L’ondata di nazionalismi continua: le leggi illiberali della Polonia

La Polonia liberale che negli anni 80, ancora sotto il controllo dell’URSS, ha ospitato Solidarność, il primo sindacato non comunista guidato da Lech Wałęsa e che ha contribuito alla transizione del paese verso la democrazia, sembra essere ormai un capitolo chiuso. Dopo le leggi varate dal governo polacco negli ultimi due anni, c’è chi parla di una “Polexit”, o addirittura di “Estexit”, in riferimento agli scorsi avvenimenti susseguitesi nei paesi dell’Europa centrale e orientale, che si discostano dai valori dell’Unione Europea. Questi governi diventano sempre più sciovinisti ed euroscettici, acquistando consensi tramite l’utilizzo della figura del migrante come capo espiatorio di tutti i mali e il liberalismo politico dell’Europa occidentale come un chiaro segno di debolezza. Come ha sottolineato Maciej Kisilowski, professore di diritto della Central European University, la situazione in Polonia è più critica delle altre, proprio perché le misure autoritarie sono approvate molto più velocemente. Il PiS, l’attuale partito di maggioranza guidato da Jarosław Kaczyński, e che ha come esponenti anche il Presidente della Repubblica, Andrzej Duda, e il primo ministro del paese, Beata Szydło, sta seriamente smantellando la democrazia polacca e lo stato di diritto.

Cosa vuole veramente il PiS?

Le ultime elezioni parlamentari polacche del 26 ottobre 2015 hanno riportato al potere il PiS (Prawo i Sprawiedliwość, che significa ‘’Diritto e Giustizia’’), che ha vinto con il 37,58% dei voti, superando il PO (Platforma Obywatelska o ‘’Piattaforma Civica’’) che dal 2007 deteneva la maggioranza. ‘’Diritto e Giustizia’’, nato nel 2001 e assimilabile all’ala della destra conservatrice, non è nuovo al Parlamento. Nei precedenti due anni di governo (2005-2007), si era già distinto per gli scandali di corruzione e nepotismo, e per  cinismo, nazionalismo e simpatie anti-europee. Fin dall’inizio, questo partito si è riproposto di rendere nuovamente grande la Polonia, ed è nato principalmente con il fine di mettere in atto una  “resa dei conti con il passato” eripulire i resti del comunismo. Il PiS fa appello soprattutto a quelle classi che non hanno visto dei cambiamenti economici nell’era liberale, a coloro che si sono sentiti emarginati nella nuova Polonia cosmopolita, emersa dopo la caduta del muro di Berlino, e delusi per la persistenza di ex-comunisti nella politica degli anni successivi. Nei due anni al potere, infatti, Kaczyński è riuscito ad avviare la cosiddetta ‘’lustracja’’, che obbligava tutti i dipendenti dell’amministrazione statale nati prima del 1972 – circa 700.000 persone – a dichiarare l’eventuale collaborazione con i servizi segreti del passato regime comunista.

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Beata Szydło, primo ministro della Polonia ed esponente del PiS, insieme a Jarosław Kaczyński, presidente del PiS   

L’ideologia del PiS richiama fortemente il nazionalismo, basandosi su un’ottica di riscoperta di vecchi miti nazionali e patriottismo. L’obiettivo politico è, dunque, costruire uno Stato interventista, che deve “polonizzare’’ l’economia, riappropriandosi delle proprie banche e imprese in mano agli stranieri. Uno Stato profondamente cattolico, basato sull’importanza della famiglia tradizionale e la solidarietà cristiana del passato. Infatti, l’elettorato che ha decretato il nuovo ritorno è composto soprattutto da persone anziane, molto religiose e poco istruite, e dalle persone provenienti dalle regioni rurali e povere del sud e dell’est, che hanno sofferto maggiormente durante l’occupazione nazista e sovietica.

L’attentato al sistema giudiziario

Già da novembre 2015, poco dopo la vittoria alle elezioni, le prime azioni politiche del PiS hanno tentato di erodere la natura liberale dello Stato. Si è scatenata una crisi costituzionale che ha messo seriamente in dubbio lo stato di diritto, tramite l’approvazione di una legge che prevedeva la nomina di un nuovo Presidente, Vice Presidente e di nuovi 5 giudici del Tribunale Costituzionale. Sebbene il mandato costituzionale dei suddetti non fosse ancora scaduto, il PiS si rifiutava di riconoscerli perché, a loro avviso, la loro elezione non era avvenuta in maniera corretta, e poteva dunque procedere a una nuova nomina proprio perché “è la volontà del popolo, non la legge, che conta, e la volontà del popolo calpesta sempre la legge”. È chiaro come il nuovo partito di governo abbia tentato fin da subito di eliminare la separazione dei poteri, principio essenziale per una democrazia, che secondo Wałęsa era stato la principale conquista di Solidarność. Il Tribunale Costituzionale è un organo molto importante, poiché si occupa di verificare la conformità delle leggi rispetto alla Costituzione. In questo modo, controllandone una parte, il PiS avrebbe realizzato le varie riforme con più semplicità.

