seguito alle moratorie internazionali, determinate dalla preoccupazione per gli effetti successivi all’esplosione, sono stati sviluppati altri ordigni, più tattici e meno appariscenti. Ad esempio, la bomba al neutrone, o bomba N, si giova della combinazione fissione-fusione-fissione. È studiata per sprigionare la maggior parte della sua energia sotto forma di radiazioni. Lo scopo è quello di sterminare tutti gli esseri viventi bruciandoli con le radiazioni e lasciando intatte abitazioni ed altre strutture.

Simile è l’effetto della bomba al cobalto, o bomba G. Emette raggi gamma, i più devastanti. Dobbiamo, infine, menzionare le armi radiologiche. Si tratta di una classe di bombe nucleari di potenza modesta, progettate per disperdere il materiale radioattivo nell’ambiente, contaminando oggetti e persone. Per questi ordigni non esistono ancora Convenzioni internazionali di non proliferazione. Il riconoscimento delle armi a bassa radioattività nella classe delle armi atomiche potrebbe portare all’inclusione in tale categoria dei proiettili all’uranio impoverito. Questo elemento viene utilizzato per indurire le munizioni anticarro, ma, in quanto radioattivo, in seguito all’impatto si disperde nell’ambiente. I danni provocati dagli ordigni nucleari sono molteplici: la distruzione derivante dall’onda d’urto e di calore nel primo momento, le ustioni procurate dal fall-out radioattivo nelle ore immediatamente seguenti, l’alterazione cellulare, e quindi tumorale, nel mesi e negli anni successivi alla detonazione.

Per quanto riguarda i gas tossici, il cloro è stato il primo ad essere realizzato. Crea problemi di respirazione in ambienti chiusi. In seguito sono stati prodotti i gas chimici neurotossici e vescicatori. L’iprite è stata utilizzata nella Prima guerra mondiale, il sarin e il tabun nella Seconda guerra mondiale e fino alle Guerre del Golfo. A parità di peso, le armi tossicologiche sono da 150 a 200 volte più efficaci di quelle chimiche: bastano pochi grammi per provocare effetti letali. Le sostanze ustionanti esordirono in Vietnam con il Napalm-B. Al posto della benzina si aggiungeva fosforo bianco. Questo elemento provoca necrosi ossea se inalato e ustioni gravissime quando entra a contatto con l’aria. Tuttavia, la Convenzione sulle armi chimiche non lo considera tale. Osservando le conseguenze provocate dalle armi, convenzionali e di distruzione di massa, viene spontaneo chiedersi se possa esistere un’“etica” della guerra o fino a che punto abbiano senso regolamentazioni pensate per proteggere i civili, ma disattese dagli stessi Stati che le hanno fissate. Qual è la logica di produrre armi sempre più devastanti per vincere e poi aderire a Convenzioni che ne limitino l’uso? Il problema risiede nella natura stessa dell’uomo: per raggiungere il potere non si pone limiti, né etici, né tecnologici.

Massimiliano Fanni Cannelles





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