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   Lech Wałęsa durante una protesta a Danzica contro il PiS, 2017

Sebbene la legge sia stata dichiarata incostituzionale per ben 3 volte, il tentativo di indebolire il sistema giudiziario non si è arrestato. A luglio 2015, il Parlamento ha approvato tre provvedimenti di legge secondo i quali il governo può decretare il pensionamento anticipato degli 83 giudici della Corte Suprema polacca, ossia il massimo organo giurisdizionale, le cui decisioni non possono essere oggetto di appello e hanno valore di legge. Inoltre può nominare 22 dei 25 membri del Consiglio nazionale della magistratura (Krs), deputato alla scelta dei suddetti giudici, e proporne l’avanzamento di carriera. La terza proposta impone le dimissioni immediate dei componenti della Corte Suprema, affidando al Ministro della Giustizia la decisione di chi mantenere in carica. In questo modo la nuova composizione dei giudici spetterebbe totalmente all’esecutivo, dissolvendo qualsiasi indipendenza del potere giudiziario e causando l’effettiva mancanza di un controllo sull’attività legislativa. Queste riforme assurde hanno mobilitato i cittadini polacchi che sono scesi in piazza a protestare, assieme anche a molte figure intellettuali che hanno contribuito a rendere la Polonia democratica nell’era del comunismo e che ora vedono il loro paese declinare nuovamente verso una dittatura. Adam Michnik, storico dissidente durante il comunismo, ha pubblicato un appello in difesa della democrazia, accusando il PiS di tramare contro lo Stato. Anche l’Unione Europea è intervenuta al riguardo, minacciando l’utilizzo dell’articolo 7 del Trattato di Lisbona, secondo il quale si può sospendere il diritto di voto di uno stato membro qualora ne violi i principi fondatori. Di conseguenza, lo scorso 24 luglio il Presidente Andrzej Duda è stato costretto ad annunciare il veto sulle riforme.  

Un ritorno al passato: famiglia, chiesa e autorità

Il PiS è intervenuto pesantemente promuovendo anche diverse riforme sociali, in particolare per quanto riguarda i diritti delle donne, con il supporto dei vescovi conservatori. La filosofia generale seguita dal partito, che è fortemente sostenuto dalla Chiesa, è quella di esaltare la figura della famiglia numerosa, caratterizzata dallo stereotipo tradizionale della donna di casa, introducendo anche un sussidio di 500 złoty mensili (più o meno 120 euro) per ogni figlio dopo il primo a incitamento della natalità. ‘’E’ tempo di rivincita per la Chiesa’’ ha sostenuto Jacek Kucharczyk dell’Istituto degli Affari Pubblici. Dichiarandosi subito pronto al ritiro dalla Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica – strumento giuridicamente vincolante – il governo ha poi ‘’esordito’’ tramite l’abolizione dei sussidi per la fecondazione in vitro negli ospedali pubblici e una campagna contro l’ideologia gender, imponendo poi una serie di restrizioni alle scuole che offrono percorsi di educazione sessuale. A settembre 2016 la notizia più sconvolgente: il PiS aveva elaborato un disegno di legge, sostenuto anche dallo stesso primo ministro, Beata Szydło, per l’appunto una donna, che prevedeva l’abolizione totale della pratica dell’aborto, ed una pena di 5 anni di carcere per i medici e le donne che si accingeranno a questa pratica. Ancora una volta, la notizia ha scatenato molte proteste, non solo in Polonia ma anche in tutta Europa, e le polacche sono scese in piazza più agguerrite che mai per difendere i loro diritti.

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Di conseguenze il governo, per evitare una crisi politica, ha preferito bocciare la proposta di legge e non modificare le procedure, che di per sé sono già limitative, dato che si può abortire solamente in caso di stupro, incesto e quando la madre è in pericolo di vita. Inoltre, la contraccezione d’emergenza sarà disponibile solo con prescrizione medica. Il PiS è riuscito però a far approvare una legge restrittiva sui mezzi d’informazione, che prevede la nomina dei dirigenti di alcuni canali tv e della radio pubblica da parte del governo.

La situazione in Polonia fa dunque pensare a un tentativo messo in atto dal governo di controllare ampiamente la vita dei cittadini e di cancellare decenni di miglioramenti democratici e innovazioni, per tornare nell’orbita di un passato definito dalla famiglia, dalla chiesa e dallo stato.

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